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L’accoglienza in famiglia che rende i rifugiati protagonisti
Refugees Welcome Italia, l'associazione che promuove l'accoglienza in famiglia di rifugiati e richiedenti asilo, ha compiuto un anno di attività. «Il nostro obiettivo è redigere delle linee guida che vengano inserite ufficialmente nell'ambito della seconda accoglienza, permettendo così a tutto il Terzo Settore di diventare attore protagonista dell'accoglienza», spiega la fondatrice e responsabile dello sviluppo strategico della Fondazione, Fabiana Musicco. L'intervista
Il 13 dicembre 2016 Refugees Welcome Italia Onlus, l'associazione che promuove l'accoglienza in famiglia di rifugiati e richiedenti asilo, ha festeggiato il suo primo compleanno. Ad un anno dalla nascita della piattaforma online che ha raccolto oltre 450 adesioni in tutto il territorio nazionale abbiamo intervistato Fabiana Musicco, fondatrice e responsabile dello sviluppo strategico dell'associazione, per capire traguardi e obbiettivi di un'esperienza che ha sempre avuto l'ambizione di rivoluzionare il concetto di integrazione.
Come nasce l’idea di fondare l’associazione?
Nell’estete del 2015 ciascuno dei fondatori legge la notizia della nascita di Refugees Welcome a Berlino. Ognuno, individualmente perché non ci conoscevamo tra di noi, ha scritto ai tedeschi chiedendo di poter importare l’esperienza in Italia. Sono stati i tedeschi a metterci in rete a farci conoscere. Così, da questo gruppo di persone con estrazioni e professionalità differenti, è nato il progetto.
Quindi fu un impegno dettato dalla cronaca di quello che accadeva sul Mediterraneo e dall’emergenza?
L’iniziativa naturalmente nasce con l’idea di creare un’accoglienza in famiglia per i rifugiati e i richiedenti asilo. Ma non tanto per rispondere all’emergenza profughi. Il nostro scopo è stato più che altro provare a dimostrare alle autorità che hanno la governance sull’accoglienza che un cambio di passo è possibile. Ci siamo sempre mossi dal basso senza intercettare le istituzioni. Volevamo professionalizzare l’accoglienza. Quindi se è vero che abbiamo immaginato l’accoglienza in famiglia come risposta al bisogno di integrazione che è sotto gli occhi di tutti, il progetto, incardinato sulla cittadinanza attiva, voleva anche uscire dalla logica dell’immigrazione come business solo per alcune associazioni.
Però con le istituzioni poi avete avuto un confronto…
Si, ma solo dopo aver iniziato il nostro modello. A quel punto ci siamo confrontati con il Ministero degli Interni. Questo perché volevamo incidere sulle policy dell’accoglienza.
Come?
Stiamo lavorando insieme per redigere delle linee guida per l’accoglienza in famiglia che vengano inserite nell’ambito della seconda accoglienza. In questo modo le istituzioni italiane poranno da una parte sostenerne la diffuzione e dall'altra permettere il riconoscimento alle tante esperienze che il Terzo Settore vanta in questo campo.
A questo proposito, proprio perché sono in tanti a proporre questo tipo di soluzioni, in cosa Welcome Refugees si differenzia dagli altri?
In primo luogo bisogna sottolineare che per noi questo è il core business, l’accoglienza famigliare è il nostro unico ambito d’intervento. Per gli altri è invece una delle tante attività. In secondo luogo il nostro impegno principale è quello di mettere in campo un metodo rigoroso. Metodologia e professionalizzazione ci permettono di rompere la classica dinamica tra migrante e operatore sociale. Lavoriamo sull’attivazione di risorse da parte dei rifugiati che nel rapporto con una famiglia e un facilitatore culturale diano vita a uno scambio paritario e proattivo. Noi usciamo dall’idea assistenzialista dell’accoglienza e dell’integrazione e promuoviamo quello che possiamo definire un patto di convivenza. Un rapporto non unilaterale ma bilaterale in cui obblighi e doveri ci siano per tutti gli attori. E che metta in rete tutte le famiglie coinvolte del territorio. Se dovessimo definire il nostro approccio potremmo dire che facciamo un lavoro di comunità.
Ci fa un bilancio di questo prima anno di attività?
Abbiamo raccolto circa 450 adesioni su tutta Italia di famiglie disposte ad ospitare. Circa 120 sono disposte ad ospitare a tempo illimitato, più di un terzo invece a titolo completamente gratuito. Abbiamo avviato 20 convivenze, di cui alcune sono già in chiusura perché le persone prese in carico sono riuscite a trovare dimensioni di vita autonoma. Si tratta di poche attivazioni rispetto a disponibilità e richieste perché abbiamo voluto lavorare con molto accortezza. Ci siamo presi il tempo per formare il personale e implementare il metodo di lavoro. Impegno non semplice se si tiene n considerazione che siamo già presenti a Roma, Milano, Bologna, Torino, Alessandria, Genova, Padova, Modena, Reggio Emilia, Pesaro, Macerata, Firenze, L'Aquila, Catania e Cagliari. Palermo è l’ultima città che raggiungeremo nel 2016.
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