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L’annuncio di Msf: “Torniamo in mare. Non possiamo restare a guardare”

Medici senza frontiere riprenderà a fine mese le attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. La decisione presa mentre la situazione in Libia peggiora e l’Europa resta indifferente. La nuova nave, Ocean Viking, è gestita in partnership da Msf e Sos Méditerranée

di Antonietta Nembri

Medici Senza Frontiere (Msf) annuncia la ripresa delle attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale e condanna l’inazione criminale dei governi europei. In una nota l’organizzazione ricorda come “il ritorno in mare avviene dopo due anni di una sostenuta campagna dei governi europei per bloccare ogni tipo di azione umanitaria nel Mediterraneo e dopo la normalizzazione di politiche punitive che continuano a causare morti in mare e terribili sofferenze in una Libia devastata dal conflitto.
«I governi europei vogliono far credere che la morte di centinaia di persone in mare e la sofferenza di migliaia di rifugiati e migranti intrappolati in Libia siano un prezzo accettabile per le politiche di controllo della migrazione», dichiara Sam Turner, capo missione di Msf per le attività di ricerca e soccorso e la Libia. «La cruda realtà è che mentre sbandierano la fine della cosiddetta crisi migratoria in Europa, fanno consapevolmente finta di non vedere la crisi umanitaria che queste politiche perpetuano in mare e in Libia. Queste morti e sofferenze sono evitabili e finché continueranno, non possiamo restare a guardare».

La missione si avvarrà di una nuova nave la Ocean Viking (nella foto) gestita in partnership da Msf e Sos Méditerranée. Si tratta rende noto Msf di una nave norvegese che batte bandiera norvegese. L’armatore della nave è norvegese. Originariamente concepita per effettuare soccorsi in mare, come Nave per la Risposta e il Soccorso di Emergenza (Errv) – una tipologia di nave, spiega una nota, che resta in standby in mare pronta a soccorrere il personale delle piattaforme petrolifere e a intervenire in caso di incidenti che coinvolgono un numero elevato di persone. Ha tutta l’attrezzatura necessaria a svolgere operazioni di ricerca e soccorso, inclusi quattro motoscafi veloci (Rhib) e una clinica con aree per le consultazioni, il triage e il ricovero. La nave che può ospitare fino a 200 persone, partirà per il Mediterraneo centrale intorno alla fine del mese. Il team di Msf, responsabile per i bisogni medici e umanitari delle persone soccorse a bordo, è composto da nove persone: quattro staff medicali (un medico, due infermieri, un’ostetrica), un logista, un mediatore culturale, un responsabile per gli affari umanitari, un responsabile della comunicazione e un capoprogetto che coordina la squadra

Con pochissime navi umanitarie rimaste nel Mediterraneo centrale e gli ultimi residui della capacità di ricerca e soccorso europea irresponsabilmente abbandonati, questo tratto di mare resta la rotta migratoria più pericolosa al mondo. Quest’anno almeno 426 uomini, donne e bambini hanno già perso la vita durante la traversata, 82 dei quali in un naufragio appena due settimane fa.
Nei primi sei mesi del 2019, il rischio di annegare è più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo del 2018, solo considerando le morti note. Come se non bastasse, le navi commerciali si trovano in una posizione insostenibile, prese tra l’obbligo di soccorrere imbarcazioni in difficoltà e il rischio di rimanere bloccate in mare per settimane per la chiusura dei porti italiani e l’incapacità degli Stati europei di concordare un meccanismo per gli sbarchi.

«Torniamo in mare per salvare vite. E non possiamo restare in silenzio mentre persone vulnerabili subiscono sofferenze evitabili», dice Claudia Lodesani, presidente di Msf in Italia. «Se i leader europei condannano l’uccisione di migranti e rifugiati vulnerabili in Libia, devono anche garantire la ripresa di operazioni di ricerca e soccorso ufficiali, sbarchi in luoghi sicuri e l’immediata evacuazione e chiusura di tutti i centri di detenzione arbitraria. L’ipocrisia del crescente supporto fornito alle intercettazioni in mare e al ritorno forzato delle persone negli stessi luoghi dove vengono perpetrate le violenze, lascia intendere che quelle condanne sono solo parole vuote di finta compassione».

Il conflitto che da oltre tre mesi infuria in Libia nell’area di Tripoli – si ricorda – ha costretto oltre 100mila persone a lasciare le proprie case e ha trasformato i centri di detenzione arbitraria per rifugiati e migranti in trappole mortali. Totalmente esposte al conflitto, le persone rinchiuse nei centri senza possibilità di fuga temono per la loro vita dopo che diversi attacchi hanno causato circa 60 morti. Le evacuazioni umanitarie sono frammentarie e inadeguate, e il pericoloso viaggio nel Mediterraneo resta una delle uniche vie di fuga possibili.

Nel frattempo, i governi europei violano gli obblighi legali e umanitari che loro stessi hanno firmato, offrendo sempre maggiore supporto alla Guardia costiera libica per riportare forzatamente in Libia persone vulnerabili – in alcuni casi proprio nei centri dove le persone vengono uccise a colpi d’arma da fuoco o dai bombardamenti, come testimoniato dai tragici eventi nel centro di Tajoura poco più di due settimane fa.

Fino a quando i governi europei rifiuteranno di assumersi le loro responsabilità di ricerca e soccorso, e finché le persone continueranno a fuggire dalla Libia – insiste la nota di Msf – , ci sarà bisogno di navi umanitarie nel Mediterraneo. Il lavoro di Msf è guidato da principi umanitari e non possiamo fare a meno di provare a impedire che le persone anneghino in mare e portarle in luoghi sicuri, dove chi necessita di protezione internazionale possa richiedere asilo alle autorità competenti, come previsto dalle leggi internazionali.


In apertura e nella news immagini d'archivio sulle attività di salvataggio di Medici Senza Frontiere – ©foto Msf

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