Volontariato

L’appartenenza

di Dino Barbarossa

Già da tempo mi soffermo sul senso dell’appartenenza, forse perché cerco di oppormi con tutte le mie forze a questo tempo di disgregazione, di ribaltamento culturale e valoriale, di assenza di relazioni.

L’appartenenza è un sentimento che mi ha sempre accompagnato, nel bene e nel male.

Appartenere ad una famiglia, appartenere ad una comunità, appartenere ad un popolo, appartenere ad una fede, appartenere perché desidero essere in relazione, essere interdipendente.

L’appartenenza indica ed integra l’identità ed in buona sostanza indica la stessa esistenza. Ecco perché tutti gli uomini cercano di appartenere per esistere e, ove possibile, per “contare”.

Ma la nostra epoca di disgregazione sociale, sta lasciando indietro una progenie di “senza casta”, di persone che non appartengono a niente ed a nessuno, che vengono escluse ed emarginate, non contano nulla.

Penso alle persone sole, alle persone anziane, alle persone disabili, alle persone di altre razze o religioni, ai bambini delle periferie, alle famiglie che perdono lavoro, casa, a tutti coloro che non possono più curarsi, a coloro che subiscono violenza, a chi è costretto a lasciare la propria casa, i propri affetti, la propria terra, a chi vive in strada, a chi scompare nel nulla.

La scommessa allora è quella di generare appartenenza fra gli esclusi, includere chi si trova “fuori le mura”, avere la capacità (umana prima che cristiana) di credere che il bene può appartenere a tutti, soprattutto a coloro che appaiono inutili o vulnerabili.

Certo, occorrono santi politici, occorrono santi imprenditori, occorrono santi sacerdoti, occorrono santi uomini e donne che interpretano la vita come un’opportunità di lasciare un segno tangibile di unità e di speranza.

Ricordo sempre a me stesso, che tutte le membra nel corpo sono necessarie, non solo quelle apparentemente più importanti e vitali.

Un ingegnere di Avellino e membro di “Cercasi un fine”, Pietro Urcioli, definisce il “senso di appartenenza un sentimento di fondamentale importanza nella nostra vita quotidiana, un legame che si instaura tra individui coscienti di avere in comune una medesima matrice culturale, intellettuale, sociale, professionale, religiosa.

Tuttavia è anche vero che un senso di appartenenza troppo marcato può comportare effetti deleteri. In questi casi l’organismo si chiude in se stesso separandosi dal suo naturale contesto; finisce col prendere piede una logica di divisione di tipo “dentro/fuori” per la quale gli estranei vengono visti come diversi. È appena il caso di rilevare che questa è la stessa logica che ispira i settarismi, i fondamentalismi, i nazionalismi”

Forse è per questo che cerco una posizione “eccentrica”, in cui l’appartenenza non è ad una ideologia o ad un partito o ad un contesto sociale autoreferenziale, bensi attenta a conservare la propria indipendenza di azione e di pensiero, per mantenere integra la propria obiettività di giudizio.

Magari questo non mi garantirà la partecipazione alla gestione del potere, alla “catena del potere”, ma mi assicurerà un’attenzione profonda e sincera a chiunque si metta in relazione con me, a prescindere da “quanto conta socialmente”

Per rinnovarsi e rinnovare – conclude Urcioli – bisogna essere eretici. Per essere eretici bisogna essere liberi. E per essere liberi bisogna restare ai margini.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.