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La vittoria di Bloomberg e il trionfo del giornalismo economico

Norman Solomon, editorialista d Media Beat (FAIR) commenta le elezioni del nuovo sindaco di New-York

di Redazione

Commentando l?elezione del miliardario Michael Bloomberg a sindaco di New York, l?agenzia di notizie France Presse faceva notare che egli “è stato uno dei primi a capire che l?era dell?informazione poteva offrire agli investitori una lucrativa serie di nuovi servizi”. Negli ultimi mesi Bloomberg ha speso nella campagna elettorale almeno 50 milioni di dollari presi dalla cassaforte personale che aveva riempito lavorando per una comunità mediatica che riverisce la capacità di accumulare ricchezze. La Bloomberg News è diventata un servizio informativo di grande penetrazione negli anni Novanta, quando le notizie finanziarie entrarono con forza nei mass media. La categoria “notizie di interesse generale” ha sempre stentato a trovare una definizione precisa ma nel decennio che si siamo lasciati alle spalle i grandi produttori di notizie continuarono a spostare risorse e priorità verso il mondo degli affari. Quando nel 1970 la catena televisiva pubblica PBS lanciò “Wall Street Week” condotto da Louis Rukeyser, il successo fu enorme. Adesso non è che uno dei tanti programmi di informazione (spesso giornalieri) indirizzati a coloro che vogliono investire bene i propri soldi. Nel 1980, dopo che “Moneyline” divenne il programma più seguito in assoluto della CNN, i canali di televisione via cavo decisero di abbracciare il mondo degli investimenti. Così, nel 1989 la General Electric scelse di dedicare al mercato azionario buona parte dello spazio disponibile sulla neonata startup di notizie CNBC. Quando Lou Dobbs, il conduttore storico di “Moneyline”, lasciò la rete di Atlanta nella primavera del 1999, ?CBS Marketwatch? fu per qualche mese il programma più redditizio della rete. Ma poco dopo l?offerta di notizie finanziarie sui canali televisivi si era moltiplicata e diversificata fino all?inverosimile. I programmi di notizie presero l?abitudine di dedicare attenzione ad attività economiche di nicchia non tanto a causa della loro importanza per il pubblico in generale ma per scelte precise dei direttori di testata. Quando verso la metà del 1999 la CNN riorganizzò il palinsesto diurno per far stare 3 ore e mezza di programmi sugli affari e gli investimenti, il presidente Richard Kaplan lo spiegò così: “Per noi gli affari e la finanza sono centrali per una rete di notizie generalista. E? come la Guerra Fredda negli anni Cinquanta. Dobbiamo parlarne e basta.” Alcuni spettatori diventarono più uguali di altri. Sia per le reti televisive tradizionali che per quelle via cavo non era soltanto questione di attirare un maggior numero di occhi. Ecco un articolo prodotto quest?anno dalla Associated Press sulla competizione fra le trasmissioni “Moneyline” della CNN e “Business Center” della CNBC: “Il loro pubblico è ristretto ma ricco e le aziende sono pronte a pagare di più per gli spazi pubblicitari.” In realtà la stragrande maggioranza dei servizi raccontano storie di varia umanità riguardanti vita e le gesta di capitani di industria, imprenditori e uomini di borsa. Le reti appartenenti alla GE, la Viacom e la Disney registrano con solennità anche il minimo sussulto della borsa. Fra il 1988 e il 1999 è raddoppiato lo spazio che le reti TV dedicano alla Borsa di New York e al Nasdaq. Gli spettatori potrebbero pensare che i servizi riflettono l?opinione ponderata di giornalisti professionisti. Ma i cronisti si muovono in un ambiente dominato da grandi imprese che hanno la capacità finanziaria di ridefinire il significato della professione giornalistica. All?interno di ogni giornale radio la rete pubblica NPR manda in onda in tutto il paese un aggiornamento sulla borsa ma non ha nessuna rubrica sul mondo del lavoro. Agli ascoltatori vengono offerti programmi sul mercato e gli investimenti ma non ci sono né rubriche né tantomeno programmi sull?occupazione o i problemi della sicurezza sul posto di lavoro. Da quando venticinque anni fa il New York Times introdusse una sezione quotidiana tutta dedicata agli affari è cresciuto il numero di quotidiani che dedicano spazio a intercettare il segmento di lettori benestanti più amato dagli inserzionisti. Le pagine della rubrica economica giornaliera del Washington Post sono passate da 2 a 12. Negli organi di stampa di tutto il Paese le notizie finanziarie sono proliferate a scapito di altre informazioni. Strada facendo è cambiato anche il significato della parola giornalista. “Negli anni Ottanta i nostri lettori sono diventati velocemente consumatori,” ricorda Diana B. Henriques di The New York Times, “i quali attraverso gli anni Novanta si sono trasformati in investitori. Addirittura molti di noi scrivono esclusivamente per quegli investitori che possiedono un computer dotato di modem.” Tradizionalmente la qualità del giornalismo è sempre stata condizionata da manifestazioni del potere economico come la proprietà e la pubblicità. Ma il presente ci spinge a guardare con nostalgia a quel passato che tanto deprechiamo. “Il nostro pubblico si è ristretto e noi con esso,” scriveva la Henriques un anno fa sulla Columbia Journalism Review. “Le notizie finanziarie non sono in grado di suonare le stesse corde del grande giornalismo. Normalmente strillano o strimpellano il clarinetto con sottofondo di registratori di cassa e calcolatrici.” Non c?è dubbio che sia stata questa stridula pianola ad accompagnare l?ingresso trionfale di Michael Bloomberg nell?élite dei miliardari nonché nel palazzo municipale di New York. L?ultimo libro di Norman Solomon s’intitola “The Habits of Highly Deceptive Media.”


Traduzione di Delia Tasso

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Articolo originale: Bloomberg’s Victory and the Triumph of Business News


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