Non profit

l’antibiotico va bene se lo si usa solo quando serve

Allarme Aifa sul rischio farmacoresistenza

di Chiara Cantoni

Malato di troppi antibiotici, assunti con troppa disinvoltura: un regalo alla capacità di adattamento dei batteri che, spingendo sul pedale dell’acceleratore evolutivo, maturano sempre più frequenti resistenze alle cure. È questa la diagnosi dell’Agenzia italiana del farmaco dopo aver visitato il paziente Paese, alla luce dell’ultimo Rapporto OsMed sui consumi e sulle cause di prescrizione dei farmaci in Italia.
«Alcuni germi patogeni importanti hanno già sviluppato livelli di antibiotico-resistenza che arrivano al 90%», lancia l’allarme il direttore generale Aifa, Guido Rasi. «Altri ceppi sono insensibili a tutti i cento antibiotici disponibili. E anche batteri un tempo “innocui” come la Escherichia coli e lo Stafilococco aureus, causa per esempio del “giradito”, non reagiscono più al 40% delle terapie, provocando talvolta gravi infezioni ospedaliere. Il timore è che, in un futuro non lontano, ci si trovi disarmati di fronte a malattie oggi banali, ma che potrebbero tornare ad essere un pericolo per mancanza di cure efficaci».
Già oggi, per le sei specie di batteri sorvegliate a livello europeo, l’ultimo rapporto sulla farmaco-resistenza parla di almeno 686mila infezioni con 25mila decessi e costi superiori a 1,5 miliardi di euro di ospedalizzazione. Contro il boom del fenomeno, legato a consumi impropri ed eccessivi, l’Aifa lancia, con l’Istituto superiore di sanità e il ministero della Salute, la campagna di sensibilizzazione «Antibiotici, usali con cautela». Il Rapporto OsMed, infatti, evidenzia un’Italia ai primi posti in Europa per consumo di questi farmaci (seconda solo a Francia e Cipro), soprattutto al Centro-Sud. Complessivamente, nel 2008, il 44% della popolazione ha ricevuto almeno una prescrizione di antibiotico (53 bambini su 100 e 1 anziano su 2), mentre sale a 6 o più il numero di prescrizioni per il 28-32% degli ultra75enni. Tra le cause più frequenti, le affezioni dell’apparato respiratorio (oltre il 40%), con impennate invernali, in corrispondenza dei picchi influenzali: «Un abbaglio, perché gli antibiotici non curano malattie di origine virale, come raffreddori o influenze, sia stagionali che pandemiche, ma infezioni batteriche, che solo il medico può accertare», prosegue Rasi. «Il ricorso al “fai da te” e l’acquisto di antibiotici senza ricetta, pratica diffusa secondo i nostri dati, contribuisce solo allo sviluppo di germi resistenti ed espone inutilmente al rischio di incorrere in reazioni avverse, anche gravi: tra il 2002 e il 2008 ne sono state registrate 7.266».
Ennesima aggravante, l’esiguità delle nuove molecole in sviluppo: «Una decina circa nel 2008 e solo 17 gli studi clinici in corso. Troppo pochi per sperare di vedere arrivare prodotti nuovi per la cura delle infezioni, dato che solo un medicinale su 200 fra quelli in sperimentazione raggiunge il mercato». Le classi di antibiotici che in Italia rappresentano il 90% del consumo totale sono le penicilline, seguite da macrolidi, chinoloni e cefalosporine. «Queste ultime due in particolare», conclude Rasi, «non danno ancora luogo ad alte percentuali di resistenza e dovrebbero perciò essere tenute in “cassaforte”, riservate al trattamento di infezioni gravi anziché all’uso eccessivo in medicina generale».


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