Volontariato

L’Aquila, la ricostruzione e gli open data delle macerie

di Andrea Cardoni

«La spettacolarizzazione del mondo è, di per sè, la propria fine (…) essa vuole esprimere la fine della storia. Le rovine invece danno ancora segno di vita. Le macerie accumulate dalla storia recente e le rovine nate dal passato non si assomigliano». Lo scriveva Marc Augé in un saggio intitolato, appunto, “Rovine e macerie”.

Nonostante siano passati ormai quattro anni dal terremoto, l’immagine di Barak Obama L’Aquila di fronte alle macerie del Palazzo del Governo nel corso del G8 del 2009 è ancora forte. L’Aquila continua a essere spesso dimenticata. Sentenze, manifestazioni, silenzi, spot, ordinanze… tutto si intreccia in quella che era una città, e il suo centro storico, che ancora è ferma a quattro anni fa.

La corruzione uccide” è il titolo dell’articolo apparso su Nature nel 2011 (due anni dopo il terremoto aquilano) e firmato dall’inglese Nicholas Ambraseys (Imperial College di Londra), e dall’americano Roger Bilham (University of Colorado). Comparando i dati dei danni di due terremoti della stessa intensità (grado 7 della scala Richter) in Nuova Zelanda (zero vittime) e ad Haiti (230mila morti), l’83% di tutte le vittime di un terremoto sono morte in paesi con un indice di corruzione alto. A supporto di questa tesi ci sono i dati sull’edilizia, uno dei settori industriali più esposti alla corruzione a livello globale e in Italia uno dei fenomeni più preoccupanti (vedi Cemento SPA di Legambiente), vista anche l’insicurezza dei nostri edifici pubblici (come le scuole, oltre il 20% sono prive di ogni requisito di sicurezza) e privati. Senza contare le tante comunità prive di piani di protezione civile.

Aldilà delle obiezioni che sono state fatte ai due scienziati riguardo alla similitudine di due fenomeni lontani e delle tante variabili che potrebbero allontanare i due eventi, resta però il dato che la trasparenza è uno degli elementi cardine per la sopravvivenza (prima) e la ricostruzione (dopo) di qualsiasi disastro. Secondo Transparency international, nel 2012 l’Italia è scesa al 72mo posto con 42 punti su una scala da 0 a 100 (un livello di corruzione vicino a quello della Tunisia, che ha 41 punti).

A L’Aquila il lavoro di messa in sicurezza degli edifici e di rimozione delle macerie continua da quasi quattro anni: fino a ieri, 2 aprile, sono state rimosse 772.924 tonnellate di macerie dai lavori per gli edifici pubblici e privati. Oggi è possibile controllare in diretta, nel massimo della trasparenza, lo stato della rimozione delle macerie pubbliche (quelle che vengono dai crolli per il terremoto, edifici abbattuti dall’ordinanza del sindaco o edifici pubblici) e di quelle private (quelle che provengono dalla ristrutturazione degli interventi edilizi su edifici privati danneggiati dal terremoto).

Non solo: sul sito del Commissario per la Ricostruzione ognuno di noi può controllare la lista e la mappa dei cantieri, la lista dei trasportatori (per le macerie private), dei punti di conferimento. Tutto in tempo reale, grazie agli open data. Questo si deve al lavoro di quello che è chiamato Soggetto Attuatore (delegato dal Commissario per la Ricostruzione) e dei ragazzi di Mister Wolf, l’agenzia che si è occupata del sito e delle infografiche che seguono lo stato dei lavori.

Nella fattispecie, il Soggetto Attuatore è un gruppo di quattro persone, guidate da Giuseppe Romano, ingegnere e Dirigente generale dei Vigili del Fuoco, che insieme al suo staff si è occupato dell’ideazione e della gestione del progetto.

Come funziona? Il processo inizia nel cantiere dove le macerie sono sottoposte ad una prima selezione e a una prima separazione. Gli operatori dell’ASM dividono le macerie tra ferro, legno e plastica. Il materiale ripulito va sui mezzi e inizia il viaggio. Durante il trasferimento una sala operativa può monitorare il viaggio per dare assistenza e segnalare criticità. Arrivato al punto di conferimento, il camion accede alla bascula dove viene rilevato il peso lordo e registrato il punto di partenza. Gli addetti inseriscono i dati via internet nel sistema messo a punto del Soggetto Attuatore. Se il materiale trasportato è stato sufficientemente trattato, le macerie vengono analizzate e separate ulteriormente. Una volta scaricato, il mezzo viene pesato di nuovo per rilevare la tara e a questo punto conosciamo la quantità di materiale trasportata nel viaggio.

