Non profit

La voce dell’arcipelago

Nell'arena Le tante anime del Terzo settore si ritrovano nel Forum, l'organismo di rappresentanza di tutto il non profit

di Gabriella Meroni

Un minestrone di quelli buoni, con i pezzi di verdura interi, non un passato. Questo è il Forum del Terzo settore oggi secondo il suo portavoce, Edoardo Patriarca. Ma cosa vuol dire? Vuol dire che i responsabili del primo e più importante coordinamento di organizzazioni di Terzo settore concepiscono così la loro missione di rappresentanza politica: come un insieme di identità diverse, dove ciascuno rinuncia a un pezzetto del suo particulare per dar vita a un corpo unico, conservando però la propria identità, il proprio sapore. Non può che essere questa la formula che ha permesso al Forum di rappresentare le tante anime del non profit italiano, che comprende e spazia dal volontariato, alla cooperativa sociale, dall’associazione pura all’organizzazione non governativa, insomma tutto un mondo: milioni di italiani che praticano, credendoci, la solidarietà. Erano partiti in trenta… Sembrava impossibile, nell’ottobre del ‘94, che il non profit maturasse una coscienza così profonda di sé e dei propri mezzi da delegare alcuni suoi rappresentanti a sedersi, di lì a qualche anno, al tavolo di concertazione col governo. Parte sociale tra le altre parti sociali. Eppure la scommessa era chiara: creare un meccanismo per cui le complesse e diverse istanze del non profit venissero tutte ascoltate, raccolte e sistematizzate per essere portate all’attenzione di tutti, governo in primis. Il primo obiettivo del Forum infatti fu la visibilità, farsi sentire e vedere. Legato ad un altro obiettivo più ambizioso: dare voce a chi non ne ha, a chi non si riconosce in nessun soggetto politico, né sindacati, né partiti. Difficile dire infatti cosa potrebbero avere in comune gli scout dell’Agesci e i lavoratori di una cooperativa sociale. Ma il Forum vuole da subito essere l’alveo di chi punta sulla democrazia e sull’ascolto per arrivare a individuare obiettivi comuni, di settore. Gli stessi che sono finiti, il 18 aprile 1998, nel patto di Padova con il presidente Prodi: sei pagine fitte di impegni, finalmente nero su bianco. Una scommessa vinta, quindi? «Di più: un piccolo miracolo» commenta Nuccio Iovene, coordinatore fin dal principio. «I bookmakers ci davano vita breve, e gli osservatori dal palato fine erano sicuri: “non ce la faranno mai a tenere insieme un universo così complicato”. E il invece il Forum c’è, esiste e cresce, esaltando le differenze e anche la conflittualità. Abbiamo quotidianamente richieste di nuovi aderenti, e il nostro esperimento è guardato con attenzione anche all’estero». Un bilancio ricco di risultati Fin qui il legittimo orgoglio. Ma non dev’essere stato facile. Come avete fatto? «Ci sono state almeno due capisaldi ideali che ci hanno permesso di arrivare fin qui» spiega Franco Marzocchi, dirigente del Forum e presidente di Confcooperative. «Primo, la consapevolezza politica e personale che gli interessi di tutti si difendono meglio quando ciascuno sacrifica qualcosa del proprio perché emergano quelli generali; secondo, la rinuncia al corporativismo. È una scelta in controtendenza rispetto ad altri organismi “di categoria”, ma la riteniamo più corrispondente a una realtà così variegata come quella del Terzo settore». Un atteggiamento che ha pagato, almeno a guardare i risultati che il Forum ha “portato a casa” in termini di leggi e riconoscimenti. Anche qui, dietro ogni provvedimento approvato, c’è un lavoro preparatorio fatto di dialoghi, documenti, contatti tessuti pazientemente tra associazioni, esperti, politici. Un background che ha accompagnato ad esempio la legge di riconoscimento fiscale, la famosa 460 sulle Onlus, che il Terzo settore ha praticamente sillabato comma per comma, consultando fiscalisti e tesorieri, professori e semplici volontari. E incalzando con una campagna di pressione senza precedenti le varie commissioni Zamagni incaricate di stendere il testo di legge e lo stesso ministro Visco, i cui esperti hanno dovuto familiarizzare in fretta con termini come raccolta fondi, mission, perfino gratuità… E il Forum sempre lì a raccogliere segnalazioni, eccezioni, proteste. Lo stesso copione si è ripetuto poi con molte altre leggi fondamentali