Cultura
La vita impressa su una pellicola
Gli scatti del documentarista giordano Hamzeh Zahran nel campo profughi Za'atari, che ospita quasi 80.000 rifugiati siriani e dove "la vita si tocca anche solo con lo sguardo"
“I started considering myself a photographer once I arrived here”. La solita storia di chi arriva nella grande mela alla ricerca di se stesso? Vero, direi, ma ogni storia, ogni vita, ha dei protagonisti unici con le proprie ricerche da fare. La vita in questione é quella di Hamzeh Zahran, documentary photographer giordano, vicino agli emarginati. Le foto di Hamzeh hanno un potere particolare cioé quello di farti sentire accanto ai soggetti, i quali spesso raccontano storie difficili di emarginazione appunto ma nel contempo di speranza. Infatti é come se attraverso la sua lente Hamzeh ci mostri che é davvero l'ultima a morire, la spem, dove apperentemente vedremmo tutt'altro. Il sorriso dei giovanissimi ragazzi siriani nel campo profughi in Giordania infatti non può che con-muoverci. Hamzeh arriva negli Stati Uniti appena maggiorenne per studiare marketing ma decide di investire tutto nell'obiettivo fotografico e cambia rotta. I suoi foto-documentari riscuotono grande apprezzamento tanto che Leica ne ha pubblicato uno di recente sul proprio sito.
Però lui sa che la strada é ancora lunga. “I want to be in the field” mi dice sorseggiando un caffé tra i grattaceli di Midtown. Infatti questo luogo é solo una cittadina per Hamzeh, in confronto al mondo là fuori. Lui vuole essere lì in mezzo agli altri, in mezzo a quei volti da ritrarre. Il suo obiettivo non si vuole interporre tra noi e la realtà ma fondersi in un tutt'uno. Tra poco infatti ripartirà per quei luoghi dove la vita la si tocca anche solo con lo sguardo e quelle storie si imprimeranno ancora una volta sulla sua pellicola e nella nostra memoria.
Le foto sono state scattate durante un workshop di skateboard organizzato da "make life skate life" e la NGO “ACTED”. @hamzehfoto
English version:
Life impressed on a film. “I started considering myself a photographer once I arrived here”.
This might sound like the typical New York story: the tale of someone coming to the Big Apple to find themselves. However, every life has to be unfolded in its own way. The life in question is Hamzeh Zahran, Jordanian documentary photographer who I would describe as closely aligned to the marginalized. Hamzeh's shots have the power of making you feel connected to their subjects, whose stories are often of everyday life and struggle, but nonetheless full of hope. Through his lens, Hamzeh is able to disclose the life promise we should really hang onto, even when the facts are telling the opposite. As evidence: there is the smile of a Syrian kid inside the refugee camp in Jordan that can only move us. Hamzeh arrived in the States as young adult to study marketing, and realized quickly that his passion was elsewhere. His photo documentaries are well-acclaimed, and Leica dedicated two blog posts to him. However, he knows there is still so much work to do: “I want to be in the field” he tells me while sipping on a cup of coffee surrounded by Midtown's high-rises. For Hamzeh, New York is nothing more than a village compared to what's out there. He wants to be among the people, those countless faces waiting to be captured by his camera. He doesn't want to stand between us and reality but, instead, being one with it. Soon this photographer will be off to new places where life can be touched just by a gaze, and those stories will be impressed one more time on his film, and soon in our own memory.
The photos were taken during the skateboard workshop run by "make life skate life" and “ACTED” NGO. @hamzehfoto
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