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La violoncellista Giulia Mazza: «non sento, ma il mio corpo è una cassa armonica»
Sorda fin dalla nascita, Giulia Mazza è oggi un’eccellente musicista. Le vibrazioni prodotte dagli strumenti l’hanno tenuta aggrappata alla realtà e le hanno permesso di percepire il mondo dentro e fuori di sé. Anni di esercizio, a pizzicare le corde del suo violoncello. A fianco a lei la nonna, la mamma e Giulia Cremaschi, straordinaria musicoterapeuta che ha speso tutta la sua esistenza per far uscire dal silenzio tre generazioni di non udenti
Se fosse un albero, sarebbe simile all’abete rosso che cresce in Val di Fiemme e in Val Saisera In Alto Adige. Uno di quei legni di risonanza che entrano in vibrazione anche quando l'energia prodotta da una sollecitazione è minima, e che allo stesso tempo sono in grado di resistere alla continua pressione esercitata dalle corde in tensione.
Giulia Mazza, 35 anni, fin da bambina è affetta da sordità profonda per una rosolia contratta mentre la madre era in gravidanza, è un’eccellente musicista. Le vibrazioni degli strumenti l’hanno tenuta aggrappata alla realtà e le hanno permesso di percepire il mondo dentro e fuori di sé. Anni di esercizio, a pizzicare le corde del suo violoncello; a coltivare un talento. Ad abitare l’anima.
«Ho cominciato ad esercitarmi osservando le mie dita sulla corda, ascoltando la sensazione che mi arrivava al collo, al torace, alle spalle, alle braccia, al cuore. Tutto eccetto l’udito, che da solo non mi avrebbe mai aiutato a superare l’ostacolo», racconta Giulia. A fianco a lei la nonna, la mamma e Giulia Cremaschi Trovesi, straordinaria musicoterapeuta che ha speso tutta la sua esistenza per far uscire dal silenzio tre generazioni di non udenti. Col suo straordinario metodo di insegnamento centinaia di bambini sono saliti sul suo pianoforte e hanno potuto, toccando lo strumento, intuire per la prima volta la bellezza della musica.
Giulia la musica è stato un grande contraltare di bellezza, inversamente proporzionale alla prepotenza della tua disabilità che ti rendeva difficile sentire e parlare. Una porta spalancata nella possibilità. Come ti sei avvicinata alla musica da bambina?
Mi sono avvicinata alla musica grazie al fatto che essa già circolava nella mia famiglia, mia nonna era insegnante di canto e pianoforte. Grazie alla cultura musicale, mia mamma ha poi seguito i consigli di una nota musicoterapeuta di Bergamo, Giulia Cremaschi Trovesi, la quale sapeva che i bambini sordi sentono le vibrazioni. La mia sordità quindi non mi avrebbe impedito del tutto di sentire la musica, così a 3 anni e mezzo sono stata iscritta in una scuola privata musicale, a sei anni poi ho iniziato a studiare il violoncello.
La tua biografia ci scolla dai luoghi comuni, dal calduccio degli stereotipi condivisi. Tu infrangi anche un tabù granitico: che chi non sente non può suonare bene. E invece non è così. Il tuo corpo è come una cassa armonica, una cassa di risonanza. Come fai?
Chi non sente ha di certo esigenze un po’ particolari e diverse da quelle comuni, e forse siamo stata un po’ avventuriera a mettermi in gioco nonostante alcune difficoltà maggiori rispetto ad altri. Il corpo è sempre una cassa armonica, per tutti è così, e vibra con ciò che ci circonda. A me mancava la possibilità di usufruire delle frequenze che arrivano alle orecchie e vengono naturalmente tradotte affinché possiamo riconoscere il suono, il fatto di sentire in maniera artificiale, e per giunta attraverso mezzi in continua trasformazione (dall’analogico al digitale e poi modifiche nel digitale) mi rendeva più difficoltoso sviluppare una memoria uditiva, che invece si formava con l’appoggio delle vibrazioni. Senza apparecchi acustici non sento nulla perché la perdita uditiva è profonda, di oltre 90 decibel, ma come appoggio la mano su qualche superficie che conduce il suono, è come se si accendesse un canale.
A otto mesi hai iniziato a portare gli apparecchi acustici, Poi, dopo 33 anni, ti hanno procurato gravi disturbi: acufeni tremendi all’orecchio sinistro ti provocavano “una confusione pazzesca, perché suoni e rumori si mescolavano. E sei tornata per un po’ nel silenzio. Scrive Chandra Candiani in “Il silenzio è cosa viva” (Einaudi) che “il silenzio è “Arte del congedo per ritrovare. Arte dell’a-capo che insegna a lasciarsi scrivere. Il silenzio semina. Le parole raccolgono. Il silenzio è cosa viva». Cosa è per te il silenzio?
