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La verità sulle lacrime di Reem e sulle parole della Merkel
Alcuni giorni fa il video della cancelliera tedesca che faceva pinagere una giovane palestinese hanno fatto il giro del mondo. Ma cosa si sono dette davvero le due? Traducendo il dialogo si scopre che la lettura dei media non rispecchiava la verità. Ecco com'è andata veramente
Reem Sahwil è il nome della ragazzina di 14 anni di origini palestinesi che da un campo profughi in Libano è approdata in Germania 4 anni fa, e che ha avuto un dialogo con la cancelliera tedesca Angela Merkel. Durante un dibattito con un gruppo di alunni e alunne di una scuola a Rostock, la ragazzina ha chiesto spiegazioni sulle politiche di accoglienza tedesche e la cancelliera le ha risposto che per la Germania sarebbe impossibile accogliere tutti i profughi perché la cosa sarebbe impossibile da gestire.
Il video della conversazione tra le due ha fatto il giro del web e del mondo. In tanti si sono indignati per il modo rude e violento di Angela Merkel di trattare la bambina, fino a farla piangere. Il sito pagellapolitica però ha tradotto per intero il dialogo tra le due. Ecco cosa si sono dette:
REEM: «Buongiorno e benvenuta, mi chiamo Reem, frequento questa scuola da quattro anni, sono libanese di origine palestinese, e mi sono integrata molto velocemente. È stato abbastanza facile, gli insegnanti e gli altri studenti sono stati molto gentili. Mi piace stare qui, ma ho notato allo stesso tempo come non sia così per tutti gli studenti. Ce ne sono altri in certe scuole che hanno problemi ad integrarsi e vivere qui».
MERKEL: «Pensi che sia colpa degli altri studenti, degli insegnanti, o degli studenti stessi che devono fare maggiori sforzi per integrarsi? Cosa pensi che dovremmo fare diversamente?».
REEM: «Mi piacerebbe vedere un maggiore impegno, da parte degli insegnanti e del preside, nel comprendere cosa potrebbe fare star meglio gli studenti. Ho un’amica che viene da un altro Paese e ha cambiato scuola. Non andava bene perché non è mai stata accettata».
MERKEL: «Lei non è mai stata accettata in quella scuola, ma tu ti senti accettata qui, giusto?».
REEM: «Sì, e sono felice perché non vorrei mai vivere una simile esperienza».
MERKEL: «Mi sembra che ti sia andata molto bene, hai evidentemente imparato il tedesco subito…».
REEM: «Sì, è stato facile».
MERKEL: «E dimmi sei stata qui per quattro anni quindi? Chi ti ha aiutato? I tuoi genitori? Un altro studente?».
REEM: «No, gli insegnanti. Ma mi piacciono le lingue, l’inglese, parlo anche l’arabo».
MERKEL: «Immaginavo, avrai dovuto parlare qualcosa prima di venire qui».
REEM: «…il tedesco, e so anche un po’ di svedese, e l’anno prossimo inizierò il francese».
MERKEL: «Beh, non tutti sono qualificati come te, ma devo dire – primo: imparare la lingua è l’ABC. Secondo: dipende anche da quanti bambini sono presenti in classe. Sono appena stata in una scuola a Berlino, dove il 95% degli studenti ha origine da altri Paesi, e il 5% degli studenti è tedesco. Ciò rende, al momento, il lavoro degli insegnanti molto più difficile. Ci sono molti rifugiati, molti dei quali non parlano una parola di tedesco, e integrarli non è facile. Quello che devo dire, però, è che bisogna fare attenzione a considerare… ha dimenticato di dire qualcosa?».
MODERATORE (a REEM): «Spiega un po’ le condizioni della tua famiglia, avevi detto qualcosa su tuo padre?».
REEM: «Mio padre – sono arrivata qui con tutta la mia famiglia, mio padre lavorava prima come saldatore, ma adesso è disoccupato perché non abbiamo il permesso di soggiorno tedesco. Ieri chiedevano in molti: “Come mai per gli stranieri è così più difficile trovare lavoro dei tedeschi?”. Ci ho pensato per 2 minuti e mi sono chiesta anch’io: “Come mai?”, e non sono riuscita a trovare una risposta».
MERKEL: «Quindi la vostra richiesta di asilo non è stata accettata?».
REEM: «Recentemente è stato molto difficile, poco tempo fa dovevamo essere espulsi e mi sentivo malissimo, gli insegnanti e gli altri studenti l’hanno notato…».
MERKEL: «Dovevate ritornare in Libano».
REEM: «Esatto. Mi sentivo malissimo».
MERKEL: «E poi cos’è successo?».
