Welfare

La via americana al reddito minimo

Grillo lo propone di cittadinanza, Letta lo vuole garantito. Vita propone il reddito di cittadinanza attiva. Zingales ricorda la via americana

di Luigi Zingales

Occorre «un cambiamento radicale, ha detto il nuovo presidente del Consiglio Enrico Letta: un welfare più universalistico e meno corporativo, che sostenga tutti i bisognosi, aiutandoli a rialzarsi e a riattivarsi… Si potranno studiare forme di reddito minimo, soprattutto per famiglie bisognose con figli».

Dopo aver ceduto al Pdl sull'Imu («stop ai pagamenti di giugno»), con queste parole Letta cerca consenso a sinistra, avanzando l'ipotesi di un reddito minimo garantito (Rmg). Il Rmg differisce dal reddito di cittadinanza (Rdc) proposto da Grillo in una dimensione importante: il Rdc è dato a tutti, ricchi e poveri, indipendentemente dallo stato di bisogno. Il Rmg, invece, è mirato alle famiglie meno abbienti: proprio per questo è molto meno costoso del Rdc. Per fornire un reddito di 500 euro al mese a tutti i cittadini italiani al di sopra dei 18 anni ci vorrebbero 300 miliardi di euro all'anno (circa il 20 per cento del Pil). Essendo mirato alle sole famiglie meno abbienti, il costo del Rmg può essere di molto inferiore. Se si vogliono aiutare un milione di famiglie, il costo sarebbe di 6 miliardi, pari a quello richiesto dall'abolizione dell'Imu sulla prima casa e dalla rinuncia ad aumentare l'Iva.

Il RMG, però, soffre di due problemi strutturali. Il primo è la frode. Se la condizione per ottenerlo è apparire indigenti, molte famiglie, che indigenti non sono, cercheranno di apparire tali agli occhi dello Stato. Il Rmg diventa quindi un sussidio per i disonesti. Il secondo problema è il disincentivo a lavorare creato dal Rmg. Visto che tanti lavori generano un reddito al di sopra dei 500 euro, molti preferiranno non lavorare e percepire un Rmg di 500 euro piuttosto che lavorare e guadagnare 600-700 euro, ovvero solo cento o duecento euro in più. In altri termini, il Rmg agisce come una tassa su chi lavora, o, peggio, un sussidio all'ozio. Invece di aiutare a risolvere il problema della disoccupazione, il Rmg lo rende cronico, perché paga la gente per rimanere disoccupata.

Non si tratta solo di un'obiezione teorica. In uno dei primi esperimenti condotti in economia, all'inizio degli anni Settanta gli Stati Uniti hanno implementato una forma di reddito minimo garantito in un gruppo di famiglie in varie città. Comparando le famiglie con Rg a famiglie simili senza, si è visto che il Rmg riduce il totale delle ore lavorate in un anno del 7 per cento per gli uomini e del 17 per le donne. Questa riduzione non è dovuta a una contrazione delle ore lavorate settimanalmente, ma a un aumento della durata dei periodi di disoccupazione.

La soluzione adottata in America si chiama "credito di imposta per chi lavora" (earned income tax credit ). L'idea è molto semplice. Se pagare la gente per non lavorare aumenta la disoccupazione, pagarla per lavorare contribuirà a ridurre la disoccupazione. La disoccupazione altro non è che una differenza tra il salario a cui un datore di lavoro vuole assumere e quello a cui il lavoratore è disposto a lavorare. Riducendo questa differenza si riduce la disoccupazione. Ma come? Aiutando con un credito di imposta i bisognosi che lavorano. Una famiglia con due figli a carico che guadagna meno di 12.500 dollari riceve dallo stato un sussidio di 40 centesimi per ogni dollaro in più che guadagna. Sembra contro intuitivo pagare di più chi guadagna di più, ma è il modo migliore per indurre la gente a lavorare e lavorare legalmente. E soddisfa il principio enunciato da Letta di aiutare i bisognosi a «rialzarsi e a riattivarsi». Per evitare di sussidiare i ricchi, a 12.500 dollari di reddito familiare il sussidio si blocca a 5 mila e, dopo i 16.450 dollari di reddito, comincia a scendere, ma in modo sufficientemente lento da non togliere gli incentivi a guadagnare di più.

Il principale sponsor politico di questo programma fu il presidente democratico Bill Clinton. Ma l'ispirazione viene da una proposta del premio Nobel per l'economia Milton Friedman. Meglio non dirlo. Altrimenti c'è il rischio che non trovi consensi in una sinistra più interessata alle battaglie ideologiche che alla sostanza.

da L’Espresso, 15 maggio 2013

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