Non profit
L’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile
Presentata a Roma l'ASVis. Obiettivo «diffondere la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030, favorire lo sviluppo di un cultura della sostenibilità a tutti i livelli». Coinvolte oltre 80 associazioni, fondazioni, università e istituzioni Intervista al portavoce Enrico Giovannini
“Un’Alleanza per un’Italia sostenibile e più giusta”. E’ stata presentata oggi a Roma l’ASvis, più di 80 associazioni, fondazioni, università, istituzioni e reti della società italiana, che si sono messe insieme per far crescere nel nostro Paese “la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030, favorire lo sviluppo di un cultura della sostenibilità a tutti i livelli; analizzare le implicazioni e le opportunità per l’Italia e contribuire alla definizione di una strategia italiana per il conseguimento degli SDGs (Sustainable Development Goals)”. Ossia i 17 obiettivi e i 169 target per lo sviluppo rispettoso dell’ambiente e della società adottati a settembre 2015 dai paesi delle Nazioni Unite e da raggiungere entro il 2030. Lotta alla povertà, alla fame, alla disuguaglianza, alla dispersione energetica, ai cambiamenti climatici, accesso all’educazione e al lavoro; acqua, specie, mari, modelli di produzione, e di città, accesso alla giustizia, alcuni di questi.
“Il mondo, non solo qualche scienziato, ha chiaramente detto che siamo in una situazione d’insostenibilità, che non è solo ambientale ma anche sociale, economica e istituzionale”, ha detto Enrico Giovannini, economista e statistico, ed ex presidente dell’Istat che di quest’Alleanza ne è il portavoce. Che ha presentato qualche numero per dare in sintesi un quadro della situazione. 800 milioni di persone che vivono in estrema povertà; 250 ml di bambini analfabeti; 700 milioni non hanno acqua pulita; 200 milioni di disoccupati; 60 milioni in schiavitù; lo 0,5 % dei più ricchi ha il 90% della ricchezza mondiale e il 50% delle persone non ha un’educazione secondaria. L’8% delle specie animali è ormai scomparso e il 22 è a rischio, 12 milioni di ettari di deserto all’anno in più: e, fra i tanti, un dato “particolare che più mi ha colpito è che il peso della plastica presente nei nostri oceani è superiore a quello dei pesci. Questo è il mondo in cui viviamo!”.
Professore ma l’alternativa è credibile e su quali fronti?
Abbiamo un’alternativa, il futuro non è segnato, per non mandare il mondo alla deriva. Questa scelta il mondo l’ha fatta ora bisogna tradurla in scelte concrete. Dobbiamo cambiare un paradigma: società, economia, ambiente e istituzioni non sono indipendenti, ma ormai sempre più integrate. Lo abbiamo visto negli anni scorsi quando una crisi da economica e diventata sociale e poi istituzionale.
Quali sono i principi di fondo di questa Agenda
Tre: l’integrazione di cui dicevo prima; l’universalità, non ci sono più differenze tra Paesi, (siamo tutti Paesi in via di sviluppo sostenibile; e a tutti è richiesto di fare la propria parte, non c’è nessuno che si può tirare indietro). E poi c’è il tema della partecipazione: senza le imprese, senza la società civile non si va molto lontano.
Cosa risponde a gli economisti che dicono che se si accentua il tema della sostenibilità si rischia di frenare l’economia e quindi aumentare la povertà?
Che la crisi dell’ambiente ormai sta mettendo in crisi l’economia, perché sappiamo che i rischi ambientali che si concretizzano in realtà abbattono non solo le infrastrutture, ma la stessa voglia di futuro, e quindi non si consuma più, ma si cerca di risparmiare. Questa integrazione tra il pensiero economico, il pensiero ambientale e l’attenzione al sociale, è la sfida di questi tempi. E su questo è possibile muoversi, perché ci sono tanti economisti e sociologi che stanno lavorando in questa direzione.
Come sta messa l’Italia a livello degli indicatori di base?
Siamo appena agli inizi delle valutazioni e ci sono primi indicatori che ci dicono che nel confronto internazionale non stiamo messi benissimo, ma neppure molto male. Abbiamo molto lavoro da fare. Dobbiamo fare in modo che quest’agenda diventi politica oltre che culturale nel Paese, altrimenti rischiamo di perdere la prossima legislatura e arriveremo al 2023 che è troppo tardi. Sono molto fiero – tra l’altro – che nell’ultimo goal si dice che bisogna andare oltre il Pil, impegno che (con l’Istat) porto avanti da anni, sostenendo che non si può misurare il benessere di una popolazione solo con il Prodotto interno lordo. Vuol dire che dai e dai, i processi arrivano.
