Welfare

L’arte diventa social: quali nuove professioni per il futuro del settore?

La divulgatrice d’arte digitale Elisabetta Roncati ci aiuta a capire come si sta evolvendo il settore e in che modo i social e la Rete possono essere un prezioso veicolo di diffusione della cultura

di Redazione

«Con la cultura non si mangia!» È ormai un vecchio adagio che torna ciclicamente tra le poltrone della politica, ma anche per strada, tra la gente comune. Eppure, i numeri ci dicono che in Italia la cultura contribuisce significativamente al benessere economico dell’intero Paese. Secondo il Rapporto “Io sono cultura” di Fondazione Symbola e Unioncamere, infatti, al sistema produttivo culturale e creativo nel 2018 si deve il 6,1% del valore aggiunto, circa 96 miliardi di euro. Un terzo di questa ricchezza proviene da settori non propriamente culturali, come quello dei servizi e quello manifatturiero, nei quali lavorano circa 600mila professionisti della cultura come registi, designer, comunicatori. L’arrivo della pandemia, come è facile immaginare, ha cambiato le cose: i settori culturali e creativi (CCS) sono stati tra i più colpiti dal blocco causato dalla crisi sanitaria – con una percentuale di posti di lavoro persi che l’OCSE stima tra lo 0,8 e il 5,5% dell’occupazione – e anche i meno tutelati dagli interventi di sostegno del Governo.

Da questa istantanea si snoda la riflessione di Elisabetta Roncati, divulgatrice digitale e fondatrice del marchio registrato Art Nomade Milan, protagonista dello speech di PHYD dello scorso 10 febbraioSe l’arte vive su Instagram quali sono le professioni del futuro per il settore?” La domanda può suonare provocatoria, ma al contrario restituisce molto chiaramente la realtà che l’epidemia di Covid-19 ha plasmato. Con la chiusura di musei, librerie, teatri, cinema, la cultura, per sopravvivere, ha dovuto abitare in modo quasi esclusivo luoghi virtuali, adattandosi ai linguaggi dei social media e delle piattaforme digitali. Una necessità per le istituzioni e per i lavoratori del settore, e un bisogno per utenti e spettatori rimasti improvvisamente orfani di bellezza.

Roncati ci pone, quindi, un interrogativo fondamentale: «Quale ruolo riveste e rivestirà il digitale nel panorama culturale?». Oggi il digitale e gli account Instagram o TikTok di musei come il Louvre o il Tate, sono una soluzione all'emergenza, ma domani questi strumenti potranno continuare a esistere come valido supporto alle attività e iniziative in presenza, potranno essere canali di diffusione presso pubblici diversi, più giovani, smaliziati e disattenti, potranno avvicinare l’arte, che è linguaggio universale, e renderla fruibile a qualsiasi latitudine. Nella prossima normalità che ci aspetta sarà possibile e, anzi, auspicabile adattare il contenuto al contenitore digitale senza per forza banalizzarlo o snaturarlo, ma rendendolo al contrario più comprensibile e vicino alle giovani generazioni. La pandemia va, dunque, considerata come un’occasione unica di cambiamento, per immaginare nuove opportunità di crescita in un settore così importante per l’Italia.

Gli account Instagram o TikTok potranno diventare un valido supporto alle attività e iniziative in presenza, potranno essere canali di diffusione presso pubblici diversi, più giovani, smaliziati e disattenti, potranno rendere l'arte fruibile a qualsiasi latitudine

Lungi dall’essere un mero intermezzo, il digitale potrebbe creare nuove professioni o rendere indispensabili ruoli che, seppure in altri settori esistono già da tempo, in ambito artistico difettano ancora di competenze e completezza, come, per esempio, il lavoro del manager culturale o del social media manager (tra le professioni più richieste in moltissime realtà lavorative), quello del content creator o, ancora, del divulgatore digitale


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