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«La vita dei giovani transgender? Famiglie e scuola possono fare la differenza»

«Non sempre le vite delle ragazze e dei ragazzi transgender sono invise o osteggiate dalle famiglie e dalla comunità come quella di Ciro Migliore, il fidanzato transgender di Maria Paola Galiando, uccisa dal fratello a Caivano». A parlare è Maddalena Mosconi, psicologa-psicoterapeuta, Responsabile “Area Minori” del SAIFIP dell’ospedale S. Camillo-Forlanini di Roma, che da più di venti anni accoglie e accompagna bambini e adolescenti gender variant. L'intervista

di Sabina Pignataro

«Non sempre le vite delle ragazze e dei ragazzi transgender sono invise o osteggiate dalle famiglie e dalla comunità come quella di Ciro Migliore, il fidanzato transgender di Maria Paola Galiando, uccisa dal fratello a Caivano». Lo sottolinea Maddalena Mosconi, psicologa-psicoterapeuta, Responsabile “Area Minori” del SAIFIP (Servizio di Adeguamento tra Identità Fisica e Identità Psichica) dell’ospedale S. Camillo-Forlanini di Roma, che da più di venti anni accoglie e accompagna bambini e adolescenti gender variant . «I loro vissuti – dice- possono essere fortemente drammatici sì, ma anche sereni e positivi», grazie anche al sostegno ricevuto dalle famiglie e da presidi e insegnanti».
Per contrastare la transfobia sono necessari chiarimenti e riconoscimenti normativi improcrastinabili. «Sicuramente annoverare i comportamenti transfobici all’interno dei reati d’odio, adottando il cosiddetto “ddl Zan”, sarebbe un segnale forte anche sotto il profilo socio-culturale, oltre che sanzionatorio».



Che sia a causa di drammatici fatti di cronaca, per la questione dei bagni nelle scuole e l’accettazione delle atlete nello sport, la vita delle persone transgender è oggi al centro dell’attenzione dopo anni di emarginazione. Cosa ne pensa?
Si sente parlare sempre più spesso di bambini e adolescenti gender variant (o transgender) la cui identità di genere, cioè la percezione che ognuno ha del proprio sentirsi maschio o femmina, (e che non ha a nulla a che vedere con l’orientamento sessuale) non coincide con quella attribuita alla nascita sulla base degli organi genitali. Lentamente, tv e giornali, stanno sollevando il coperchio su questa esperienza, che esiste da sempre, ma che è stata considerata a lungo un tabu. Questo è un segnale positivo. Tuttavia la crescente visibilità che i giovani transgender hanno avuto sui media è spesso monocolore: si parla di loro come di minoranza discriminata e maltrattata, che acquista rilevanza sociale e politica solo in relazione a sensazionalistici casi di cronaca. Ma non è solo così.

Come è la vita dei ragazzi transgender?
La loro vita è fatta anche di famiglie e comunità accoglienti, di amore, di inclusione
, successo scolastico prima e lavorativo poi. Sappiamo che le persone con varianza di genere sono spesso creative e hanno doti artistiche e particolari talenti, caratteristiche che se vengono adeguatamente riconosciute li portano ad avere successo nella vita. Per abbattere muri e costruire ponti di accoglienza e di comprensione, è fondamentale che la rappresentazione dell’identità di genere non figuri (solo) come una questione teorica, ma sia connessa con i vissuti degli individui. Vissuti che possono essere fortemente drammatici sì, ma anche sereni e positivi.
Senza considerare poi che la presenza di comportamenti di genere non conformi non è necessariamente indicativa della presenza di una Disforia di Genere, di un malessere: ci sono anche giovani e adulti che non sentono disagio rispetto al proprio corpo e vogliono presentarsi con il genere desiderato senza essere medicalizzati, ad esempio con interventi chirurgici invasivi.

Sarebbe grave, però, negare la realtà della transfobia…
Vero. Gli adolescenti transgender sono ad alto rischio di subire violenze, molestie e atti di bullismo da parte di altri adolescenti e di adulti. E anche quando non vi siano maltrattamenti espliciti, spesso subiscono aggressioni verbali umilianti.

In Italia non esistono delle norme specifiche che puniscano questi comportamenti
Il dibattito sull’identità di genere nella politica e nella società riguarda fondamentali questioni di diritti e mette in luce l’urgenza di chiarimenti e riconoscimenti normativi improcrastinabili. Purtroppo, la legge contro l’omotransfobia, il cosiddetto “ddl Zan”, resta in attesa: la sua discussione è stata rimandata ancora, forse ad ottobre. Eppure, annoverare i comportamenti transfobici all’interno dei reati d’odio, ampliando la lista prevista dal decreto Mancino, sarebbe un segnale forte anche sotto il profilo socio-culturale, oltre che sanzionatorio.

