Non profit
L’armistizio dipende dai politici, la pace da noi
La società civile non si ferma,per invocare una pace capace di giustizia, per protestare contro una giustizia incapace di pace,per costruire corpi civili volontari di pace.
Cari lettori, non sappiamo se gli esili spiragli di trattativa di cui oggi, martedì 1 giugno, prendiamo atto diventeranno qualcosa di più concreto; non sappiamo se l?agitarsi di alcuni leader della sinistra europea siano dovuti alle prossime elezioni europee oppure se esprimano un sincero e determinato tentativo di arrivare, se non a una pace, almeno ad un armistizio. Non so voi, ma io e la redazione tutta non riusciamo ad abituarci agli orrori di questa guerra. Non sono solo i comunicati dell?Alto Commissariato per i rifugiati che ogni giorno leggiamo con le cifre sempre più spaventose dell?esodo forzato dei kosovari (780 mila dal 24 marzo, e 420 mila prima della guerra) e con le loro atroci testimonianze. La nostra posta elettronica continua ad essere invasa dalle richieste di aiuto di cittadini serbi, padri di famiglia, infermieri, giovani, intellettuali, che ci chiedono aiuto e ci chiedono: perché? Gli amici delle organizzazioni non governative o delle associazioni di volontariato della Protezione civile che ci chiamano orgogliosi per quanto stanno facendo ma anche sopraffatti, stanchi e anch?essi in cerca di aiuto. I tre amici di ritorno dal Kosovo e da Pristina la scorsa settimana, come avete letto, ci hanno reso un racconto di desolazione, di paura e di dolore. I media, a parte qualche coraggioso reportage degli inviati, scelgono sempre più di raccontare questa tragedia con le parole del potere e della politica. Siamo rimasti con Vespa che officia il suo stanco rito con i segretari di partito e già ci manca Riccardo Iacona con i settimanali racconti televisivi per Moby Dick. Neppure possiamo accontentarci con le trisettimanali raccolte fondi che la tv di Stato ci ammanisce. Non riusciamo a rassegnarci, non riusciamo a considerare questa sporca guerra un argomento tra gli altri.
Forse non siamo soli, considerate le centinaia di adesioni alla mobilitazione ?Io vado a Pristina e a Belgrado? che continuano a pervenire, questa settimana anche da altri Paesi europei (da Norimberga, da Londra, da Colonia, da Parigi, da Vienna). Un grande scrittore, e un amico, aderendo citò Flannery O? Connor: «Per dire che non si fa una cosa bisogna farne un?altra». Tanto più oggi, quando l?area delle parole è completamente occupata dagli strateghi della politica, dai professionisti dell?analisi e dagli imbonitori del buon cuore. Non sappiamo ancora se le autorità jugoslave ci concederanno il visto. Ma abbiamo deciso che non saranno le autorità jugoslave o qualsiasi altra autorità a decidere dei passi del nostro cammino di pace. Per questo ci troveremo comunque a Bari il 14 giugno. Per dire che la società civile non si ferma, per invocare una pace capace di giustizia, per protestare contro una giustizia incapace di pace, per ascoltare testimonianze, per prepararci a marciare quando ce lo consentiranno, per costruire corpi civili volontari di pace. Speriamo che alle 21 la nostra numerosa carovana possa salpare. Se non potrà il nostro gesto avrà uguale valore. Perché, anche in caso di armistizio, il cammino alla pace non potrà fare a meno della nostra responsabilità e mobilitazione.
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