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La vuvuzela anche a messa

Viaggio nel cuore di Soweto, dove la trombetta fa parte del quotidiano

di Emanuela Citterio

Aldo Grasso ha detto che è noiosa come uno sciame
di zanzare. Ma per i sudafricani è qualcosa di più di una tradizione. Persino in chiesa A Johannesburg anche le messe cominciano al suono delle vuvuzelas. Per chi guarda le partite nel salotto di casa all’altro capo del mondo saranno una persecuzione, ma qui in Sudafrica le trombette di plastica sono parte imprescindibile della festa, negli stadi e non solo.
Ore 9 di domenica mattina, parrocchia di Zondi, nel cuore di Soweto, il sobborgo di Johannesburg dal quale è partita nel 76 la lotta per abbattere il regime dell’apartheid, oggi abitato da due milioni di persone. Descrivere la folla riunita nella chiesetta per la messa domenicale è difficile persino quando la si vede dall’interno. Due terzi dell’assemblea indossa la maglietta dei Bafana Bafana, la nazionale sudafricana. Le signore sfoggiano copricapi a tema calcistico, oppure parrucche con i colori del Sudafrica, ogni particolare è festa e voglia di celebrare. E da queste parti la celebrazione, anche quella che uno sguardo estraneo definirebbe “al di sopra delle righe”, è una cosa seria. Puntuale arriva il suono delle vuvuzelas: all’inizio del rito l’assemblea decide di sottolineare così l’entusiasmo per i Mondiali. Dall’altare i due sacerdoti, un sudafricano e un tedesco, sorridono e partecipano. Ridere non è vietato durante la celebrazione. Cantare, ballare, suonare, esultare hanno loro spazi e tempi.
In occasione dei Mondiali, le diocesi sudafricane hanno diffuso nelle parrocchie un libretto di preghiere ad hoc (A Church on the ball: prayer book). In prima pagina, in cima a una serie di note rivolte “a pellegrini e fans” della World Cup c’è ancora lei, la vuvuzela: «Una trombetta unica e tipica della traduzione sudafricana», si legge, «che viene soffiata con un entusiasmo che spacca le orecchie durante le partite di calcio, per supportare la propria squadra o intimorire quella degli avversari».
A Zondi chi dovesse proporre di “mettere la sordina alle vuvuzelas” sarebbe guardato come un abitante di Marte. Bisognerebbe dirlo ad Aldo Grasso, che sul Corriere della Sera ha definito le trombette «noiose come uno sciame di zanzare inferocite, moleste come i bongo nelle notti estive». Molesti i bongo? Uno sguardo interrogativo correrebbe sui visi spaesati degli abitanti di Zondi, che vivono a poca distanza da Vilakazi street, la strada in cui hanno abitato Nelson Mandela e Desmond Tutu, meta di pellegrinaggi e tour culturali.
«Soffiateci dentro più forte» è stata la risposta dell’arcivescovo sudafricano simbolo della lotta per abbattere l’apartheid alle critiche. Il 16 giugno a Città del Capo Tutu ha parlato di fronte a un’assemblea di ragazzi in occasione dello «Youth day», la giornata dedicata ai giovani in Sudafrica. E non ha perso l’occasione di spezzare una lancia a favore della vuvuzelas, dicendo che è importante per i sudafricani celebrare il loro momento di gloria e che gli stranieri devono accettare le loro tradizioni, inclusa la trombetta che fa parte integrante dei giochi.
Tutu si è presentato con indosso la maglia dei Bafana e un cappello giallo e verde con tanto di bandierina, accompagnato dalla star del calcio Clarence Seedorf, che ha raccontato di essere stato escluso all’ultimo momento da uno spot con la nazionale olandese e che grazie a questo cambio di programma era riuscito a essere presente. I giovani hanno accolto i due con un boato, hanno cantato a squarciagola l’inno sudafricano e, naturalmente, hanno dato libero fiato alle vuvuzelas.

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