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Largo alle fedicome forze sociali «Così si disarma chi ci vuole in guerra». Lo ha detto al convegno di Oasis, il direttore dell’Istituto reale di studiinterreligiosi. Lo ascoltava il cardinal Scola di Riccardo Bianchi

dialogo Eccezionale incontro interreligioso ad Amman

di Redazione

Parlare di confronto tra religioni in un momento di profonda chiusura culturale, in cui la voglia di dialogo rimane spesso schiacciata dalle paure di un confronto aperto. Era l’obiettivo della due giorni di lavoro sul tema La libertà religiosa: un bene per ogni società, organizzata dal Comitato scientifico internazionale di Oasis, il centro internazionale di studi e ricerche di Venezia per la promozione della reciproca conoscenza e dell’incontro tra cristiani e musulmani.
Uno dei momenti più significativi dell’evento, che si è tenuto ad Amman, la capitale della Giordania, il 20 e 21 giugno scorsi, è stato l’incontro con Abu Nimah, direttore dell’Istituto reale per gli studi interreligiosi. «Gli appelli al dialogo», ha detto Nimah, «devono armarsi per fronteggiare la mentalità della guerra, del fondamentalismo e del non rispetto dell’uomo». «Ciò non sarà possibile», ha aggiunto, «se non sapremo come relazionarci con la cultura dello scontro e sostenerne una di dialogo e di vita comune tra gli uomini, nella differenza delle loro fedi». A suo avviso «molto è stato detto sul confronto interreligioso, ma miliardi di dollari sono stati spesi nel mondo per strumenti di guerra, morte, violenza e terrorismo».
Tra gli elementi capaci di promuovere un dialogo vero c’è proprio la religione, «un istituto fondamentale e un punto di riferimento per la morale, i valori e i principi di comportamento e di vita. Essa incita al bene dell’uomo e della collettività su questa terra». Come Nimah ha successivamente spiegato in un’intervista all’inviato libanese di Avvenire, Camille Eid, si tratta non di religione «in quanto struttura teologica o dogmatica, ma come struttura sociale che, insieme ad altre, partecipa ai meccanismi di interazione sociale dell’umanità, sia nella vita quotidiana che nelle aspirazioni per il progresso delle condizioni di vita future».
I lavori del Comitato sono stati aperti dal cardinale Angelo Scola, uno dei fondatori di Oasis. Il Patriarca di Venezia ha parlato di identità di popolo, domandando cosa succede «quando un numero consistente di persone inizia a metterla in discussione perché proviene da un’altra religione o vi si converte», ricordando che in molti Paesi a maggioranza musulmana tale caratteristica «risulterebbe minacciata se si concedesse la possibilità di convertirsi a chi è già musulmano». Scola ha esortato Occidente e Oriente a «mettere meglio a fuoco come il rapporto tra libertà religiosa e identità di popolo incida sulla vita sociale», chiedendo di lasciare a tutti anche la possibilità più difficile da accettare, quella di convertirsi.
Dopo il cardinale è intervenuto il professor Nikolaus Lobkowicz, direttore dell’Istituto per gli studi sull’Europa orientale di Eichstatt, il quale ha segnalato l’importanza della Dignitatis Humanae, la dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa: «La sua straordinaria qualità», ha spiegato Lobkowicz, «consiste nell’aver trasferito il tema dalla nozione di verità divina a quella dei diritti della persona».
Anche il professor Khaled Al-Jaber, dell’università giordana di Petra, ha portato il suo contributo, affermando che per seguire la verità della libertà «dovremo rivolgere il nostro sforzo a rimuovere l’ingiustizia dell’uomo». Il docente ha poi accusato le religioni che «si sono limitate al rapporto dell’uomo con Dio, lasciando ad altri l’organizzazione dei rapporti dell’uomo con l’uomo». Queste, secondo Al-Jaber, potranno tornare a rispondere ai problemi del dialogo soltanto quando «riprenderanno a svolgere quel ruolo a cui hanno rinunciato».

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