Unione Europea
L’adesione all’Unione? Una via crucis
La crisi ucraina ha riportato al centro dell'attenzione l'allargamento dell'Unione dopo un lungo periodo di colpevole negligenza. Ursula Von der Leyen mostrava grande soddisfazione nell'annunciare il parere positivo della Commissione sull'avvio dei negoziati di adesione dell'Ucraina dopo che allo stesso Paese nel giugno scorso è stato concesso lo status di candidato. Ma il cammino sarà assai lungo. Macedonia docet
L’autunno in Europa è la stagione delle pagelle. È ormai una consuetudine in questo periodo dell’anno quella della Commissione europea di dare i voti ai Paesi candidati all’adesione all’Ue con relazioni dettagliate sullo stato di avanzamento lungo un percorso complesso, irto di ostacoli e, a volte, indecifrabile.
Dal 2003, in occasione del vertice europeo di Salonicco, gli stati dei Balcani occidentali godono dello status di “paese candidato”. Dieci anni fa la Croazia è riuscita a tagliare il traguardo dell’adesione ma per gli altri sei è ancora notte fonda o, almeno, non si intravede la luce alla fine del tunnel. Questa volta, inoltre, a complicare ulteriormente la situazione si sono aggiunti altri tre pretendenti che sgomitano allungando la fila di chi bussa alla porta di Bruxelles.
La crisi ucraina ha riportato al centro dell’attenzione l’allargamento dell’Unione dopo un lungo periodo di colpevole negligenza. L’ampliamento ha ormai acquisito la valenza di priorità geopolitica per contrastare le spallate destabilizzanti della Russia e la penetrazione economica e commerciale della Cina. Charles Michel, il presidente del Consiglio europeo, nei mesi scorsi aveva fatto balenare il 2030 come data possibile per l’ingresso di nuovi membri ma più che una promessa o un impegno è apparsa come una frase di circostanza, l’ennesima, per compiacere e tenere buoni studenti, a volte indisciplinati, che i tecnocrati di Bruxelles non giudicano mai idonei al superamento dell’esame di maturità. Il caso di quella che è oggi la Macedonia del Nord, da questo punto di vista è emblematico. Il governo di Skopje presenta domanda di adesione nel 2004 ottenendo l’anno successivo il riconoscimento di Paese candidato. Poi si mette di mezzo la Grecia bloccando l’apertura dei negoziati fintanto che non è risolta la questione del nome ufficiale dello stato che, in quel momento il governo di Atene considerava come un furto di identità storica. Per diesi anni Commissione e Europarlamento raccomandano l’inizio delle trattative ma i greci in Consiglio non mollano esercitando, di fatto, il diritto di veto, il che la dice lunga di come sia difficile a livello europeo dare vita oggi a una politica estera comune efficace, coerente e tempestiva. Quando nel 2018 Atene e Skopje trovano finalmente l’accordo firmando lo storico trattato di Prespa è la Francia, a sorpresa, a imporre un nuovo stop chiedendo di riformare l’intera metodologia dell’allargamento per renderla più prevedibile ed efficiente. E quando nel 2020 viene adottata la riforma è la Bulgaria, a sua volta, a mettersi di mezzo adducendo motivi riguardanti la storia (o, meglio, la versione macedone di questa), la lingua (che la Bulgaria considera un proprio dialetto) e il riconoscimento della minoranza (anche se la Bulgaria rifiuta di riconoscere l’esistenza di una minoranza macedone in casa propria). Nel luglio dello scorso anno la Macedonia del Nord è riuscita, infine, ad aprire formalmente i negoziati di adesione ma prima di entrare nel vivo delle trattative l’ex repubblica jugoslava dovrà modificare la sua costituzione per soddisfare le richieste di Sofia. Considerando che i capitoli da negoziare sono 35 spaziando su tutti i campi e le competenze dell’Ue (agricoltura, ambiente, trasporti, energia, giustizia, libertà civili ecc.) è verosimile che, se non intervengono ulteriori intoppi, occorra almeno un’altra decina di anni prima di vedere Skopje fare il suo ingresso nella famiglia europea. A conti fatti un vero e proprio calvario.
Ursula Von der Leyen nei giorni scorsi mostrava grande soddisfazione nell’annunciare il parere positivo della Commissione sull’avvio dei negoziati di adesione dell’Ucraina dopo che allo stesso Paese nel giugno scorso è stato concesso lo status di candidato. Il Consiglio europeo che si riunisce a metà dicembre dovrebbe confermare la decisione e per Kiev nella prossima primavera comincerebbe il percorso di avvicinamento all’Ue.
Sui tempi e sui modi, però, è meglio non sbilanciarsi. Il blocco alla frontiera degli autotrasportatori polacchi che in questi giorni impediscono il passaggio dei colleghi ucraini accusati di concorrenza sleale è forse il primo di tanti intralci che rischiano di trasformare il cammino europeo dell’Ucraina in una via crucis.
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