Salute
La vittoria sullAids compie tre anni
E' stato il primo bimbo dello Zimbabwe a essere trattato con Nevirapina (di Giuditta Castellanza).
di Redazione
Il futuro dello Zimbabwe ipotecato dall?Aids rinasce da lì, dall?amore di una madre per i suoi figli, per il primo che il virus si è portato via appena nato e per il secondo che compie tre anni domenica 9 maggio ed è sano come un pesce. Sono le due del pomeriggio quando si affacciano alla porta della redazione di Vita, Safina e Takunda. Lei, sieropositiva come più di un milione di suoi connazionali, ha 28 anni. È bella. Ha due occhi languidi come l?Africa e una riservatezza difficile da scalfire. Come la sua determinazione. Lui è suo figlio, ha tre anni, è bellissimo e gli basta poco per trovarsi a suo agio in mezzo a sconosciuti che lo conoscono bene e per lui hanno fatto il tifo a distanza. Takunda è il primo bambino dello Zimbabwe salvato dall?Aids grazie alla campagna del Cesvi Fermiamo l?Aids sul nascere, iniziata giusto tre anni fa.
Lo sbarco a Malpensa
Una battaglia contro la trasmissione dell?Hiv tra madre e figlio combattuta con la nevirapina, un farmaco che impedisce il contagio tra mamma sieropositiva e neonato al momento del parto. Takunda è diventato il simbolo di questo impegno che in tanti dall?Italia hanno sostenuto, la testimonianza vivente dell?impegno di medici e volontari della ong italiana che si sono battuti per introdurre nel Paese il farmaco e il test rapido per l?Hiv. Fa un certo effetto toccare con mano questa piccola vittoria, che a volte sembra lontana come il Paese da cui proviene. Takunda è sbarcato con la faccia attonita lunedì 3 maggio a Malpensa, dopo aver passato tutto il viaggio appiccicato all?oblò dell?aereo, lui che come la mamma non era mai uscito da Harare; tutto nuovo ed entusiasmante, l’aeroporto semideserto, l?autostrada piena di auto, Milano e Bergamo, la città del Cesvi, dove sono ospitati. Perché proprio a lui la Provincia di Bergamo ha intitolato il premio Vincere con la solidarietà, dedicato ai progetti di solidarietà italiana nel mondo. Ora Takunda è qui, ride, non sta fermo un attimo, coinvolge nei suoi giochi chi gli capita a tiro, e sgranocchia biscotti in continuazione. Chiacchiera nella sua lingua, il gelato è “naka”, delizioso. Safina lo guarda: “Takunda è sangue del mio sangue e vederlo così, sano, è una gioia che non so descrivere”, dice. La sua vitalità è l?inizio di una nuova speranza per tanti là in Zimbabwe. Safina lo sa bene, se ha deciso di dargli quel nome, che in lingua shona significa “abbiamo vinto”. Con poche parole, timide ma senza titubanze, racconta la sua storia. Tutto è cominciato un giorno qualunque di oltre tre anni fa, nell?ospedale Saint Albert di Centerary, Zimbabwe del Nord. Quel giorno Safina ha detto sì, ha accettato di aderire al progetto e di prendere in mano il destino suo e del figlio che portava in grembo. “Era da settimane che con le dottoresse del Cesvi proponevamo il test rapido alle donne in gravidanza e il trattamento con la nevirapina se necessario”, spiega Marama, operatore sanitario dello Zimbabwe, che ha accompagnato Safina e Takunda nel loro viaggio italiano, “ma ci guardavano come fossimo pazzi, non sapevamo da dove iniziare”. Finché si è alzata lei. Un sì che ha cambiato il destino di Takunda e dei figli delle altre mamme che, colpite dal coraggio di Safina, hanno seguito la sua scelta.
Tutto cominciò col test
Il test ha confermato a Safina il sospetto della sua sieropositività; la nevirapina al momento del parto e il latte artificiale poi hanno salvato Takunda dall?Aids. “Il momento più bello della mia vita è stato quando hanno fatto il test a Takunda, che aveva un anno, ed è risultato negativo”, dice Safina. Per lui, questa giovane donna ha vinto la paura della discriminazione e dell?emarginazione sociale a causa della sieropositività: “Molte donne non dicono al compagno né del test né del trattamento per non dichiarare la propria sieropositività”, spiega Micol Fascendini, la dottoressa che opera al Saint Albert da due anni e che li ha accompagnati in Italia.
Il programma sanitario
“Il programma ha aiutato Safina, ma è stato il suo coraggio che ha sostenuto il nostro lavoro. Con Safina abbiamo capito che si poteva tentare”, continua Marama. Lui è un counsellor (sono 23 in tutto lo Zimbabwe a lavorare per il Cesvi), il suo lavoro mira alla sensibilizzazione delle donne e poi le accompagna nel percorso di prevenzione, diventando un punto di riferimento per le mamme che decidono di seguire il programma. Marama ha 53 anni e un sorriso buono che si apre su una fila di denti bianchi con un buco in mezzo; anche lui si è scoperto sieropositivo, anche lui come Safina l?ha dichiarato pubblicamente e insieme testimoniano nel loro Paese un modo diverso di vivere la malattia. Da due anni Safina ha lasciato il villaggio in cui viveva con la sua famiglia coltivando la terra e si è trasferita cento chilometri lontano, al Saint Albert, dove oggi lavora per il Cesvi e dove può seguire il trattamento retrovirale che impedisce al virus di diventare malattia conclamata. Questa è infatti l?ultima sfida del Cesvi: non solo continuare a far nascere bambini sani da mamme contagiate, ma non lasciarli orfani.
Safina, dice, è contenta di essere venuta qui a conoscere le persone e le realtà che tanto l?hanno aiutata: “È un privilegio speciale e raro che il mio Takunda, nato in un ospedale rurale, sia famoso in Italia”. Ma il privilegio è nostro: quello di festeggiare una speranza che ha gli occhi vivi di Takunda.
Giuditta Castellanza
Info:
Il Cesvi: per una Festa della mamma dedicata all?Africa
Una Festa della mamma nel segno di Safina, mamma di Takunda, è la proposta del Cesvi. Una proposta che propone di festeggiarla con un progetto destinato alle mamme meno fortunate: le mamme colpite dall?Aids in Zimbabwe. Dal 2001 il Cesvi sta sviluppando in Zimbabwe, Sudafrica e Congo il progetto Fermiamo l?Aids sul nascere, che mira a prevenire la trasmissione del virus Hiv dalla mamma sieropositiva al neonato. Gli oltre mille neonati che fino ad oggi il Cesvi è riuscito a proteggere dal grande rischio di essere contagiati con l?Hiv dalle proprie madri, hanno avuto il dono più grande: quello della vita. Ma le loro madri sono sieropositive e rischiano di non farcela. Per questo motivo oggi il Cesvi ha deciso di intraprendere una nuova sfida: curare 100 neomamme sieropositive. Il progetto si chiama Viva la mamma! e si attiene a un protocollo sanitario dell?Organizzazione mondiale della sanità che prevede l?assistenza psicologica e la cura farmacologia delle madri sieropositive. Una terapia antiretrovirale costa 1 euro al giorno, quanto un caffè in Italia. Con 365 euro tutti possiamo adottare una mamma per un anno intero.
C/c postale 324244 intestato a Cesvi; con carta di credito al Numero verde 800.036.036; online alla pagina www.cesvi.org/donazionionline
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.