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Laici, cioè plurali

L'editoriale - Dopo il 1989 è cambiato tutto e noi stiamo ancora dentro schemi e categorie vecchie, noi stiamo ancora ad accapigliarci tra laici e cattolici?

di Riccardo Bonacina

Un anno fa, poco dopo il terribile attentato di Madrid, annotavamo in questo stesso spazio: «Il problema che la cronaca quotidiana propone all?Occidente, con la brutalità inaudita di guerra e terrorismo, è quello di capire se è oggi possibile dire ?noi? in modo diverso, più cosciente, nuovo. Se è possibile un ?noi? che sia un plurale fatto da tanti io, da tante biografie e culture, e appartenenze, un ?noi? che sia un nuovo spazio pubblico di dialogo e confronto». Il nostro era un pensiero solo accennato e messo alla prova in questo lungo anno dalla contabilità tragica della guerra in Iraq, dall?escalation terroristica che ha colpito anche Londra e da una generale tendenza, soprattutto nelle settimane dello scontro referendario, a ritornare dentro schemi e porti già conosciuti (novecenteschi, direbbe Marco Revelli), accucciati e irosi in attesa di tempi (o poltrone) migliori. Invece, lo scorso 17 luglio, nel suo discorso alla città (e in un?intervista a Il Corriere della Sera) ha soccorso quella nostra intuizione la riflessione forte e innovativa del Patriarca di Venezia, cardinal Angelo Scola che si sottrae così al coro dei cristianisti. Ma come? Ha ragionato il Patriarca, dopo il 1989 è cambiato tutto (globalizzazione, biotecnologie, civiltà delle reti, interculturalismo, guerra, terrorismo, crisi della democrazia, rivolgimenti nella società civile) e noi stiamo ancora dentro schemi e categorie vecchie, noi stiamo ancora ad accapigliarci tra laici e cattolici? Qui si tratta di pensare ex novo cosa sia la laicità, è l?invito del cardinale. Ma come? Ecco le sue due proposte. La prima. Con la fine di un??idea assoluta? della storia parlare di etica globale è astratto e alla fine violento. L?unica strada per la pacifica convivenza è il necessario rinnovamento della categoria e della pratica della laicità intesa come spazio dialogico neutro e pubblico in cui tutte le culture (anche di minoranza) siano riconosciute ed abbiamo modo di confrontarsi e di proporre le proprie idee. «Senza società», avverte il cardinale, «e stati europei plurali, ma coesi al loro interno in forza di una sana laicità, è facile che intere fasce di popolazione si convincano che non esista alternativa reale al conflitto di civiltà, finendo in tal modo con lo sperperare la speranza dell?inizio del terzo millennio e regredendo alla tragica logica moderna dello scontro estremo tra ideologie nemiche». La seconda idea. Il problema dell?Occidente oggi è la debolezza sostanziale della democrazia che vorrebbe esportare, o peggio, imporre. Una debolezza che consegue alla svalutazione dei corpi intermedi. La società non è una somma d?individui, perché la relazione è costitutiva della persona. Perciò i corpi intermedi come la famiglia e le comunità di prossimità, religiose o agnostiche, o le forme svariate di associazione fondate sul gratuito o su scopi (interessi) condivisi quali i partiti, i sindacati, le intraprese economiche e finanziarie sono un bene prezioso. «Sono categorie ancora vitali», dice il cardinale, «anche se bisognose di un coraggioso ripensamento a partire dalla violenta transizione cui sono sottoposte». Società civile come «dialogo, reciproca narrazione della propria soggettività personale e sociale», e potere come «spazio pubblico che riconosce le identità e garantisce libertà di confronto e di costruzione». Ripartire da qui?


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