Welfare
l’africa vi è scappata via
scenari Jean-Paul Pougala, imprenditore di successo, spiega perché l'Europa ha perso
di Redazione

Il «banale destino di un africano», per dirla come Jean-Paul Pougala, 46 anni, camerunese, è sempre stato una questione di frusta. I bianchi frustavano i neri perché era il linguaggio che capivano meglio. I neri andavano a casa e frustavano la moglie perché era in ritardo con la cena. Dopo, la moglie frustava i bambini perché avevano acceso male il fuoco. Rovesciare il destino e inventarsene uno nuovo è sempre stato il problema di quest’uomo ostinato. Da una giovinezza di frustate uno può uscire distrutto, alcolizzato o terrorista, e non è escluso che Pougala ci abbia pensato in qualche momento (vedere l’autobiografia uscita nel 2007 per Einaudi, In fuga dalle tenebre), ma alla fine si è laureato in Economia, è diventato un imprenditore con attività in tre continenti, un membro di spicco del Movimento federalista africano che lavora con convinzione per il giorno in cui l’Africa sarà unita, potente e, perché no, piena di autostrade e di grattacieli. Fa un certo effetto sentire un africano che cita il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli e intanto, da quell’extracomunitario che è, litiga con la questura di Torino perché, a un anno e mezzo dalla richiesta, non ha ancora rilasciato la carta di soggiorno a sua moglie e ai suoi quattro bambini nati in Italia. «Tu scappi ma le tenebre ti seguono sempre», ha detto Pougala ai giornali dopo avere denunciato la storia dei documenti al presidente della Repubblica. Senza successo, per ora.
Vita: Signor Pougala, se lei dice la verità, questo Paese le ha fatto un sacco di torti. Quando era uno studente il barbiere non voleva tagliarle i capelli e il professore la metteva in un angolo dell’aula temendo che diffondesse l’Aids. Adesso che è un padre di famiglia, in Italia da vent’anni, ci si mette la questura. Vale la pena restare qui?
Jean-Paul Pougala: Il razzismo c’è dappertutto, anche se forse, in Italia, quello dello Stato è più forte di quello dei cittadini. Comunque il mio obiettivo non è restare qui ma tornare in Africa. Sono un federalista e lavoro per la costruzione degli Stati Uniti d’Africa, che saranno il nostro punto d’arrivo. Il movimento è nato a Milano nel 1990, quando tutti ci chiamavano sognatori, ma già oggi i passaporti africani sono emessi non dagli Stati ma da cinque macroregioni; la sesta è quella degli africani della diaspora. Avremo una lingua comune, lo swahili, e in dicembre abbiamo lanciato in orbita il primo satellite africano, finanziato da 46 Paesi. Oggi una telefonata da Brazzaville a Kinshasa deve passare per Parigi e Bruxelles e l’Africa paga 500 milioni di dollari all’anno per il transito delle telefonate. Entro il 2012 tutti i villaggi saranno collegati a Internet con la tecnologia WiMax. Faremo un’Africa capace di attirare tutti.
Vita: E intanto in Italia non arrivano i documenti. La vita qui è più difficile dopo le elezioni?
Pougala: Non mi sento di dire che sia peggio. La destra almeno dice quello che pensa, mentre la sinistra finge. A un certo momento, avevano anche promesso la cittadinanza per tutti i bambini nati in Italia.
Vita: Capisce quelli che dicono che l’immigrazione è un problema?
Pougala: È un falso problema. Nessun Paese ha mai scelto i propri immigrati e l’Europa non fa eccezione. Comunque, quando un clandestino africano viene portato alla sua ambasciata per essere rimpatriato, i funzionari in realtà non lo rimpatriano. Tutti gli africani sono coalizzati in questo, perché anche i 400 euro al mese che manda a casa un clandestino, là tengono in vita un sacco di gente.
