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L’Africa trionfa sulla Croisette

Il premio della Giuria al regista ciadiano Mahamat Saleh-Haroun

di Joshua Massarenti

Il regista ciadiano Mahamat Saleh-Haroun si è aggiudicato ieri il premio della Giuria del 63° Festival di Cannes con il film “Un uomo che grida non è un orso che balla”. In una premiazione all’insegna del cinema d’autore (vedi la Palma d’oro assegnata al film thailandese “Uncle Boonmee, Who Can Recall His Past Lives” di Apichatpong Weerasethakul), la giuria guidata da Tim Burton non si è dimenticata dell’Africa, che dopo 13 anni di assenza nella competizione ufficiale del festival cinematografico più prestigioso del mondo torna a far parlare di sé. E non soltanto in senso negativo.

Certo il trionfo di Saleh-Haroun non risolverà in un colpo solo le carenze del cinema africano – su tutto la debolezza industriale – ma almeno ieri notte gli africani hanno potuto riassaporare il gusto del trionfo. “Ho l’impressione di riportare il mio paese, e forse il continente sul palcoscenico perché è da molto tempo che l’Africa rimane invisibile” ha dichiarato commosso Saleh-Haroun. Accolgo questa distinzione come un invito a far parte della famiglia del cinema”.

“Abbiamo voluto ricompensare l’universalità dell’opera” del regista ciadiano ha sottolineato il compositore Alexandre Desplat, membro della giuria del festival. Saleh Haroun sarebbe l’ultimo a contraddirlo: “Con i miei film cerco di riportare l’Africa nell’Umanità. Si dice che sono universali, ma sono un uomo e quindi portatore di una visione universale”. Soprattutto Saleh-Haroun è un uomo felice: quello di Cannes è il quarto premio della sua carriera. Nel 1999, “Bye bye Africa » gli era valso il premio per l’opera prima al Festival di Venezia, con “Daratt” (2006) fa colpo doppio: al Festival panafricano di Ouagadougou (Fespaco) e di nuovo a Venezia aggiudicandosi il premio della Giuria.

Nella sua ultima pellicola, Haroun rende omaggio al poeta della negritudine, Aimé Césaire. Il titolo del film – “Un uomo che ride non è un orso che balla” – è tratto da un verso del “Cahier d’un retour au pays natal”. Racconta la storia di Adam, un maestro di nuoto in un albergo lussuoso della capitale N’Djamena che vorrebbe lasciare il posto a Abdel, suo figlio, incalzato dal governo per partecipare “allo sforzo bellico”. Il padre vive questo scacco difficilmente: senza l’aiuto finanziario di suo figlio, il suo futuro di pensionato è in pericolo.


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