Famiglia
La vita che aspetta te
Iosseliani osa con un film dove non muove la macchina ...
Una delle cifre stilistiche più preziose del cinema del georgiano Otar Iosseliani è il montaggio interno all?inquadratura. La macchina da presa si muove poco o per nulla e nel frattempo cambia la scena davanti ai nostri occhi. Gente che entra in campo, se ne va, ritorna… Né si capisce bene perché. Come nella vita, quando accadimenti inaspettati si svolgono e noi rimaniamo lì, senza comprendere. Giacché rinunciare al montaggio tradizionale – che per lo più presuppone col passare del tempo una causa e un effetto – significa anche dire, con linguaggio specificamente cinematografico, che non sempre possiamo disporre dei motivi che spingono questo o quel personaggio ad agire in tal modo o in un altro. È una scelta estetica forte. Accanto alle quali Iosseliani, vecchia volpe di un cinema affascinante e sofisticato, leggero e graffiante, colloca una feroce volontà di sintesi e una pratica estrema dell?ellissi (che gli consentono di narrare senza perdersi in dettagli ovvi e di introdurre invece piccoli aneddoti e micro storie, a irrobustire un?impressione di realtà paradossale ma efficacissima).
Così lo spettatore si trova a essere testimone di passaggi di potere (Vicent, ministro di mezz?età che viene cacciato e quello avido e volgare che gli succede), d?amore (le tante donne con le quali ha una storia, semiseria), d?amicizia (quel gruppo di sodali di un tempo ritrovati dopo che il crollo gli regala un?insospettata serenità). Eccoli i giardini in inverno, rose preziose che non ci aspettiamo e che viceversa attendono noi, quando tutto sembra crollarci addosso.
Ma questo film, divertente e curato come tutti quelli di Iosseliani (qui nelle vesti di un pittore che non casualmente ritrae l?ultima scena del film, una sorta di cena al femminile con al centro la mamma del protagonista, una matrona interpretata da Michel Piccoli – ed è subito Freud), ci parla anche di molto altro. Basterebbe osservare la precisione con cui sono mostrati i passaggi degli oggetti (che ci sopravvivono) e degli animali (che ci guardano senza comprenderci, apparentemente).
Esseri umani, oggetti, animali appartengono tutti a un destino che dispone e non ritiene di doversi far capire. È l?esistenza, che appunto si svolge e non si preoccupa di ?dirsi?. Non resta che farsi protagonisti di una complicità discreta ma reale, di una solidarietà umana che certo non è facile, ma aiuta ed è possibile (lo dimostrano quegli extracomunitari che ogni tanto fanno capolino), alla ricerca di una gioia, finalmente, da condividere.
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