Welfare

La voce delle comunità: parla Lucio Babolin. Il governo vuole solo risparmiare

Il presidente del Cnca accusa: "Il loro modello è la comunità con le sbarre, altro che riabilitazione".

di Redazione

Lucio Babolin è il presidente del Cnca – Coordinamento nazionale comunità terapeutiche, una corazzata che riunisce 2.089 strutture residenziali o semiresidenziali in tutta Italia. Attualmente sono 34.036 le persone prese in carico. Sette su dieci per problemi connessi all?uso di droghe. Babolin è uno che da sempre sostiene che il carcere «dovrebbe essere anche un luogo del reinserimento sociale» e invece «lì dentro non si fa altro che perdere tempo» con il risultato «di rimettere in circolazione gente assetata di vendetta verso la società». Ma nonostante questo background la proposta di trasferire i tossicodipendenti detenuti in comunità gli ha fatto dissotterrare l?ascia di guerra: «Mi auguro si tratti di una sparata». Vita: Sta dicendo che vuole tenere i tossicodipendenti in cella? Lucio Babolin: Assolutamente no. Dico solo che della proposta del Dap non vi era alcun bisogno. Vita: Fa il disfattista? Babolin: Quello che ci chiedono le istituzioni, in nome della sicurezza della pena, è la comunità con le sbarre modello San Patrignano. E chi dovrebbe tenere le chiavi? Noi educatori. Un?assurdità. E infatti quando i detenuti escono per lavorare o studiare c?è la gara per andare da Vespa e gridare allo scandalo. Vita: Qual è allora la strada giusta? Babolin: Proporre al detenuto la falsa alternativa ?cella – comunità? significa metterlo con le spalle al muro. Chi è lo scemo che ti dirà di voler restare dentro? Ovviamente nessuno. In questo modo, però, la comunità è destinata a trasformarsi in nuovo carcere: da lì dentro non puoi uscire fino a quando non hai scontato la pena. Salvo ovviamente tornare in prigione. Il corto circuito è completo. Io invece dico, ed è d?accordo con me il 90% degli operatori del settore: portiamo la riabilitazione dentro al carcere e fra le possibili opzioni – lavorative, scolastiche, sociali – mettiamoci pure anche la comunità. Su questo terreno dovremmo poter contare sul sostegno del Dipartimento nazionale antidroga, purtroppo però quello che doveva essere un organismo tecnico si è trasformato in un avamposto politico. Vita: Quante chances ha questa ipotesi di trasformarsi in realtà? Babolin: Tantissime, basta volerlo. Alcune sperimentazioni in questo senso sono state fatte. E funzionavano bene, fino a quando si è deciso di buttare tutto a carte quarantotto. L?esempio classico è stato il carcere a custodia attenuata di Eboli. Oggi quel modello è stato messo in crisi. Hanno mandato via la direttrice (Lucia Castellano, ndr), tagliato i finanziamenti e trasferito in modo coatto detenuti che non avevano nessuna intenzione di uscire dalla dipendenza con il solo scopo di alleggerire il sovraffollamento di altri istituti. Così il giocattolo si è rotto. E non era difficile immaginarselo. Poi c?è una questione che si fa finta di non vedere: nessuno parla di risorse. Vita: Ne parli lei… Babolin: Un tossicodipendente in carcere costa 400 euro al giorno, mentre la retta che il ministero della Giustizia riconosce alla comunità per la presa in carico dei detenuti è 10 volte inferiore. Retta che è erogata con anni di ritardo. Siamo di fronte a un colossale tranello: come fai a dire «punto sulle comunità» se poi non gli dai gli strumenti per lavorare. Risparmiare, è questo il vero obiettivo. Nient?altro che risparmiare.


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