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«L’affido? Un’avventura di vita»
Annalisa e Pasquale, giovani salernitani trapiantati a Como, novelli sposi, aprono la loro casa a un ragazzino egiziano arrivato su un barcone. È il 2010, lo fanno perché hanno conosciuto l'esperienza delle famiglia affidatarie di Cometa e desiderano la stessa verità di vita. Inizia un percorso in cui ci saranno anche l'accompagnamento all'adozione di due neonati e l'accoglienza di una coppia di fratellini mentre nascono due figli biologici. Ascolta l'episodio n. 10
Il primo affido arrivò che si erano sposati da pochissimi mesi, Annalisa e Pasquale, giovani salernitani trapiantati a Como. Entrambi laureati in legge, lei lavorava in uno studio legale di Milano e lui aveva vinto il concorso in magistratura, trovando lavoro proprio nel Tribunale del capoluogo lombardo. Decisero di aprire casa a Mahmood, ragazzino egiziano arrivato con il barcone in Italia, come tanti giovanissimi nordafricani in quel lontano 2010 quando le primavere arabe cominciavano a far vibrare molti Paesi.
Sono loro i protagonisti del decimo e ultimo episodio di Genitori a tempo, genitori e basta, il podcast di VITA per capire l’affidamento familiare a 41 anni dalla legge che lo ha istituito, la 184/83. Un podcast curato da chi scrive, anch’egli padre affidatario di lungo corso.
Le ragioni di un sì
«A far scattare il nostro sì», raccontano oggi nella loro casa lariana, «fu l’aver conosciuto l’Associazione Cometa di Como: la verità di vita che quelle famiglie affidatarie sperimentavano, la desideravamo anche noi per noi stessi».
Così i due sposini che non sono ancora genitori, si trovano un figlio già grandicello, un adolescente di un’altra cultura, un’altra religione, un’altra storia di vita: un universo tutto da scoprire. «Eravamo pieni di dubbi», ammette Pasquale, «che sono svaniti non appena abbiamo conosciuto Mahmood e il suo grande desiderio di famiglia: la sua voglia di capire, di conoscere, la sua brama di comprendere il mondo, tanto che una delle cose che più anelava, alla fine della giornata, era vedere il tg e commentare assieme i fatti del giorno».
Per questo figlio già un po’ cresciuto, Pasquale non esiterà a precipitarsi in Egitto, con un altro papà di Cometa, quando Mahmood, da poco maggiorenne, era voluto rientrare a trovare la famiglia in Egitto, ed era stato bloccato dalle autorità per problemi amministrativi.
Quella notte in pullman dal Cairo
«Facemmo un viaggio lunghissimo, di notte, in pulmann dall’aeroporto del Cairo ad Asyut dove vivevano i suoi», ricorda Pasquale, «attraversammo villaggi che si intuivano poverissimi, conoscemmo il papà e il fratello, perché non era pensabile che la madre incontrasse uomini che non appartenevano alla famiglia». La “missione” andò a buon fine, il rientro in Italia, permesso. «Mahmood poté completare il percorso di inserimento professionale che aveva intrapreso grazie alla scuola Oliver Twist di Cometa e ancora oggi lavora come tecnico, molto apprezzato, in un mobilificio di Cantu».
Il neonato dopo il figlio “cresciuto”
Quindi fu la volta di un neonato. «Un bimbo di pochi giorni», ricorda Annalisa, «che doveva andare in adozione. Solo che la cosa si concretizzò un anno dopo. Fu un passaggio impegnativo, ovviamente anche doloroso, in cui per 15 giorni affiancammo la nuova famiglia, spiegandogli tutto di quel bimbo che per loro nasceva allora. Per anni ci hanno tenuto al corrente della sua crescita», aggiunge, «in quella occasione, nel rapporto con quel bimbo, abbiamo imparato che il valore dell’accoglienza sta tutto nel desiderare il compimento dell’altro».
La fatica dei figli biologici
Mentre nascono i primi figli biologici e arriva un’altra bambina, anch’essa transitata verso l’adozione, si affaccia nella casa comasca una coppia di fratellini: tre anni lui, pochi mesi lei. «Per la verità, diventarono fratelli a casa nostra, perché vivevano in contesti separati», osserva Pasquale. Nuovi arrivati che crescono con i figli biologici, anch’essi una femmina un maschio. «Una situazione che generò una certa apprensione anche nei nostri familiari», sorride oggi Annalisa, «ma che fronteggiammo grazie al grande supporto delle altre famiglie affidatarie e dell’équipe affido dell’associazione».
Il rapporto coi figli biologici, il timore di togliere loro qualcosa dal punto di vista affettivo, è una domanda ricorrente in chi si avvicina all’affido: «Per i figli biologici l’accoglienza può essere una fatica», risponde Pasquale, «condividere gli spazi, i tempi, gli affetti, può essere pesante anche se, nel nostro caso, erano praticamente coetanei e questo aiutava. Tuttavia l’esperienza di bene e di verità che questi figli “di pancia” fanno, la fratellanza costruiscono, è difficilmente replicabile in un altro modo».
Pronti a rifare tutto
Un’esperienza, l’affido, che rifarebbero domani, senza se e senza ma.
«Anche se ti avvicini all’affido pensando di aiutare qualcuno», commenta ancora Pasquale, «ben presto ti accorgi che il primo a essere cambiato da questa esperienza sei tu: cambiato in ogni rapporto, perché è una esperienza che ti educa a perdere la pretesa sugli altri, ad avere la pazienza che la libertà dell’altro riconosca un bene».
Decisivo, nella loro esperienza, il supporto dell’Associazione Cometa: «Non so immaginare come avremmo potuto fare un’esperienza simile da soli», commenta Annalisa, per la quale, «per fare affido non si deve essere superuomini e superdonne, non si deve pensare di dover sapere già tutto: è un’avventure di vita che apre a un’intelligenza e un desiderio di cuore altrimenti impossibili».
Gli altri nove episodi
Negli episodi precedenti, avevamo conosciuto coppie affidatarie di lungo corso come Enrica e Luigi, di Piacenza, dell’Associazione “Dalla parte dei bambini” (che fa parte del Coordinamento Care); Elisabetta e Luciano, di Firenze, di Famiglie per l’accoglienza; Marcella e Carlo di Cuneo, aderenti ad Anfaa; Mariagrazia e Riccardo soci milanesi di Aibi. Con tutti loro abbiamo affrontato, in lungo e in largo, le problematiche che accompagnano questo tipo di accoglienza.
Quegli affidi davvero speciali
Con alcuni abbiamo toccato anche alcune tipologie specifiche di affido.
Come quella raccontata da Marta e Paolo, dell’Associazione Papa Giovanni XIII di Misinto (Mb), con bambini con disabilità, i minori con “special needs”, bisogni speciali; o qulla con gli adolescenti, che abbiamo ascoltata da Silvia e Lorenzo, che vivono nel Modenese e fanno parte dell’Associazione Kayros di Granarolo (Bo). Mariateresa, di Torino, socia col marito Riccardo di Anfaa, hanno ripercorso i loro affidi di neonati; mentre con Karin dell’Associazione M’ama di Roma, abbiamo trattato dell’affido a coppie omogenitoriali e a singles.
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