Io abituata al silenzio, mi piace molto. All’inizio non ero neanche consapevole di essere sorda. Non sento nulla e perciò devo immaginare tutto. Anche la musica la immagino: con l’immaginazione possiamo essere molto liberi.
Credo che il silenzio vada compreso, perché troppe volte non ne capiamo il senso e l’utilità. Il silenzio, se ben utilizzato, è quella capacità di raccogliersi in sé, di connettersi con il proprio centro (sembrerebbe un discorso un po’ yogico) perché quel centro ci dona la calma e la serenità di cui abbiamo bisogno per seminare i nostri frutti nel mondo. Ovviamente per silenzio non si deve intendere qualcosa di ‘aggressivo’, tipo il non rivolgere più la parola, perché può essere anche usato per scopi non molto gentili.
La tua nonna era docente di conservatorio, la tua mamma suonava il pianoforte. A tre anni e mezzo ti ha iscritta alla tua prima lezione di musica. Eri l’unica bimba sorda in mezzo ad un gruppo di udenti. Per te, il violoncello. Cosa ricordi di quegli anni?
La mia mamma ha avuto la capacità di vedere oltre, mi potava in giro per l’Europa alla ricerca dei modi migliori per aiutare i bambini che non sentono, visitava i centri dove raccogliere informazioni sulla sordità, sulla logopedia e su come stimolare al meglio le mie potenzialità. E Poi mi proponeva esercizi, mi creava strumenti tattici per stimolare l’apprendimento. A quattro anni sapevo già scrivere in corsivo. Anche mia nonna talvolta, quando andavo a trovarla a Viterbo, mi portava nelle sue classi di canto ma mentre a casa cantavo con lei a squarciagola, davanti ai suoi allievi, che per me erano dei giganti, mi vergognavo da morire. Facevo scena muta e abbassavo il capo mentre i ragazzi scoppiavano a ridere per le sollecitazioni di mia nonna.
Veniamo a Giulia Cremaschi Trovesi, un’altra donna eccezionale che hai incontrato nella tua vita: Musicoterapeuta, presidente dell’APMM (Associazione Pedagogia Musicale e Musicoterapia) e della FIM (Federazione Italiana Musicoterapeuti). Nel 2021 Domenico Iannacone ha dedicato a te e a Giulia Cremaschi una puntata del suo programma, Che ci Faccio qui. Nell’intervista si vede un bambino sopra al pianoforte, che “sente” fisicamente, con tutto il corpo, l’energia creata dai tasti bianchi e neri e dai martelletti. Ci dimostra che non si ascolta soltanto con le orecchie, ma con tutto il cuore, la mente, il corpo. Come è stato per te?
Giulia Cremaschi ha sempre avuto un grande carisma apprezzato dalla mia famiglia e una profondità di considerazione verso i bambini davvero notevole. Ha sempre valorizzato i bambini, e questo ha permesso sia a lei, sia a loro, di trarre meravigliose esperienze. I suoi convegni sono sempre stati fonte di arricchimento. Per lei i bambini sordi sono bambini. Io ero solo Giulia.
Poche settimane fa hai scritto su facebook (dove ti seguono quasi sei mila persone) che la cosa più bella che hai fatto nella tua vita è stata quella di inventare il Braille Cello. Ci spieghi cos’è?
L’idea del ‘Braille Cello’ mi è venuta di recente, solo pochi mesi fa, dopo lunghi anni di tentativi nel comprendere l’intonazione sul violoncello, non essendoci i tasti. Ho spiegato la mia idea a un liutaio e gli ho chiesto di incollarmi dei piccoli pezzettini di legno, a mo’ di bottoncini, lungo la tastiera nei punti esatti in cui si trovano le note giuste. In questo modo, scorrendo sulla tastiera, posso andare ‘a tatto’ e allo stesso tempo sto assorbendo le vibrazioni delle note intonate, di conseguenza sto sviluppando la consapevolezza della giusta intonazione. Prima ero in grado comunque di percepire le altezze dei suoni ma non avevo riferimenti per essere più precisa, penso che avrei dovuto inventarlo 30 anni fa ma a 6 anni ancora non avevo la più pallida idea di quanto le persone udenti fossero esigenti nella musica.
Le foto sono di proprietà di Giulia Mazza
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