Famiglia

L’Arcobaleno, lira su lira

Oltre la metà dei soldi è già arrivata a destinazione. Ben 81 i progetti esaminati, alla media di uno al giorno. Le spese per la gestione lo 0,09% della cifra raccolta.

di Gabriella Meroni

Per mesi abbiamo visto quell’onda colorata dappertutto: al telegiornale, al supermercato, perfino dal tabaccaio, sopra il banco del Lotto. L’onda colorata della Missione Arcobaleno ha raccolto, in poco più di tre mesi, 120 miliardi. Una cifra record, che – altro record – per metà (63 miliardi) è già arrivata a destinazione, cioè alle organizzazioni che aiutano i profughi kosovari al di là dell’Adriatico. Nessuna legge dello Stato sarebbe mai stata così veloce nel reperire e distribuire i finanziamenti. E nessuna legge dello Stato avrebbe richiesto come spese di “messa in pratica” un infimo 0,09% del patrimonio a disposizione. Queste, in estrema sintesi, le cifre che caratterizzano un’operazione senza precedenti nella storia italiana. Ma i grandi numeri, nel campo della solidarietà, non bastano. Così abbiamo cercato di fare le pulci ad Arcobaleno, per vedere che fine hanno fatto i 63 miliardi raccolti, che fine faranno gli altri 60 o giù di lì ancora da distribuire, e dando voce ai protagonisti che quell’onda colorata l’hanno cavalcata, da una parte e dall’altra: le Ong e il professor Marco Vitale, il plenipotenziario indicato dal presidente D’Alema come super-gestore dei fondi a cui è toccato decidere a chi e perché dare (o negare) tutti quei miliardi. Adesso Vitale, 63 anni, docente universitario e consulente aziendale, ex presidente delle Ferrovie Nord, ex assessore al Bilancio del Comune di Milano ed ex commissario straordinario dell’ospedale maggiore di Milano è quasi arrivato alla fine della sua fatica (il suo mandato, prorogato dal presidente del Consiglio, scade il 30 settembre). Per questo, forse, dice che in fondo sì, tornasse indietro quell’incarico lo accetterebbe di nuovo. Ma non è certo stata una passeggiata, di quelle che lui – informa il curriculum – ama fare in montagna, dalle Ande all’Alaska al Karakorum. Il cammino di Arcobaleno è stato infatti costellato anche di polemiche e di critiche, avanzate da alcune ong che con Arcobaleno hanno lavorato fianco a fianco. Del resto, lo stesso Vitale ammette che i rapporti più tesi si sono stabiliti proprio «con alcune Ong». “Vita” ha provato a metterle virtualmente intorno a un tavolo (abbiamo interpellato Acli, Caritas, Intesos, Ai.Bi., Cesvi, Ics e Capodarco), facendo emergere, oltre ai molti apprezzamenti, soprattutto per la trasparenza e la velocità, anche le obiezioni principali che ha poi girate al diretto interessato. Un gruppo di Ong continua a sollevare il problema del Tavolo Kosovo che non è stato più convocato. Non solo. Anche il Dipartimento degli Affari sociali, che del Tavolo è responsabile, ha fatto partire alcune bordate accusando un “profondo scollamento” con Arcobaleno. Ritiene di avere qualche responsabilità? Che spiegazione dà? «Conosco e rispetto l’argomento ma fin dal primo momento è stato chiaro che io non ho né il potere né il dovere di convocare il Tavolo Kosovo» dice Vitale. «Io ho solo cercato di collaborare con tutti i partecipanti, cosa che credo sia avvenuta con la grandissima maggioranza di loro». Anche se ovviamente qualcuno è rimasto fuori. Insediato il 9 aprile scorso, al 30 giugno Vitale aveva esaminato 81 progetti (in media 1 al giorno, domeniche incluse), approvandone 53 e respingendone 17. Spintarelle per far passare qualche progetto? «Sì, qualcuna è arrivata. Ed è stato il momento più sgradevole di tutta questa esperienza». E l’episodio più bello? «Il colloquio con il rappresentante dell’Onu, Staffan De Mistura, quando mi ha detto che bisognerebbe fare una grande thanksgiving day, un giorno del Ringraziamento per gli italiani». Altre Ong chiedono se non era utile avere nel pool di esperti un tecnico della cooperazione allo sviluppo piuttosto di tanti consulenti d’azienda. Come risponde? «Nella prima fase si trattava di realizzare un elevato numero di progetti, e per analizzarne tanti con un sufficiente approfondimento ci vuole la competenza tipica degli esperti aziendali. D’altra parte io credo molto nella collaborazione tra imprenditorialità e solidarietà», continua Vitale. «In questi giorni sto leggendo l’affascinante libro di Muhammad Yunus, Il banchiere dei poveri, che dimostra la possibile integrazione tra le metodologie imprenditoriali e gli obiettivi umanitari. Probabilmente adesso sarà bene affiancare un tecnico della cooperazione, anche se guardo a questi personaggi con la stessa preoccupazione di Yunus, dato che i disastri che hanno fatto negli ultimi 40 anni sono ormai parte della storia economica». Ma anche Arcobaleno ha fatto qualche danno causando fratture nell’universo delle Ong. Crede sia un fattore positivo e di sviluppo anche della cooperazione o un dato negativo? «Sono dispiaciuto per queste fratture» dice Vitale. «Peraltro nelle strutture complesse e nelle situazioni complesse alcune fratture sono naturali, e se gestite in buona fede possono diventare un fattore di crescita. Ma perché questo avvenga è necessario il grande dono dell’ascolto generale». Ultima obiezione: ogni progetto è stato preso in considerazione singolarmente e separatamente, in quanto tale. Non crede che questo abbia nuociuto al coordinamento? «La generosità degli italiani ha permesso di non sacrificare nessun progetto a spese di un altro. Vi è stata cioè capienza per tutti i progetti e se qualche progetto è stato bocciato o ridimensionato è avvenuto esclusivamente in relazione al nostro giudizio sul merito specifico. Poi l’insieme dei progetti veniva ovviamente inquadrato nelle priorità generali concordate anche con gli organi di governo, e che erano peraltro semplici, forti e chiare». Questa estate sarà decisiva per il prosieguo della Missione. Visto lo scenario in continuo cambiamento, ci si chiede come proseguirà Arcobaleno. Avete già delle linee guida? «Le prospettive future sono complicate» è la risposta. «Nell’emergenza la risposta era chiara, e in più la Missione Arcobaleno si muoveva secondo una logica ben precisa. Oggi il quadro è molto mutato, felicemente mutato, ma in Kosovo non vi è più la presenza e la guida della parte pubblica dell’Arcobaleno che era di conforto. Qui bisogna entrare in una situazione guidata da organismi internazionali e che richiede un momento di riflessione. Per ora abbiamo fissato le seguenti direttive per l’Albania: continuare ad assistere i centri che ospitano le persone più deboli e per cui il rientro sarà più difficile; continuare gli investimenti che abbiano già una componente di sviluppo (strutture fisse predestinate a diventare poliambulatori o scuole, interventi su acquedotti o altri servizi). Pensiamo, con De Mistura, che questi interventi abbiano una natura risarcitoria verso il generoso popolo albanese e devono essere completati. In Italia rafforzeremo l’assistenza dei profughi; infine, in Kosovo stiamo guardando alla possibilità di partecipare alle attività delle (per ora) poche Ong italiane. Abbiamo quindi immediatamente sostenuto i progetti che sono già ricostruzione, come il finanziamento dell’ospedale prefabbricato della Croce Rossa». E siamo solo a metà strada. ha collaborato Carlotta Jesi


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