Migranti
Lampedusa, minori non accompagnati sempre più piccoli. Gli operatori: «Anche bambini di tre anni»
Giovanna Di Benedetto, portavoce di Save the children, racconta la drammatica situazione di Lampedusa, dove, tra le persone costrette a dormire per strada per il sovraffollamento dell'hotspot, ci sono anche molti vulnerabili. Tra gli arrivi, aumentano le presenze di minori piccolissimi senza genitori
Tra le migliaia di migranti ammassati in attesa di trasferimento a Lampedusa, dove l’hotspot non può contenere più di seicento persone, anche moltissimi minori stranieri non accompagnati e famiglie. Sul posto, insieme alle autorità e alle diverse realtà di solidarietà, gli operatori di Save the children, che danno supporto alle persone più vulnerabili, alle famiglie e ai bambini. La portavoce dell’organizzazione, Giovanna Di Benedetto, descrive una situazione complessa, che mette a rischio i diritti fondamentali delle persone in arrivo. Anche dei più piccoli.
Sui giornali è uscita una vostra dichiarazione, secondo la quale tra i 7mila arrivi delle ultime ore, ci sarebbero un migliaio di minori stranieri non accompagnati. È così?
Abbiamo detto che finora la percentuale di minori stranieri non accompagnati sugli arrivi di quest’anno è circa del 10%. Facendo una stima, quindi, si può dire che accada la stessa cosa qui, ma in realtà non si sa nulla di preciso. Al momento il dato certo è di almeno 300 minori, ma la quantità reale è molto più alta. Non ci sono numeri sui bambini e i ragazzi, tutto è abbastanza fluido perché per fortuna ora ci sono tanti trasferimenti. C’è però una tendenza che abbiamo notato in questi mesi: l’arrivo di minori stranieri non accompagnati sempre più piccoli, anche di tre, cinque o sette anni.
Come accade questo?
Perché vengono separati dalle famiglie nelle fasi concitate dello sbarco o perché vengono affidati a un conoscente per fare la traversata, magari per ricongiungersi a un genitore che è già in Italia.
Come avviene l’accoglienza in questi casi?
Chiaramente c’è sempre la massima attenzione; noi collaboriamo con le istituzioni, perché ovviamente sono sempre le autorità a prendere in carico questi bambini. Nell’immediato il piccolo viene collocato nella struttura più sicura possibile; quando poi ci sono le condizioni viene dato in affido o portato in una comunità per bimbi senza genitori, quindi non in generale per minori stranieri non accompagnati. Se in Italia c’è la madre o il padre, si cerca di far avvenire il ricongiungimento il più presto possibile.
I minori stranieri non accompagnati più grandi che percorso seguono, invece?
Per legge dovrebbero essere trasferiti in strutture a loro dedicate, dove vengono rispettati alcuni standard qualitativi, che dovrebbero accompagnarli verso un processo di inclusione sociale. Questo non sempre avviene. La Legge Zampa sui minori stranieri non accompagnati è una delle più avanzate a livello europeo, ma non ha mai trovato piena attuazione. Per esempio, i posti nella prima accoglienza sono pochissimi in ogni Regione e questo crea spesso dei cortocircuiti, per cui i ragazzi non vengono trasferiti rapidamente come dovrebbero dopo lo sbarco. In generale, un elemento cruciale è potenziare e ampliare la prima accoglienza.
Com’è la situazione a Lampedusa in queste ore?
Grazie ai trasferimenti la tensione si sta allentando, ma è comunque ancora molto complessa. Sicuramente assieme a tutte le istituzioni e le organizzazioni stiamo cercando di fare uno sforzo corale per gestirla. Come Save the children operiamo qua in partership con Unicef stiamo cercando di seguire tutti i casi vulnerabili, di trovare soluzioni in collaborazione con le autorità per i nuclei di mamme e bambini e per i minori soli, anche per i più piccoli. Stiamo distribuendo kit e pannolini. Cerchiamo di dare supporto là dove è possibile, perché operare in queste situazioni di sovraffollamente è veramente difficile. Le persone in questi giorni hanno dormito in strada, proprio fuori dall’hotspot. La Croce rossa ha distribuito delle brandine, ma hanno dormito all’aperto anche donne e bambini. È capitato però qualcosa di molto bello: i lampedusani, nella maggior parte dei casi, hanno avuto una risposta generale di grande solidarietà, hanno aperto le loro porte, hanno organizzato spaghettate, hanno dato cibo, da bere. Alla chiesa si stanno organizzando dei pasti, con il coinvolgimento di tutta la comunità.
La foto in apertura è di Cecilia Fabiano /LaPresse
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