REEM: «Ora finalmente abbiamo un permesso – siamo andati all’ambasciata libanese a Berlino e abbiamo ritirato i passaporti libanesi, e adesso stiamo aspettando la decisione delle autorità. Vorrei rivedere la mia famiglia, è molto triste non poter vedere la mia famiglia da quattro anni, mia zia, mio nonna, mia nonno, è una delle cose che mi rende più triste».
MERKEL: «Dobbiamo osservare il processo di richiesta di asilo e capire le ragioni che spingono un individuo a fare domanda. Ciò che dobbiamo cambiare – e ne ho già discusso con i Bundeslaender – è che quando qualcuno ha vissuto qui per quattro anni, non è possibile dirgli: “Adesso hai imparato il tedesco, ti sei integrato bene, ma ci siamo resi conto dopo quattro anni che non hai diritto all’asilo”. Dall’altro lato, però, bisogna anche dire che molte persone vengono – tu vieni direttamente dal Libano? O prima ancora dalla Siria?».
REEM: «Libano».
MERKEL: «Il Libano è un Paese dove al momento non c’è una guerra civile. Ci sono molte persone laggiù che abitano in campi profughi, come i palestinesi. Sappiamo che le condizioni di vita non sono buone, lo sappiamo, ma dall’altra parte ci sono persone che hanno problemi ancora più grandi, fuggono da una guerra civile, e a quelle persone dobbiamo dare protezione internazionale per prime. Ciò che non va, ovviamente, è che il tutto impieghi così tanto tempo. Questo lo dobbiamo cambiare, e ne abbiamo già parlato con i Bundeslaender. Poi penseremo a cosa fare con quelli che vivono qui già da quattro anni, e che si trovano in un limbo. Vogliamo introdurre un processo accelerato, del quale potresti trarre beneficio anche tu per esempio, e dopo di ciò decideremo se è “sì” o “no”. Ma non possiamo accogliere tutte le persone che vivono nei campi profughi palestinesi da 25 anni, giacché ne abbiamo molti ancora che provengono da zone direttamente in guerra».
REEM: «È comprensibile. Sono interessata a questa questione perché adesso sono qui, vivo qui, e vorrei sapere come sarà il mio futuro, siccome non so ancora se potrò rimanere…».
MERKEL: «Chiaro, chiaro. È per questo che dobbiamo prendere una decisione adesso, e vedere cosa possiamo fare per cambiare. Che una persona come te non rimanga qui per quattro anni prima di sapere quale sarà la decisione. Questo deve cambiare».
REEM: «Esatto, ho degli obiettivi, come tutti altri, vorrei studiare, è il mio desiderio più grande, e un obiettivo che vorrei raggiungere. È molto brutto vedere come gli altri possono godere della vita, mentre io non ho le stesse possibilità».
MERKEL: «Lo capisco. In ogni modo, devo anche dire che – a volte la politica può essere dura, e quando ti vedo seduta di fronte a me capisco che sei una persona molto carina, ma sai anche che ci sono migliaia e migliaia di persone nei campi profughi palestinesi in Libano, e se adesso dicessimo: “Potete venire tutti qui, potete venire tutti qui dall’Africa! E tutti possono venire!” non riusciremmo a gestirlo. Adesso siamo in questo dilemma. Tutto ciò che posso dire è che il processo non può durare così a lungo prima di prendere una decisione. Ma alcuni dovranno tornare a casa».
MODERATORE: «Beh, sarebbe bello se si potesse ricordare del viso di Reem, e quando discuterete del processo accelerato (della richiesta di asilo) se si ricordasse di lei. Spero che questo la possa spronare, signora Cancelliere».
MERKEL: «Spronarmi a fare cosa? Ad agire più velocemente, o…?».
MODERATORE: «A fare questa cosa».
MERKEL: «La stiamo facendo. La vogliamo fare assolutamente, perché è inaccettabile. Abbiamo tantissime famiglie dove i bambini vanno a scuola a lungo, e ciò deve cambiare».
MODERATORE: «Mi può dare delle tempistiche? “Assolutamente” cosa vuol dire?».
MERKEL: «Beh, penso che entro un anno potremo risolvere tutti I casi che…».
Si ferma e cammina verso Reem che piange.
MERKEL: «Cara, sei stata bravissima».
MODERATORE: «Non penso che si tratti di essere bravissimi, Signora Cancelliere, ma penso che sia una situazione molto difficile».
MERKEL: «Lo so che è una situazione molto difficile. Ma la voglio comunque accarezzare, perché noi non vogliamo che ti trovi in una simile situazione, per te è molto difficile e hai rappresentato la tua situazione anche per conto di tutti i tanti, tanti altri bambini».
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