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L’Albero della Vita: «solo il 14% dei bambini rientra nella famiglia d’origine. Non va bene»

L’esperienza di Albero della Vita mostra come l’affido sia utilizzato troppo frequentemente solo come forma di intervento ripartiva. «Così non va bene. Se si interviene troppo tardi e non si supporta la famiglia, difficilmente il bambino potrà tornare dai suoi genitori», sottolinea Lara Sgobbi, Responsabile Area Tutela Minori dell’associazione

di Sabina Pignataro

«L’affido familiare è ancora utilizzato come forma di intervento riparativa, quando le situazioni sono molto compromesse, ma questa non è il miglior aiuto per tante famiglie con temporanee difficoltà». Lo spiega Lara Sgobbi, responsabile Area Tutela Minori di Albero della Vita.
«Occorre, invece, intervenire in ottica preventiva. Se si arriva a collocare un bambino in affido “troppo tardi” e se non si supporta la sua famiglia di origine, difficilmente il bambino potrà tornarvi».

Dalle ultime ricerche del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali risulta che oltre il 60% degli affidi si protrae a lungo termine, cioè con continui rinnovi che ne posticipano la durata fino al raggiungimento della maggiore età del minore e che non prevedono il ritorno nella famiglia di origine.

Da oltre 15 anni L’Albero della Vita ha avviato il progetto affido: ha formato e accompagnato oltre 350 famiglie, ha dato a oltre 200 bambini la possibilità di crescere e fiorire, per il tempo necessario, in un ambiente adeguato alle loro necessità, laddove le rispettive famiglie di origine non fossero nelle condizioni di occuparsi di loro. «I nostri dati sono del tutto in linea con quelli del Ministero», spiega Lara Sgobbi.


«Il 59 % dei progetti che abbiamo seguito in questi anni sono stati e sono tuttora progetti a lungo termine, conosciuti anche come sine die. Solo il 14% dei progetti che abbiamo gestito ha visto il rientro dei bambini nella loro famiglia di origine».

Lara Sgobbi, responsabile Area Tutela Minori di Albero della Vita.

L’affido nasce infatti come intervento di supporto e sostegno alle famiglie in difficoltà, e questo protrarsi del tempo che i bambini vivono in famiglia affidataria appare in contrasto con le intenzioni originarie del legislatore. «Occorre assumere uno sguardo preventivo, di rafforzamento delle risorse e della genitorialità nei tempi più adeguati a promuovere resilienza. Occorre farlo insieme, costruendo giorno dopo giorno una sussidiarietà circolare, di reciproco sostegno, tra pubblico e privato sociale che parta da una relazione anzitutto tra persone che condividono valori e motivazioni», sottolinea ancora l’esperta. L’affido in Italia è gestito sia da enti che da servizi pubblici (Servizi Affidi comunali, distrettuali) ma anche da realtà del privato sociale (Associazioni di Famiglie, Cooperative, Fondazioni).

La formazione

Il Percorso formativo di Fondazione L’Albero della Vita “Due famiglie per crescere: realizzare l’affido” si è svolto nei mesi di settembre-ottobre 2021 e ha visto la presenza di 610 professionisti, di cui oltre il 75% assistenti sociali. Alessandra Pavani, curatrice del percorso, sottolinea come «dagli interventi è emersa l’importanza e l’assoluta necessità di collaborazione tra pubblico e privato per far sì che l’Istituto dell’affido, pratica multidisciplinare con molte competenze coinvolte, che necessità di sensibilizzazione e adeguata formazione delle famiglie affidatarie, nonché di sostegno e supporto costante della famiglia affidataria e dei bambini in affido, sia effettivamente implementato, per rispondere al diritto di ogni bambino di avere una famiglia».

Le difficoltà

I principali ostacoli alla collaborazione tra pubblico e privato sono la mancanza di tempo da dedicare al lavoro di rete, una ridotta consapevolezza/disponibilità dei servizi pubblici al lavoro di rete con le associazioni, una mancanza di accordi chiari, una confusione dei ruoli. «Un quadro che mostra ancora prevalente scollegamento e chiusura. È invece emerso dagli interventi come sia l’unione a fare la tutela, non la divisione, il lavoro di rete è quanto mai necessario», evidenzia Alessandra Pavani.

Fondamentale la collaborazione pubblico – privato

Secondo le Linee di Indirizzo per l’affidamento familiare (2012) il servizio pubblico può esercitare il proprio ruolo di protezione, cura e tutela dei bambini e ragazzi solo attraverso una collaborazione attiva, intenzionale e programmata con le reti e le associazioni presenti nel territorio. Propongono un modello per il quale al “pubblico” viene chiesto di “contaminarsi” con il privato e, prima ancora, con la quotidianità delle persone e delle famiglie. «Il primo passo in ordine di importanza è favorire una rete informale tra operatori per iniziare a costruire insieme, occorre prendersi cura di questo processo per passare poi a forme più strutturate di collaborazione».

In apertura, foto di Hannah Busing on Unsplash

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