Sostenibilità

L’affondamento della nave Sao Paulo è un crimine ambientale

La Marina del paese del samba ieri ha compiuto un grave crimine ambientale in mare, a 349,5 km dalla costa, ai margini della Zona Economica Esclusiva, anche se "la Francia è complice di questo disastro deciso e assunto dal Brasile, il cui crimine è quasi perfetto", ha denunciato poco fa l'ong transalpina Robin des Bois. 9,6 tonnellate di amianto e oltre 644 tonnellate di inchiostro e altri materiali pericolosi sono adesso nel Santuario delle balene dell'Atlantico meridionale, a 5.000 metri di profondità. Vani gli appelli delle ong di mezzo mondo in questa che è una tragedia annunciata

di Paolo Manzo

Ieri pomeriggio la Marina del Brasile ha affondato l'ex portaerei francese Foch. Acquistata dal paese del samba nel 2000 era stata ribattezzata "Sao Paulo" ma, a causa di un incendio con morti a bordo avvenuto nel 2005, il paese aveva deciso di disfarsene perché il suo ammodernamento "sarebbe costato troppo”. La nave, un vecchio scafo lungo 266 metri, era colma di amianto, vernici ed altri rifiuti tossici.

La Marina brasiliana “ha compiuto un grave crimine ambientale in mare", ha detto Jim Puckett, direttore del Basel Action Network che in una nota ha fatto sapere che l'affondamento causerà danni "incalcolabili" all'ambiente, con "impatti sulla vita marina e sulle comunità costiere”. "È preoccupante affondare in mare un pacco tossico da 30.000 tonnellate, di cui non si conosce il destinatario ", aveva avvertito nei giorni scorsi l'associazione Robin des Bois.

"L’affondamento è avvenuto ieri al calare del sole a 349,5 km dalla costa, ai margini della Zona Economica Esclusiva“, ha denunciato poco fa sul suo portale Robin des Bois, aggiungendo che "la licenza di esportazione dell'ex-Foch del 2000 specificava che le condizioni per lo smantellamento della portaerei Sao-Paulo dovevano essere preventivamente autorizzate dalle autorità francesi. In un certo senso, la Francia è complice di questo disastro deciso e assunto dal Brasile, il cui crimine è quasi perfetto. L'alibi della via d'acqua che avrebbe potuto portare all'affondamento del Sao Paulo (questa la giustificazione di Brasilia, ndr) non è infatti verificabile e comunque le riparazioni potevano essere state effettuate nel porto di Suape, nello Stato di Pernambuco”, denuncia l’ong fondata in Francia nel 1985 da pionieri transalpini della difesa dell'ambiente.

Il disastro, adesso, si svilupperà in due fasi. Inizialmente ci sarà un aumento vertiginoso della mortalità della comunità ittica degli abissi, composta da molluschi, crostacei, pesci, cetrioli di mare e flora adattata alle condizioni estreme che regnano a 5000 metri di profondità.
Poi, nel lungo termine, per la decomposizione e la dispersione delle sostanze tossiche, la Sao Paulo contaminerà l'Oceano Atlantico con scaglie di vernice al piombo, arsenico, stagno, scaglie di amianto, particelle di idrocarburi, PCB e mercurio. Un disastro per plancton, pesci e balene visto che l'affondamento è avvenuto all'interno del perimetro del cosiddetto Santuario delle balene dell'Atlantico meridionale. "Sotto l'effetto delle correnti ascensionali, i residui del Sao Paulo contribuiranno all'insalubrità dell'ambiente marino fino all'arco caraibico. I relitti di navi da guerra e civili che giacciono sul fondo degli oceani dalle ultime due guerre mondiali, del resto continuano a spargere veleni sul fondo dell'oceano, nella colonna d'acqua e a contaminare le risorse marine”, denuncia Robin des Bois.

Il Brasile aveva tentato di risolvere il busillis della nave contaminante quando il cantiere navale Sok Denizcilik aveva ottenuto dalle autorità del suo paese, la Turchia, l'autorizzazione al trasporto per lo smantellamento. Ma, mentre si trovava all'altezza dello Stretto di Gibilterra, a fine agosto dello scorso anno, Ankara ha cambiato idea. L'ex portaerei era stata trainata da un rimorchiatore olandese per conto di Sok Denizcilik ma, dopo la giravolta giudiziaria di Erdogan, aveva minacciato di abbandonarla, non avendo trovato un porto che l’accogliesse. Il Brasile è stato così costretto a riportata indietro ma senza permetterle di attraccare, nonostante la constatazione di "aggravamento dei danni" allo scafo.

Il ministero pubblico federale del Brasile (MPF), aveva cercato di fermare questa tragedia annunciata nei mesi scorsi, moltiplicando i ricorsi ai tribunali ed avvertendo sulle conseguenze letali per l’ambiente visto che la nave "contiene 9,6 tonnellate di amianto, una sostanza potenzialmente tossica e cancerogena, oltre a 644 tonnellate di inchiostro e altri materiali pericolosi”. Un SOS rilanciato anche da tante organizzazioni ambientaliste, che avevano fatto appello al nuovo presidente Lula, insediatosi il primo gennaio scorso per il suo terzo mandato alla guida del colosso latinoamericano e che, alla COP26, si era detto pronto a battersi per l'ambiente. Tutto vano. Invece, il giudice della corte federale del Pernambuco, alla fine ha autorizzato l'operazione perché, a suo dire, “inevitabile”, pur qualificandola "tragica e deplorevole”. Il massimo dell’ipocrisia giudiziaria.

Le ong Greenpeace, Sea Shepherd e Basel Action Network hanno affermato in una dichiarazione congiunta oggi che l’affondamento di ieri viola "tre trattati internazionali" sull'ambiente e causerà danni "incalcolabili", con "impatti sulla vita marina e sulle comunità costiere”. Altre "misure ambientalmente responsabili avrebbero potuto essere adottate, ma ancora una volta l'importanza di proteggere gli oceani, vitali per la vita del pianeta, è stata trattata con negligenza", ha affermato Leandro Ramos, direttore dei programmi di Greenpeace Brasile.

Crediti immagine: robindesbois.org

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