Cinema
L’anno dello sdoganamento della bomba atomica
Ora che Oppenheimer ha dominato gli Oscar, sappiamo che questo 2024 è l’anno dello sdoganamento della bomba atomica. Nello stesso periodo in cui i potenti della terra, a cominciare da Vladimir Putin per arrivare a Emmanuel Macron e fino al presidente americano Joe Biden, hanno usato quell’espressione ecco la celebrazione dell’americano che ne organizzò la prima costruzione e il primo lancio
Adesso che Oppenheimer ha dominato gli Oscar, sappiamo che questo 2024 è davvero l’anno dello sdoganamento della bomba atomica. Nello stesso periodo in cui i potenti della terra, a cominciare da Vladimir Putin per arrivare a Emmanuel Macron e fino al presidente americano Joe Biden, hanno usato l’espressione, infrangendo il tabù. Nei mesi in cui hanno minacciato e insieme temuto l’uso della bomba nucleare, ecco la celebrazione dell’americano che ne organizzò la prima costruzione e il primo lancio. Un caso, si dirà. Congiunzione astrale, coincidenza ma anche, come sempre per Hollywood, un po’ spirito dei tempi, ritratto del pensiero dominante, specchio delle pulsioni contemporanee. Il cinema ha sempre fatto politica. Le pellicole sul Vietnam negli anni Settanta contribuirono alla coscienza pacifista e al ritiro americano. Questo Oppenheimer, nonostante la volenterosa dedica pacifista dell’irlandese Cillian Murphy nella cerimonia dell’Academy, contribuisce ad accettare la logica della guerra e delle armi.
La chiave fondamentale del film è infatti un libro di Kai Bird e Martin J. Sherwin, alla base della sceneggiatura, il cui titolo recita: “Il Prometeo americano”. Non è che la bomba atomica, con i suoi dilemmi e le sue tragedie, non ci sia. Ma il racconto del direttore del Progetto Manhattan prende spunto da questa particolare immagine: quella del semidio dell’antichità. Il Prometeo punito perché aveva portato il fuoco agli uomini. Come ha scritto Il Manifesto: “È una storia di genio e hybris, che sfocia in pura tragedia greca, ed è accesa del fuoco micidiale dell’atomica”. Nel mito antico l’ardimento prometeico (di disobbedienza all’Olimpo) fece fare un grande salto di civiltà agli uomini del suo tempo. Possiamo forse dire lo stesso della bomba atomica? Fece comunque fare un salto all’umanità quel fuoco atomico? Domanda non banale che ci introduce nel cuore dell’operazione culturale.
Proprio in questi giorni (altra coincidenza) il filosofo Massimo Borghesi fa uscire nelle librerie un suo lavoro molto interessante dal titolo: “Il male necessario” (edizioni Orthotes). In cui sostiene che “sono più di due secoli che la cultura europea accarezza il male, lo blandisce, lo giustifica. Il negativo comunica vertigine, delirio di onnipotenza, emozioni inconfessabili; illumina di bagliori rossastri i sentieri proibiti, gli abissi della notte, le vette ghiacciate. Colora di sé il peculiare titanismo moderno, il mito di Prometeo che, dal Romanticismo in avanti, attraversa la cultura europea. Il volume mette a fuoco il modello etico che sta alla base dell’idea di superuomo: quello che sorge dalla mescolanza di luce e tenebre, bene e male, Dio e il diavolo. Il manicheismo nuovo non teme il negativo. Memore del patto di Faust lo utilizza come impulso per arricchire la vita, la potenza, il progresso. Sarà Hegel, con la sua dialettica, a consacrare il patto con il Serpente, a siglare l’idea, destinata ad avere grande fortuna, per cui il bene può sorgere solo “attraverso” la mediazione del male. Il male – ed è la prima volta che ciò accade – diviene ora necessario”.
Parole che suonano disegnando un perfetto scenario filosofico che fa da sfondo alla vera operazione culturale che sta alla base del Kolossal di Hollywood: il Prometeo dell’atomica come simbolo del Male necessario. Il fuoco della bomba è un fuoco malvagio che distrugge per generazioni. È discutibile che rappresenti un progresso. Ma l’accostamento con Prometeo implica la positività assoluta della scoperta: quasi un tassello necessario dell’evoluzione umana.
In questa chiave colpiscono le polemiche sorte, nel silenzio dei mass media italiani, in Giappone e in Usa dove il film non è piaciuto a tutti perché da esso sono assenti le vittime vere della bomba: gli uomini e le donne di Hiroshima e Nagasaki sono ignorate. Al massimo stilizzate in qualche flash di ricordi e di rimorsi che appaiono nella mente del fisico. Non a caso Emily Zemler su Los Angeles Times ha scritto che il film «non mostra mai il bombardamento di Hiroshima o Nagasaki, per esempio, o le conseguenze su entrambe le città. Il numero delle vittime viene menzionato una volta di sfuggita. Inoltre, a parte una frase usa e getta, non vi è alcun riferimento all’effetto che i test atomici hanno avuto sui nativi americani del Nuovo Messico, noti come “downwinders”, coloro che subirono il vento atomico. Sebbene i critici riconoscano la fedeltà di Nolan alla prospettiva di Oppenheimer, sottolineano la contrastante mancanza di rappresentazione della perdita di vite umane giapponesi come uno dei fallimenti più significativi del film».
Critica molto severa ma certo fondata. A voler essere ancora più cattivi, è una bomba atomica stilizzata, tremendamente bella. Sicuramente necessaria. Una bomba giusta per una guerra giusta, quella contro Adolf Hitler. Poco importa se Berlino a quel punto era stata già conquistata dall’Armata Rossa e Hitler stesso suicidatosi nel Fuhrerbunker sotto la Cancelleria del Reich.È vero: una buona parte del film è dedicata alle vicissitudini di Robert J. Oppenheimer ai tempi del maccartismo. Ma è più in continuità di quanto si pensi con la celebrazione del Prometeo americano, padre della bomba. Perché il processo intentato contro di lui deve rispondere alla domanda: Oppenheimer fu un vero patriota? Ed il pubblico è portato a prendere le sue parti. Conclusione implicita: sì, la bomba atomica fu un male necessario.
Foto: La Presse
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.