Il primo obiettivo del nostro progetto”, dice Giuseppe Romano, “era quello di rendere disponibile un sistema di monitoraggio, un cruscotto, che permettesse di seguire la movimentazione delle macerie pubbliche che erano state trasportate solo da Vigili del Fuoco ed Esercito. Abbiamo applicato un sistema di monitoraggio dei mezzi con il gps per studiare e ottimizzare i percorsi. Di conseguenza abbiamo cambiato proprio il ciclo di movimentazione delle macerie. Questo sistema ci ha permesso di conoscere in tempo reale l’andamento del lavoro del giorno, se era necessario intervenire oppure no, se la giornata era buona, dov’erano i problemi. Avendo questi dati disponibili, abbiamo pensato agli open data visto che erano, e sono, comunque attuali”.

– Perché avete pensato proprio all’open data? Prima di tutto per far sapere alla gente quello che stiamo facendo. E poi perché, dal punto di vista lavorativo potevamo condividere questi dati con gli operatori presenti nella filiera. Alle prime riunioni ogni autista ha cominciato a vedere il lavoro fatto, quello che aveva trasportato, quanto tempo aveva impiegato e di conseguenza faceva le sue osservazioni, le sue proposte e questo rendeva possibile raccogliere e condividere suggerimenti e contributi che ci hanno permesso di migliorare anche il servizio”.

– E poi come siete arrivati alle macerie private? Tutte le macerie dovevano essere trasportate da soggetti pubblici per evitare diseconomie e infiltrazioni, ma sarebbe stato impossibile per le casse della struttura pubblica. Ci siamo chiesti: perché estromettere questa attività per le imprese del posto visto che, tra l’altro, lavorano di più? Così abbiamo cambiato impostazione. Il privato poteva partecipare ma ad una condizione: il monitoraggio delle attività, non solo dal punto di vista fiscale, doveva essere costante. Dovevamo sapere quante macerie erano state rimosse, e poter rintracciare ad ogni momento ogni movimento e ogni spostamento. Quando abbiamo visto che il sistema funzionava con le macerie pubbliche, con qualche piccolo cambiamento lo abbiamo fatto con i privati. Abbiamo coinvolto le associazioni di categoria, i trasportatori stessi che inserivano i dati e, anche se all’inizio c’erano un po’ di resistenze, il sistema è stato accettato.

– C’è stato un effetto che non avevate preventivato? La sorpresa principale è che il sistema è divenuto uno strumento di lavoro per i privati. Ricevevamo le telefonate dei professionisti dei direttori dei cantieri ci facevano domande approfondite sul sistema di registrazione del dato. Poi ci hanno spiegato perché la contabilità classica del cantiere delle macerie non la facevano più: avendo il dato pubblico, ed essendo il dato pubblico più garantito, lo prendevano da lì. Ad esempio se il materiale che arrivava in un impianto non era stato registrato dal trasportatore, l’impianto non riceveva il materiale. L’open data ci offre un monitoraggio stretto e controllato da tutte le parti: dai direttori dei lavori alle imprese, dagli impianti ai trasportatori. E tutto accade in tempo reale e sotto gli occhi di tutti, su internet”.

-Quanto peso ha questo progetto sulla ricostruzione e sull’amministrazione pubblica? Il primo passo per la ricostruzione è fare spazio. Ecco perché è importante questo progetto. Se uno fa un bilancio e se l’investimento è adeguato, i vantaggi per l’ente pubblico che adatta l’open data sono infinitamente maggiori”.

– A quanto pare, è un modello adattabile anche ad altri contesti, che non riguardano solo le macerie… Si perché l’unica cosa da fare è registrare un cantiere, che può essere anche negli Stati Uniti, e un punto di consegna che posso registrare che può essere (per assurdo) in un altro continente. I codici dei rifiuti possono essere infiniti: i luoghi di origine possono essere anche le imprese, e non solo i cantieri. Così come i luoghi di destinazione della merce”.

Una chiacchierata ora anche con l’altra parte di questa storia: Alessandro Giangiulio di Mister Wolf. Il nome viene da “Pulp fiction”, risolvono i problemi della comunicazione web dodici anni. Intorno a Mister Wolf gravitano 5-6 persone, tra collaboratori stabili, soci e collaboratori esterni, con età dai 25 ai 40 anni. Nel progetto in collaborazione con il Soggetto Attuatore, si sono occupati della realizzazione del sistema con tecnologie open source. “Un sistema complesso su cui operano molti soggetti che vi inseriscono dati con diversi ruoli”, dice Alessandro. “Poter accedere in tempo reale ai dati (chi sta lavorando, cosa si trasporta, dove, quali sono le strade percorse – tutte informazioni disponibili sul sito internet) permette di controllare, vigilare, correggere, pianificare e quindi, alla fine, operare meglio nelle fasi necessarie all’attività della rimozione delle macerie”.

– Progetti simili al vostro? “Il progetto realizzato attraverso Open Street Map dopo il sisma in Emilia Romagna, con le mappe aggiornate con strade interrotte e case crollate, e poi Open Ricostruzione, sempre in Emilia, che permette di seguire online i dati delle donazioni a seguito del sisma”.

Scrive Marc Augè: «le rovine danno ancora segno di vita».

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