C’è anche poca informazione e formazione a disposizione di insegnanti, genitori, professioni del corpo e della mente. Cosa si potrebbe fare?
Purtroppo laddove c’è più ignoranza sulle tematiche relative alla varianza di genere si registrano le maggiori difficoltà. Ho l’impressione, però, che a livello socio culturale negli ultimi anni siano stati fatti dei passi avanti significativi. Qui a Roma sono sempre di più i genitori che si rivolgono ai Saifip perché hanno bisogno di capire come meglio agire nel benessere dei loro figli, specie quando sono piccoli, (mentre più spesso gli adolescenti si attivano in prima persona). Sono madri e padri che hanno letto degli articoli, che hanno visto delle serie tv, che in qualche modo hanno già iniziato a interrogarsi e a farsi delle domande.

Che ruolo giocano i genitori?
L’accettazione e l’accoglienza da parte delle famiglie gioca un ruolo di primaria importanza. La mia esperienza ventennale mi porta ad osservare che spesso, di fronte ad un coming out dei figli, i genitori reagiscono con un forte rifiuto: non solo perché ingabbiati in un’educazione segnata dalla paura del giudizio, ma anche perché temono che i loro figli possano andare incontro molestie, bullismo, violenza e percorsi complicati e difficili. Per questo motivo alcuni insistono verso un’adesione conforme al genere atteso. Ma con un lavoro di ascolto e riflessione insieme è possibile scrostare questo rifiuto iniziale. Molto utili ed efficaci, ad esempio, sono i gruppi di aiuto in cui sono presenti anche i genitori che hanno figli avanti con il percorso e che possono rassicurare i nuovi che sono, comprensibilmente, molto spaventati.

Le scuole come se la cavano?
Sempre più frequentemente presidi e insegnati chiamano i professionisti per agevolare il percorso scolastico degli alunni transgender, il cui tasso di abbandono scolastico è il doppio (34%) rispetto alla media. Dialoghiamo con loro e in questo modo gli permettiamo di conoscere meglio la realtà transgender e di capire come aiutare i propri alunni. Ad esempio consigliamo che queste ragazze e questi ragazzi vengano chiamati da compagni e docenti con il nuovo nome e che venga loro consentito – ove possibile- la scelta dello spogliatoio e del bagno, così come quella dell’uniforme o grembiule. Quando sono più grandi, alcune Università offrono ai ragazzi e alle ragazze in transizione la possibilità di attivare (gratuitamente) un profilo burocratico, un badge e un indirizzo email alternativo e temporaneo, che sostituisca il nome anagrafico con quello adottato, almeno fino all’ufficiale rettifica anagrafica. In Italia sono 32 gli atenei pubblici (sui 68 presenti) ad avere attivato la “carriera alias”.

E i pediatri sono preparati?
Mi spiace costatare che i professionisti, in modo particolare pediatri e neuropsichiatri, sono ancora poco formati sulle questioni che hanno a che fare con l’identità di genere e restano arroccati su stereotipie e su posizioni spesso superate. Questo genera grosse difficoltà poiché spesso le famiglie si rivolgono a questi professionisti in prima battuta che, nella migliore delle ipotesi, liquidano la questione dicendo “con il tempo passerà”. In realtà il tempo che passa non fa che aumentare la sofferenza. E questa ignoranza aumenta il disagio dei giovani e delle famiglie, che si sentono non solo sole, ma anche diverse e sbagliate.

Secondo lei oggi nascono più bambini transgender che in passato?
Non credo. Sarei più portata a pensare che oggi le persone transgender si sentono più facilmente sicure da dichiararsi. Man a mano che la società diventa più consapevole dell’identità di genere, la scelta di fare coming out potrebbe diventare progressivamente meno difficile e alcuni di loro potrebbero scegliere di dichiarare la loro identità ben prima di quanto sia avvenuto per le generazioni precedenti. Come avevo spiegato nella precedente intervista, ogni volta che si inizia a sgretolare uno stigma sociale, l’incremento delle richieste di presa in carico dipende dal fatto che lo stigma creava un sommerso che un po’ alla volta viene fuori. Secondo l’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (www.onig.it) sarebbero 285 i minori che – negli ultimi 13 anni- si sono rivolti agli 8 centri specializzati per ricevere informazioni o supporto. L’83% di questi ha tra i 13 e i 17 anni (dati del 2019). Questi numeri – sebbene parziali e sottostimati- sono davvero ancora molto esigui rispetto al panorama internazionale: alla Tavistock & Portman Clinic di Londra, il centro più grande d’Europa, i minori in carico sono stati 2519, solo nell’ultimo anno».


Info utili

  • Le persone che sono vicine a un* bambin* gender variant possono trovare informazioni utili su GenderLens.org. Camilla Vivian, madre e attivista (autrice del blog e dell’omonimo libro “Mio figlio in Rosa” (Manni Editori) e Michela Mariotto, antropologa dell’Universitat Autònoma de Barcelona, forniscono chiarimenti su alcuni dei concetti chiave e offrono alcuni suggerimenti su come comportarsi.
  • “Bambini e adolescenti transgender” (pubblicato in Italia da Fioriti Editore), scritto da Elijah Nealy, che ha lavorato per oltre venticinque anni con individui e famiglie LGBT, è una guida molto utile per accompagnare le famiglie in transizione.
  • I riferimenti dei centri che si occupano di Sviluppo Atipico dell'Identità di Genere sono disponibili qui

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