Cultura

L’altra immigrazione: Mohammed e lo zaino

Una lettrice scrive a Vita, indignata per la proposta di prendere le impronte digitali agli immigrati. E racconta un episodio di piccolo-grande eroismo di un cittadino straniero

di Giampaolo Cerri

C’è un’immigrazione che nessuno racconta. Che non è fatta di cronache nere, di impronte digitali, di espulsioni coatte. Come quella che Nadia, una lettrice, ha raccontato a Vita. «E? una mattina come tante altre. No è una mattina migliore. Migliore di quella di ieri, spero non migliore di quella di domani. Esco di casa per andare in ufficio, e come ogni mattina, lego il mio zaino con un tirante sulla moto, mi metto il casco e parto. C?è traffico, il solito traffico milanese, quello dell?ora di punta, sono in ritardo, comincio a fare lo slalom tra le macchine e finalmente arrivo in ufficio. Scendo dalla moto mi giro per slegare lo zaino, e lo zaino non c?è più. Sparito, volato via nel traffico congestionato. Ho avuto un istante di panico, quello che viene nelle situazioni limite, quel momento di confusione dove i pensieri si addensano nebulosi, e non sai quale cosa fare per prima. Nel mio zaino c?èra tutto, le chiavi di casa, quelle di casa di mio fratello, quelle di casa di un amico. Le mie carte di credito, la mia agenda elettronica, dove c?è memorizzata tutta la mia vita, la vita da cittadina. Riordino le idee, entro in ufficio e avviso che mi devo assentare, devo andare a fare una denuncia per lo smarrimento dello zaino. Esco, rimetto il casco e parto. Il mio pensiero è quello di ripercorrere a ritroso il tragitto e sperare di vederlo da qualche parte? ma in realtà non ci credo veramente. Fermandomi ad un semaforo vedo una vigilessa. Le racconto brevemente l?accaduto e le chiedo se mi sa dire quale sia il commissariato più vicino alla zona dove credo possa essere successo. Non sa rispondermi, eppure sto parlando ad una vigilessa che presidia una via chiusa al traffico, nel pieno centro di Milano, e il mio tragitto per l?ufficio attraversa solo il centro di Milano! Riparto e percorrendo le strade di qualche istante fa, mi accorgo che sto cominciando a ripetermi mentalmente che non legherò mai più lo zaino dietro, che metterò le chiavi nelle tasche della giacca, che non sarò mai più così sciocca e sbadata. Arrivo ad un comando dei vigili urbani, entro e nessuno si interessa a me, tento di catturare l?attenzione di un agente affacciandomi timidamente ad una stanza. Esce, gli spiego l?accaduto. Chiedo dove potrebbero portare un oggetto smarrito nel tal zona se dovessero trovarlo delle persone oneste. Mi dice all?ufficio degli oggetti smarriti della tal via. Mi consiglia di chiamare in serata oppure la mattina del giorno successivo. Chiedo se hanno il numero dell?ufficio oggetti smarriti della tal via, mi dicono di no. Chiedo se posso fare la mia denuncia da loro. Non è possibile, devo andare dai carabinieri. Esco, rimetto il caso, parto e vado alla ricerca di un commissariato dei carabinieri. Lo trovo, tralascio l?attesa per entrare all?ufficio preposto alle denuncie. Questa è un?altra storia. Entro, stavo quasi per sedermi davanti all?agente nell?ufficio denunce quando squilla il mio cellulare. E? una mia collega, mi dice: ?ha appena telefonato un certo Mohamed – il nome naturalmente non corrisponde a quello vero, per rispetto della sua privacy, anche se vorrei gridarlo a tutti per la gioia ? dice che ha trovato il tuo zaino, ha lasciato il suo numero di telefono, se lo chiami ti puoi mettere d?accordo per dove incontrarvi?. Non potete immaginare la gioia, o forse si. Mi alzo, mi scuso con il carabiniere per il falso allarme, esco e chiamo Mohamed: ?ciao, sono la ragazza che ha perso lo zaino, grazie mille per aver cercato di trovarmi. Dove possiamo incontrarci per riprenderlo??. Ci diamo appuntamento nel tal posto dopo dieci minuti. Arrivo sul posto scruto tutt?intorno ma non lo vedo. Lo richiamo, mi scuso ma non riesco a trovarlo, gli spiego esattamente la mia posizione, mi dice di stare ferma li, mi raggiunge lui. Nel frattempo mi giro e vedo una figura slanciata che mi viene incontro facendo dei gesti con la mano per catturare l?attenzione, la mia. Gli corro incontro. E? Mohamed, un nord-africano. Ho il suo viso olivastro, i suoi capelli riccissimi, il suo sorriso irregolare e i suoi occhi svegli davanti a me. Non so davvero come ringraziarlo, continuo a ripetergli quanto gli sono grata, che è stata davvero una persona onesta e gentile. Lui mi dice che ha visto il mio zaino cadere dalla moto, che ha chiamato per fermarmi, ma che ho proseguito senza voltarmi. Quando ha capito che non mi ero accorta di nulla, ha deciso di aprire lo zaino e cercare un indizio per contattarmi. Ha aperto un?agendina e cominciato a telefonare a tutti i numeri di telefono che ha trovato? arrivando a quello dell?ufficio. Vorrei abbracciarlo per la gioia e la gratitudine, ma forse è un gesto che non apprezzerebbe, non so, quindi non lo faccio. Gli chiedo imbarazzata come posso sdebitarmi, ricambiare. Vorrei lasciargli dei soldi, ma forse lo offenderei. Pagargli almeno tutte le telefonate che ha dovuto fare prima di approdare a me. Gli chiedo se posso offrirgli qualcosa ad un bar, mi dice che non vuole nulla e che comunque non può lasciare il suo posto di lavoro. Mohamed, è un nord-africano, lavora per il comune di Milano, fa il giardiniere, e stamattina, il destino ha voluto che ci incontrassimo. L?onestà ed il senso civico non hanno razza, colore della pelle, religione. Penso che non voglio, la prossima volta che mi presenterò ad una caserma dei carabinieri per denunciare lo smarrimento dello zaino che mi è caduto dalla moto, trovarmi di fronte agli occhi di Mohamed convocato perché extracomunitario, per lasciare la sua impronta digitale elettronica!!! Forse questa lettera, è il mio ringraziamento migliore. Grazie Mohamed, grazie davvero».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA