Economia

La vocazione da rescue company delle imprese sociali

Il professore della Bocconi interviene nel dibattito sulla nuova impresa sociale prevista dalla legge delega della Riforma del Terzo settore: «Possono diventare un'ancora di salvataggio per le imprese profit e non profit in crisi ed in difficoltà e contro la disoccupazione conseguente»

di Giorgio Fiorentini

L’Impresa sociale può diventare un’impresa di salvataggio (“Rescue Company”) per le imprese profit e non profit in crisi ed in difficoltà e contro la disoccupazione conseguente. Nell’ambito della Riforma del Terzo settore , all’art.2 punto 2 lettera a del Decreto attuativo del Decreto legislativo n 155/2006 si prospetta che l’interesse generale conseguito dall’attività d’impresa sociale si può svolgere secondo il seguente dettato normativo:

«Indipendentemente dall'esercizio della attività di impresa nei settori di cui al comma 1, possono acquisire la qualifica di impresa sociale le organizzazioni che esercitano attività di impresa al fine dell'inserimento lavorativo di persone che siano:

  • lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati ai sensi dell’articolo 2, numeri 4) e 99), del regolamento (UE) n.651/ 2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato, la cui situazione di svantaggio non si protragga da oltre due anni;
  • Cioè: 4) «lavoratore svantaggiato»: chiunque soddisfi una delle seguenti condizioni:
  • non avere un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
  • avere un'età compresa tra i 15 e i 24 anni;
  • non possedere un diploma di scuola media superiore o professionale (livello ISCED 3) o aver completato la formazione a tempo pieno da non più di due anni e non avere ancora ottenuto il primo impiego regolarmente retribuito;
  • aver superato i 50 anni di età;
  • essere un adulto che vive solo con una o più persone a carico;
  • essere occupato in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25 % la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici dello Stato membro interessato se il lavoratore interessato appartiene al genere sottorappresentato;
  • appartenere a una minoranza etnica di uno Stato membro e avere la necessità di migliorare la propria formazione linguistica e professionale o la propria esperienza lavorativa per aumentare le prospettive di accesso ad un'occupazione stabile.
  • «lavoratore molto svantaggiato»: chiunque rientri in una delle seguenti categorie: a) lavoratore privo da almeno 24 mesi di impiego regolarmente retribuito; b) lavoratore privo da almeno 12 mesi di impiego regolarmente retribuito che appartiene a una delle categorie di cui alle lettere da b) a g) della definizione di «lavoratore svantaggiato».

Le imprese sociali possono intervenire come “rescue company” per recuperare sia posizioni di mercato di imprese for profit ove alcune regole “tossiche” dell’impresa stessa hanno condotto a una deriva fortemente instabile sia posti-posizioni di lavoro “in sofferenza” che altrimenti,dopo la cassa integrazione guadagni, non avrebbero speranza di mantenimento nella continuità;in sintesi si salverebbero posti di lavoro

Tutto questo può avvenire in un contesto economico e sociale ove, nei momenti di crisi, la forma d’impresa partecipata, sia come istituto giuridico-economico ,sia come modello gestionale è una via d’uscita e di reazione con risultati positivi e di recupero. Le imprese sociali possono intervenire come “rescue company” per recuperare sia posizioni di mercato di imprese for profit ove alcune regole “tossiche” dell’impresa stessa hanno condotto a una deriva fortemente instabile sia posti-posizioni di lavoro “in sofferenza” che altrimenti,dopo la cassa integrazione guadagni, non avrebbero speranza di mantenimento nella continuità;in sintesi si salverebbero posti di lavoro.

Con la formula imprenditoriale dell’impresa sociale che subentra all’impresa profit e non profit in crisi, si manterrebbe un continuità di attività lavorativa e di “brand” che farebbe cogliere i primi segnali di ripresa. Se le imprese cessassero la loro attività si rischierebbe,ineluttabilmente,di perdere valore, mercato,brand , avviamento,assetto tangibile e intangibile.

Questa scelta potrebbe supportare la competitività in un mercato ridimensionato e utile per cercare mercati aggiuntivi , innovativi ed interstiziali rispetto all’esistente.

Come già detto precedentemente l’impresa sociale ha una formula imprenditoriale che gode del vantaggio di avere un “asset” aziendale che può stare in equilibrio gestionale a prezzi competitivi perché i costi di gestione e produzione sono inferiori rispetto a quelli della formula imprenditoriale tradizionale che deve massimizzare “in assoluto” il profitto per distribuirlo ai conferenti di capitale. Le nostre imprese sociali “rescue company” potranno distribuire utili in forma “cappata” e con un tetto mantenendo però un equilibrio economico finanziario che stabilizza l’operatività.

L’alternativa, secondo la formula imprenditoriale patologicamente tradizionale, potrebbe essere quella di chiudere l’azienda for profit in crisi “in toto” o in parte, perché se si adotta il fine che l’unica motivazione per la sussistenza di un’impresa è la massimizzazione dei profitti in logica di “avidità”, non ci sarebbero altre vie d’uscita.

L’impresa sociale non profit è “veicolo imprenditoriale” privato , di “produzione e scambio”.

In quest’ottica e con questa chiave di implementazione imprenditoriale le Imprese Sociali “rescue company” potrebbero operare in:

  • settori meno colpiti dalla crisi (per esempio servizi turistici, food and beverage a “brand” di tradizione locale o altri ove è più facile la conversione professionale,produzioni artigianali ed artistiche ecc),Essere protagonisti del marketing di territorio in tutte le sue sfaccettature;
  • settori di nicchia indispensabili per i nuovi stili di vita e di consumo ai quali dovremo adattarci (come le energie rinnovabili) ed in quelli non delocalizzabili, a basso impatto ambientale e a km0;
  • settori che presidiano linee di prodotti/servizi senza griffe o sottomarca per mantenere o sviluppare quote di mercato aggiuntive oppure prodotti/servizi “white label” o “private label” (come i marchi privati della grande distribuzione)
  • settori ove il brand di alta gamma vuole mantenere il suo posizionamento sul mercato in attesa di riprendere in assoluto(volumi,qualità,prezzo) le sue quote di mercato che si sono ridimensionate e che purtroppo creerebbero sacche di disoccupazione .Con una situazione di incapacità a riprendere l’attività quando la crisi sarà finita perchè il personale sarà o in altre imprese concorrenti o avrà fatto altre scelte lavorative.In questa attesa razionale si può ipotizzare la creazione di una impresa sociale che possa agire sul mercato di riferimento con una linea di prodotti vendibili ad un prezzo coerente con le nuove esigenze del mercato e compatibile con una domanda di consumo orientata all’acquisto di beni/servizi di gamma inferiore a quella originaria e ad un prezzo più basso;
  • settori ove si può configurare start up e sviluppo di imprese specializzate nel “low cost”.

Inoltre si potrebbe riprendere e rinnovare la disciplina sulle start up innovative a vocazione sociale che possono costituirsi in forma societaria con un” lock up” ed un divieto di distribuzione di utili per i primi 48 mesi, dopodiché non esistono limiti e si possono distribuire utili. La Riforma del Terzo settore e l’impresa sociale possono giocare un ruolo concreto contro la mai sopita crisi;essere uno strumento contro la disoccupazione e un modo per fare politica attiva del lavoro.

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