Economia

L’ascesa della Tecnocrazia in Europa

di Marcello Esposito

Guardando ai temi dell’anno appena trascorso, uno dei più interessanti è quello del conflitto tra Stati e Tecnocrazia in Europa. E’ un tema spesso richiamato in occasione degli scontri Roma-Bruxelles sui conti pubblici, in maniera a dire il vero un pò strumentale per ottenere un qualche margine di flessibilità in più. In realtà, si tratta di un tema che meriterebbe un’attenzione maggiore, perché è dall’esito di tale conflitto che si determinerà la qualità della democrazia e, quindi, il destino ultimo della costruzione europea. Per dimostrarne l’importanza, considereremo una vicenda apparentemente minore del 2014: il rifiuto della Banca d’Italia di assoggettarsi alla Legge sul tetto agli stipendi delle Pubbliche Amministrazioni (P.A.).

Per sgombrare il campo da possibili malintesi, chiarisco subito che personalmente ritengo assolutamente corretto e necessario il rispetto delle “regole”: la burocrazia europea svolge la funzione affidatale e cioè la verifica, che deve essere “tecnica” e non può e non deve essere viziata da considerazioni “politiche”, del rispetto di accordi presi tra Stati e che gli Stati possono cambiare quando vogliono (se lo vogliono).

Diverso è però il caso del regime di indipendenza, una sorta quasi di extra-territorialità, che la tecnocrazia europea si sta costruendo. Il rifiuto di Banca d’Italia di soggiacere al tetto dei 240.000 euro che il governo Renzi ha imposto a tutta la Pubblica Amministrazione ne è un perfetto esempio. Banca d’Italia è l’unica realtà delle Pubbliche Amministrazioni (e delle società partecipate dalle stesse) che, per il momento, non è sottoposta a tale vincolo. E non perché il Parlamento italiano abbia modificato la legge, ma perché è la Banca d’Italia che ha deciso così.

Fortunatamente, prima la Banca Centrale Europea (BCE), con un parere, e poi la Banca d’Italia, con una Deliberazione, hanno rese pubbliche le motivazioni della decisione finale. I due documenti sono preziosi per capire la logica che muove la tecnocrazia europea. Una analisi più approfondita è contenuta in un mio precedente intervento per Linkiesta (vedi qui). In questa sede, mi concentrerò sulle parti più rilevanti ai nostri fini.

La premessa da cui parte il ragionamento della Banca d’Italia è che: “Il Consiglio ha innanzitutto rilevato come il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea assegni alle Banche centrali nazionali dell’Eurosistema piena indipendenza istituzionale e finanziaria e ai membri dei loro organi decisionali piena indipendenza personale.”

Questo è vero, ma la piena indipendenza dovrebbe essere intesa esclusivamente nell’ambito di competenza dell’Eurosistema, che è la conduzione della politica monetaria. Ed anche in tale ambito, come ha sostenuto lo stesso Presidente della Bce o la Corte Costituzionale di Karlsruhe, gli strumenti e le azioni non possono eccedere i limiti imposti dai trattati. A maggior ragione, quindi, i trattati non implicano una sorta di “autodichia” delle banche centrali e/o dei membri dei loro organismi decisionali.

In questa argomentazione, la Banca d’Italia si fa forte del richiamato parere della BCE, dove si legge che: “Una banca centrale nazionale non può essere posta nella condizione di avere un controllo limitato o nullo sul proprio personale o di venire influenzata dal governo di uno Stato membro rispetto alla propria politica in materia di personale. Per di più, ogni modifica apportata alle disposizioni legislative in merito alla remunerazione dei membri degli organismi decisionali di una banca centrale nazionale e dei suoi impiegati dovrebbe essere decisa in stretta ed efficace cooperazione con la banca centrale nazionale, al fine di assicurare in modo continuativo la capacità della banca centrale nazionale di espletare le sue funzioni in maniera indipendente”.

L’intento è chiaro, ma, nel caso specifico del rifiuto della Banca d’Italia di adeguarsi al tetto, possiamo affermare che sussistano le criticità individuate in linea teorica dalla BCE? I dubbi non sono pochi. Il Presidente Draghi (remunerazione: 378.240 euro), guadagnando meno del Governatore Visco (remunerazione: 495.000 euro), non sarebbe considerato sufficientemente qualificato per guidare la Banca d’Italia? E ancora: data la situazione della pubblica amministrazione italiana, dove 3,5 milioni di individui – compreso il Presidente del Consiglio – guadagnano meno di 240.000 euro l’anno, e’ plausibile ritenere che la Banca d’Italia non sia in grado di attrarre “talenti” scendendo al di sotto di quella cifra?

Infine, relativamente al tetto al trattamento economico degli organi decisionali, la BCE afferma che: “Gli Stati membri non possono tentare di influenzare i membri degli organi decisionali di una banca centrale nazionale apportando modifiche alla legislazione nazionale che incidano sulla loro remunerazione, e che, in via di principio, non dovrebbero intervenire sulle condizioni stabilite al momento della nomina. Di conseguenza, l’articolo 13, comma 5, del Decreto legge, dovrebbe specificamente far riferimento non solo all’indipendenza istituzionale e finanziaria della Banca d’Italia, ma anche all’indipendenza personale dei membri dei suoi organi decisionali”.

Visto che il tetto si applica alle più alte cariche dello Stato e alla magistratura e visto che il parere della BCE era riferito a questa manovra e non ad un esercizio teorico, le considerazioni della BCE appaiono un pò offensive. Non ci risulta però che ci sia stata alcuna replica né da parte del Governo né da parte di altre istituzioni né tantomeno da qualche forza politica.

Alla fine, la Banca d’Italia ha fatto il beau geste di abbassare le remunerazioni del Governatore e dei membri del Direttorio, ma mantenendole ad un livello che rimane comunque superiore al tetto contenuto in una Legge della Repubblica Italiana. Non so a voi, ma a sembra quasi la gentile concessione di un ente che si è sottratto alla sovranità nazionale e che intende ribadire la propria indipendenza.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.