per il non profit italiano, come la normativa sulle cooperative, o la legge sull’immigrazione, sull’obiezione di coscienza, la ratifica della convenzione dell’Aja sulle adozioni, la 285 sull’infanzia… «Il flusso di informazioni dalla base non si è mai fermato» conferma Iovene. «Così siamo stati sempre aiutati a puntare in alto, preferendo le grandi questioni agli obiettivi minimi e alla bassa cucina, anche se sapevamo che su questi avremmo forse ottenuto di più e più in fretta». La parola ai politici I palazzi della politica hanno dunque imparato in fretta a conoscere il Forum e a tenerne in conto le indicazioni. Lo sanno bene gli onorevoli Mimmo Lucà e Vasco Giannotti, rispettivamente vicecapogruppo di maggioranza alla Camera e capogruppo Ds in Commissione Affari Sociali, che giurano all’unisono (ci sarà da credergli?) di non essersi mai scocciati all’ennesima richiesta avanzata dal Terzo settore. «Il Forum ha imparato bene a fare pressing» è il massimo che si riesce a scucire a Lucà. «E il dialogo con i suoi rappresentanti è continuo. Nel tempo sono anche migliorati: adesso non si limitano a protestare, ma presentano emendamenti e proposte di legge». Facendo un favore anche agli onorevoli, che ricevono così indicazioni su ciò che si muove nel paese, e input essenziali per esercitare a loro volta quel mandato di rappresentanza che ricevono dai nostri voti. «Sì, un merito del Forum è stato quello di averci fornito un interlocutore unico e affidabile» ammette Giannotti. «Altrimenti sarebbe impossibile venire incontro alle esigenze particolari di tutte le realtà solidali italiane». In effetti, anche la sensibilità della classe politica è cresciuta. «Ora i miei colleghi sanno che se vanno a toccare certi argomenti susciteranno la reazione, positiva o negativa, dei rappresentanti del non profit» conclude Lucà. Una diffusione capillare Una rappresentanza o è territoriale, o non è. E infatti il Forum oggi non è più solo uno, ma 65 (15 regionali e 50 locali) sparsi in tutta Italia. E il bello è che nessun Forum regionale è uguale all’altro, perché in ciascuno sono presenti realtà locali che non entrano nel Forum nazionale ma che hanno ugualmente una fitta trama di rapporti e problemi. Tenere unita questa galassia non è facile, infatti Nuccio Iovene racconta di una media di un viaggio a settimana per partecipare a incontri, convegni, raduni… «Tutto sta nel costruire e curare la nostra rete» dice Edo Patriarca. «Rispettando i tempi di tutti, garantendo la trasparenza dei processi decisionali e favorendo un confronto esigente, senza scorciatoie». Il flusso delle informazioni nel Forum è continuo e trasparente: prima di prendere decisioni impegnative si mettono in piedi gruppi di lavoro a cui vengono invitati tutti i soggetti interessati e le cui conclusioni vengono poi discusse nell’assemblea generale, in cui ogni membro del Forum invia uno, due o tre rappresentanti a seconda del numero di iscritti. L’assemblea elegge un consiglio nazionale che resta in carica tre anni (l’attuale scadrà nel giugno 2000) e un coordinamento di 5 membri, nominato dal consiglio, in cui siedono il segretario generale Iovene e il tesoriere, Marina Guidotti e i tre portavoce Luigi Bobba, Edoardo Patriarca e Franco Marzocchi, espressione ciascuno delle tre “anime” del Forum (associazionismo, cooperative, volontariato) e che infatti ricoprono il ruolo per un anno ciascuno. Per dare visibilità a tutti. Il futuro? Sarà ancora Forum Esisterà ancora il Forum del Terzo settore tra cinque anni? Viste le premesse, pare di sì. «Più passa il tempo più la nostra sfida diventa difficile» avverte Marzocchi. «Più ottieni risultati più ti tocca affrontare i problemi in profondità, migliorare la preparazione, e anche imparare qualche “trucco” politico». «Purtroppo non viviamo nel migliore dei mondi possibili» conclude Nuccio Iovene. «Quindi temo che in futuro lavoreremo sempre più. Non dobbiamo mai dimenticare una cosa: se facciamo bene il nostro lavoro ne guadagnano soprattutto le persone con cui le associazioni lavorano, cioè i più deboli, gli esclusi. Dobbiamo essere coscienti del ruolo sociale del Terzo settore che rappresentiamo. Solo così contribuiremo a costruire una società più giusta. Altrimenti… chi ce lo fa fare?».


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