Cosa devono fare i Paesi secondo questa agenda?
In sintesi: integrare gli SDGs nei propri programmi a breve e medio termine; delineare sul piano concettuale un nuovo modello di sviluppo; essere credibili a livello internazionale; entrare in una dimensione internazionale ma con una progettualità locale, regionale e non solo nazionale. E per questo siamo contenti che all’Alleanza abbia aderito anche l’Anci, perché servono gli amministratori locali, per trasformare questo piano.
Possiamo individuare tra i 17 l’obiettivo più difficile e quello prioritario da raggiungere?
Credo che nel breve termine, soprattutto per i Paesi europei e i più sviluppati, il rischio sociale sia molto alto, ma il rischio ambientale è dietro di un’incollatura, e solo dal punto di vista del tempo. In realtà le due cose sono assolutamente legate, quindi bisogna trovare al più presto un modo (fatto di politiche, ma anche di comportamenti) che aiutino simultaneamente più di un obiettivo. Non c’è una vera e propria sequenza.
L’Agenda 2015, che ha preceduto questa, secondo alcuni non ha dato risultati eccellenti…
Non sarei d’accordo: in realtà ha dato risultati straordinari ma non in tutto il mondo. Ora il passaggio all’Agenda globale supera i limiti del Millennium goals. Resta però uno straordinario impianto non solo concettuale, ma anche di aiuti allo sviluppo e sarà uno sforzo comune da perseguire. Credo che ora l’universalità superi alcuni dei limiti della vecchia Agenda. Ma soprattutto c’è con i SDGs il coinvolgimento delle persone e della società civile e delle imprese, e che mostra la consapevolezza che non può essere qualcosa gestito solo dai governi, come era nel precedente.
Professore cosa chiedete agli interlocutori istituzionali. Qualcosa di concreto, subito?
Al Governo una strategia di sviluppo sostenibile in linea con gli SDGs; al Parlamento un’indagine conoscitiva sulla preparazione agli SDGs, e l’approvazione della legge (c’è già una proposta in parlamento primo firmatario l’on Marcon) sull’obbligo di introdurre sempre la valutazione ex ante e ex post delle politiche e delle leggi alla luce del SDGs (come hanno introdotto i francesi; ai media una campagna di informazione che duri nel tempo e metta pressione sui decisori. Alle imprese, un impegno concreto in linea con quello indicato dalle loro associazioni internazionali.
LE DUE FASI
Giovannini – nella sua relazione – ha presentato il piano di attività e la missione dell’Alleanza: in una prima fase (febbraio–settembre 2016): si è costituita una “rete leggera con un’Assemblea costitutiva, un presidente, portavoce e un Segretariato (fatto prevalentemente da giovani, e di questo né è fiero, si sta provvedendo ad equilibrare la presenza di genere); nella seconda fase (ottobre-dicembre 2016), l’Assemblea deciderà: la sua governance a regime, un piano finanziario e un programma di lavoro per il biennio 2017-2018. Sulla base di un piano di attività che prevede quattro principali aree di lavoro: sensibilizzare gli operatori pubblici e privati, la pubblica opinione e i singoli cittadini; valutare le implicazioni e le opportunità per l’Italia; educare allo sviluppo sostenibile, in particolari le giovani generazioni; predisporre adeguati strumenti di monitoraggio per il conseguimento degli SDGs.
Per la comunicazione intanto il sito. Sui social, sottolinea il professore, “non abbiamo ancora avviato le pagine e gli account, perché quando si parte vogliamo farlo quando saremo in grado di farlo bene”.
E conclude: “Papa Francesco nella sua Enciclica Laudato si’ sottolinea che la cultura che genera inquinamento e disastri ambientali è la stessa che genera povertà e ingiustizia sociali. L’Agenda globale 2030 è l’occasione di cambiare questa cultura rispondendo all’invito e del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, rivolto alla generazione presente ad assumere su di sé il compito di trasformare le nostre società. Con umiltà ma anche con entusiasmo e coraggio, l’Alleanza si impegna a fare la sua parte.”
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