Vita: Lei ha messo in piedi una strana multinazionale che produce biciclette elettriche, imballaggi, souvenir di porcellana, cosmetici…
Pougala: È una struttura molto variegata. La parte maggiore della produzione, con circa 50 dipendenti, è in Cina. In Africa abbiamo cominciato con un’azienda che serviva come base tecnica per l’assistenza ai macchinari, poi abbiamo cominciato a formare tecnici locali. La sfida era prendere gente che fino a ieri aveva coltivato caffè e farla diventare degli industriali. In molti casi io e mia moglie siamo entrati in società con loro, per sviluppare il loro progetto.
Vita: È diventato ricco?
Pougala: Un africano non può mai dire questo. Ciascuno di noi in patria ha qualcuno che sta lottando per la sopravvivenza. Il sogno è mettere in moto il processo di creazione della ricchezza in Africa.
Vita: Perché vuole farlo da qui?
Pougala: Perché è più facile. È più facile volare in Africa dall’Europa che da un Paese africano all’altro. Per entrare in Senegal, a differenza di un italiano, io devo avere il visto e ogni volta che vado in Sudafrica devo lasciare un assegno circolare al consolato sudafricano di Milano. Ho scritto la mia autobiografia in italiano cercando di proteggermi dalle reazioni del governo del mio Paese, ma ho potuto correre il rischio di denunciare quel che succede in Camerun perché abito in uno Stato di diritto.
Vita: Allora, in fin dei conti, siamo uno Stato di diritto…
Pougala: Se lo paragono al Camerun sì, ma non ci si può accontentare di questo. I padri dell’Europa a Ventotene hanno messo le basi di un’Europa dei diritti, non delle origini e dei particolarismi.
Vita: Il suo libro racconta cose terribili dei suoi più stretti familiari. Eravamo abituati a pensare che, in mezzo a tanti dolori, in Africa la famiglia fosse una certezza.
Pougala: Molto sbagliato. L’Africa può essere cattiva. Gli africani devono fare i conti con questo e riconoscere gli orrori che li hanno spinti a partire. Cinquecento anni di schiavitù hanno disgregato quasi ogni forma di vivere civile. È un continente che avrebbe bisogno di psichiatri: nel subconscio, gli africani non credono che la schiavitù sia finita.
Vita: I neri odiano ancora i bianchi?
Pougala: Più vanno a scuola e più li odiano. La generazione che sta arrivando al potere ha preso la Cina come punto di riferimento e vuole allearsi con la Cina contro l’Europa. Con un’economia basata sulle materie prime africane, se l’alleanza economica con la Cina fa aumentare il prezzo delle materie prime, le vostre industrie chiudono.
Vita: Perché i cinesi sono meglio degli europei per l’Africa?
Pougala: Posso fare questo esempio: quando sono andato a cercare studenti africani da assumere nella mia azienda in Cina, ho scoperto che alla Casa dello studente ogni africano aveva a disposizione un appartamento con l’aria condizionata, mentre i cinesi si ammassavano in otto in una stanza. Ho chiesto spiegazioni ai funzionari e mi hanno detto: stiamo formando la classe dirigente africana di domani, non possiamo permetterci che diventino nostri nemici. Questi studenti diventeranno ministri e sapranno a chi dare gli appalti. La Cina non manda in Africa volontari ma funzionari governativi che entrano nel meccanismo del potere.
Vita: Non è un po’ ingeneroso? Emergency ha costruito un centro cardiochirurgico all’avanguardia in Sudan.
Pougala: Lo sviluppo è un problema complesso che richiede una visione globale, non degli interventi qua e là. Cosa vuole che facciano le decine di pozzi scavati dalle ong se nessuno progetta una rete fognaria che eviti l’inquinamento dell’acqua? Quei pozzi sono al 90% inutilizzabili. La Cina lavora in un altro modo: cinque anni fa ha dato tre miliardi di dollari all’Angola e in cinque anni l’Angola è arrivata al 35% di crescita. Intanto l’Europa conta gli immigrati che possono entrare e quelli da rimandare indietro. Gli africani della diaspora sanno come sono stati trattati nei Paesi in cui hanno vissuto. E la loro voce conterà, un domani.
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