Politica

La vert vague

Alle radici del movimento di Cohn-Bendit che in Francia ha riportato al successo i verdi

di Redazione

Oggi l’ex leader del 68 parigino si definisce «ecologista eccentrico». E ai suoi vecchi compagni di viaggio dice: «Torniamo al mondo reale, al rischio intellettuale. L’ecologia serve per proporre soluzioni» All’origine di tutto, come spesso accade, c’è una lettera perduta. È quella che Jean Baudrillard, allora assistente di Sociologia a Nanterre, scrisse il 22 marzo del 1968 indirizzandola al giovane che presto si sarebbe affermato come portavoce della rivolta studentesca, Daniel Cohn-Bendit.
Della lettera non rimane nulla, se non le parole e il tutt’altro che mite consiglio che Cohn-Bendit dice di avere ancora impresso nella memoria: «Dimenticati presto del 68, vai oltre, parti subito, conserva l’irrequietezza, non permettere che ti imbriglino». L’invito a non cadere nella trappola delle conversazioni inconcludenti, non perdersi nell’infantilismo (e nell’estremismo) dei cosiddetti «gauchiste» che, presto, si sarebbero trasformati in quella «sinistra divina» e salottiera denigrata dallo stesso Baudrillard in un altro caustico pamphlet o, peggio ancora, in amici e compagni che perennemente sbagliano e perennemente si autoassolvono con i loro richiami alla violenza di classe o alla violenza tout court. Non si può dire che, sul breve, “Dany le rouge” abbia tenuto in gran conto le parole del suo professore, ma sul lungo periodo – ci confessa – «forse involontariamente, forse inconsapevolmente, forse per naturale maturazione o perché è nella mia natura ribellarmi e porre sempre e comunque le domande che ritengo scomode non posso dire di non avere seguito i suoi consigli». Baudrillard, soprattutto, «aveva capito che ci trovavamo in una condizione assolutamente unica, nuova per cui quella che era ancora una non rivolta, condotta da pochi studenti per questioni di alloggio universitario, osteggiata dai partiti di sinistra, ignorata dalla società reale, veniva amplificata dai media e, solo allora, per certi strani paradossi della comunicazione che oramai conosciamo fin troppo bene, giornali, radio e televisione ci ributtavano nel mondo sotto forma di rivolta planetaria in qualche modo più reale del reale stesso».
Anche oggi, Cohn-Bendit è chiamato continuamente in causa dai media su questioni relative al movimento, al Maggio francese e alla sua eredità felice o funesta, a seconda dei punti di vista, più che sull’Europa e l’ecologia, temi che invece gli stanno a cuore. Nella primavera dello scorso anno, nel pieno dunque delle “celebrazioni” sessantottesche per il quarantennale della rivolta, Cohn-Bendit ha però dato alle stampe un libretto provocatorio che, in qualche modo, chiudeva i conti con la questione, riportando d’attualità la lettera perduta di Jean Baudrillard. Il volume, edito dalle edizioni de L’Aube è nato da una serie di conversazioni radiofoniche e ha un titolo più che esplicito: Forget 68, “dimenticare il 68”. Pacifista, attivista dei diritti umani, ambientalista anarchico, Cohn-Bendit si professa «ecologista eccentrico», ma sincero al punto che persino Paul Berman nel suo Idealisti al potere (traduzione di Lorenzo Lilli, Baldini e Castoldi, 2007) ha dovuto alzare bandiera bianca e salvarlo dalle critiche più impietose. Critiche che non hanno salvato, invece, i rappresentanti tuttora in voga della nuova sinistra europea nata dalle ceneri del 68.
«Io oggi penso all’Europa, al suo futuro, e ci penso in termini ecologici, di salvaguardia della vita e di innovazione compatibile, con molto pragmatismo e voglia di fare, cose che mancano alla sinistra in genere. Ma qui non è più questione di sinistra, si tratta di individuare determinati problemi, proporre delle soluzioni, attendere delle risposte. Le nuove tecnologie ci salveranno, se sapremo vincere le diffidenze e un certo gusto per la retorica. Mi spiace dirlo», conclude Cohn-Bendit, «ma sono spesso proprio i miei ex compagni di viaggio a erigere un muro contro questa possibilità, forse l’unica che ancora abbiamo di non fare naufragare l’Europa in un mare di carte bollate e di astrusi calcoli economici o di principi da multinazionale di provincia. L’idea fissa, il luogo comune, il lungo catalogo di sciocchezze prese come verità, le stesse contro cui ci battevamo nel 68 in nome della libertà intellettuale – l’unico, magnifico “crimine” che dovremmo tollerare è il libero pensiero – li hanno presi in trappola. Dimentichiamo il 68. Guardiamo oltre, torniamo al rischio intellettuale, e torniamo al mondo».

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