Famiglia

L’affido? Imprigionato in una giungla di costi

I rimborsi alle famiglie affidatarie sono estremamente diversificati da regione a regione: vanno dai 500-600 euro mensili fino a quota zero o quasi

di Benedetta Verrini

Un genitore affidatario ci segnala di aver scritto al ministro Bindi per lanciare un segnale di malessere comune: il costo dell?affido in termini economici. Un problema, al di là della retorica sull?accoglienza, che spesso costringe tante famiglie a compiere sacrifici che vanno oltre le loro possibilità. Le voci di Famiglie per l?accoglienza e Cnca.
La storia di Anselmo e Rossana non è diversa da quella di tante altre coppie che vivono l?esperienza dell?affido. E mette in luce tutti i paradossi e le difficoltà che questa esperienza comporta.

Sposati da vent?anni, con un figlio biologico di 18 anni e un figlio adottivo di 14 anni (con loro dall?età di 20 mesi), hanno in affido da un anno un ragazzo di 14 anni. Ha passato sei anni in famiglia, e poi sette in istituto. Rossana ha finito per prendere il part time, perché la legge non prevede, dopo i 12 anni, la possibilità per i genitori di prendere un permesso retribuito dal lavoro, sia pure in maniera ridotta. «Forse si suppone che non essendoci necessità di cambiare pannolini non occorre dare tempo e disponibilità al nuovo arrivato? », si domanda Anselmo. Evidentemente, sì.

E c?è da interrogarsi sulle ?evidenze? con cui l?affido si gioca la credibilità e l?appeal tra le famiglie italiane. Come quella del rimborso spese assicurato alla nostra coppia di affidatari, 446 euro mensili, sensibilmente inferiore (la quarta parte) di quello percepito dall?istituto per il mantenimento dello stesso ragazzo. O il ritardo di diversi mesi con cui la famiglia ha cominciato a percepire il contributo rispetto alla tempestività con cui è giunta la tassa rifiuti ?maggiorata? di un familiare residente in più.

«È un quadro, tra l?altro fortemente diversificato a livello territoriale, che ben conosciamo », commenta Alda Vanoni, presidente onorario di Famiglie per l?accoglienza. «Anzi, devo dire che in alcune zone del Sud molte famiglie non ricevono proprio nulla. Si trovano quasi sempre sole e frammentate, prive di una ?rappresentanza?, presso le amministrazioni, che consenta loro di avere un maggior potere di discussione».

È vero, d?altra parte, che la differenza di rimborso da famiglia a struttura di accoglienza «è dovuta al fatto che le comunità hanno vincoli sia dal punto di vista dell?assetto della struttura sia per il rapporto tra ragazzi ed educatori imposto per legge», spiega Lucio Babolin, presidente del Cnca. «In Veneto, ad esempio, è di uno a due. Dunque in una comunità di 10 ragazzi devono esserci cinque operatori contrattualizzati. Aggiunga vitto e alloggio ed è facile che il rimborso superi quello garantito alle famiglie, che certamente hanno meno spese». Ma come risolvere almeno le differenze più insensate? «Serve prima di tutto quella cornice di norme dei Liveas che garantirebbe omogeneità alle norme locali sui servizi alla persona », dice Babolin. «Servirebbe una definizione altrettanto omogenea dei rimborsi, insieme a tempi certi di liquidazione (il problema dei ritardi affligge anche le comunità), la garanzia della copertura almeno delle spese sanitarie e, infine, una rete dei servizi sul territorio che supporti i bisogni emergenti».

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