Mondo

La vergogna della fame in America latina (e nel mondo)

di Paolo Manzo

In Venezuela il 77% della popolazione soffre la fame e il 94,5% vive in povertà. In Messico è il 44%, in Colombia il 42,5%, in Brasile secondo l'IPEA (Istituto di Ricerca Economica Applicata) il 54% delle famiglie verde-oro sono povere, mentre per la FAO un quinto della popolazione soffre la fame. In Argentina oltre il 40% vive in povertà e fa fatica a mettere tutti i giorni il cibo in tavola. In Bolivia è il 39% ad avere lo stesso problema. Ad Haiti la situazione è disastrosa. Secondo un recente rapporto della Commissione economica per l'America Latina e i Caraibi (CEPAL), nell'ultimo anno il tasso di povertà estrema nella regione ha raggiunto il 12,5% e il tasso di povertà il 33,7%. Secondo la CEPAL, i trasferimenti economici effettuati dai diversi governi durante il momento peggiore della pandemia hanno impedito che tali tassi peggiorassero ulteriormente ma la situazione rimane drammatica. Stiamo infatti parlando di 90 milioni di esseri umani che vivono con meno di un euro al giorno e di 230 milioni di poveri. Solo in America latina e i Caraibi. Tutti i Paesi della regione evidenziano un fenomeno che sta colpendo tutta la regione con maggior recrudescenza da quando, lo scorso anno, il Covid-19 ha sconvolto questa parte di mondo più di qualsiasi altra. Con meno del 9% della popolazione mondiale, infatti, l'America Latina registra da sola il 21% dei contagi ed il 34% dei decessi planetari.

Qualche giorno fa hanno scandalizzato il Brasile le immagini scattate a Rio dal premiato fotoreporter Domingos Peixoto. Ne ho scritto su Il Giornale. Negli scatti si vede un gruppo di indigenti rovistare in modo disperato alla ricerca di pezzo di carne commestibile nel retro di un camion che trasportava frattaglie e ossa scartate da una fabbrica che produce cibo per animali e sapone. Fotografie strazianti, che hanno messo a nudo l'emergenza fame che oramai da oltre un anno affligge la nazione più popolosa dell'America Latina. In Brasile sono moltissime le persone sprofondate nel tunnel della fame da quando è iniziata la pandemia di coronavirus, un anno e mezzo fa. Il Covid-19 ha decurtato il potere di acquisto delle classi D ed E, le più misere, a causa della chiusura di molte piccole e medie imprese e ha bruciato milioni di posti di lavoro a medio/basso reddito. Ma, soprattutto, con la pandemia c'è stato un preoccupante aumento dell'inflazione, oggi superiore al 10% con picchi del 30% per riso, fagioli e carne, gli elementi base della dieta verde-oro. Inflazione che colpisce più pesantemente i poveri, soprattutto chi percepisce uno stipendio minimo, al tasso di oggi equivalente a 187 euro in un paese dove il costo della vita è appena poco inferiore a quello italiano. Le immagini, una delle quali apparsa in prima pagina del quotidiano Extra con il titolo «Brasile 2021: il dolore della fame», hanno aperto una discussione parlamentare e hanno suscitato sdegno in tutto il Brasile, un paese dove si stima che oggi ci siano almeno 19 milioni di persone che soffrono la fame. Certo, meno del 10% della popolazione totale e, dunque, nulla rispetto al 77% di «morti di fame» del Venezuela, secondo i dati resi noti qualche giorno fa dall'Università Cattolica Andrés Bello di Caracas. Ma moltissimi per un paese che, da solo, sarebbe in grado di produrre alimenti per oltre due miliardi di persone.

Per José Graziano da Silva, brasiliano, agronomo di formazione e dal 2012 al 2019 direttore generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO), “la fame di oggi non è come quella del passato. C’è cibo in abbondanza, addirittura lo si getta. Eppure in tanti in Brasile fanno fatica a mettere insieme il pranzo con la cena. La carne è sparita dalla tavola perché troppo cara, i poveri adesso mangiano uova come proteina animale principale”. Professore all’Unicamp, prestigiosa università di Campinas, per 35 anni, Graziano ha ricoperto l'incarico di ministro straordinario per la sicurezza alimentare durante il governo di Luiz Inácio Lula da Silva tra il 2003 e il 2004, ed è stato il responsabile per l'attuazione del programma Fame Zero. Adesso ha fondato in Brasile l’Istituto Fame Zero, un progetto che ha come idea alla base convogliare iniziative, studi e scambi di informazioni sul tema della fame a livello mondiale. “L’Istituto Fame Zero nasce per riaprire il dibattito pubblico in Brasile sulla questione della fame affinché si possano riformare le politiche pubbliche necessarie per contrastare un fenomeno che è tornato ad essere un’emergenza”, mi ha spiegato Graziano in un’intervista che gli feci, un paio di mesi fa, per Popoli e Missione. “Il primo punto su cui lavorare per uscire dal tunnel della fame- continua l’ex Segretario Generale della FAO -è la redistribuzione del reddito. La fame non è la conseguenza della mancanza di produzione di alimenti ma della mancanza di accesso ad essi, ovvero della mancanza di soldi per poterli acquistare”. Il secondo punto è “l’importanza della donazione di cibo, soprattutto in un momento ancora critico per molti paesi come il Brasile a causa del Covid. Deve essere un valore sociale che dobbiamo insegnare. E poi servono nuove politiche pubbliche. Bisogna tenere bene a mente questo, che il diritto al cibo è un diritto umano fondamentale e quindi si devono impiantare strutture e programmi permanenti perché questo diritto sia garantito a tutti in modo egualitario. Non è un singolo governo che sradica la fame, ma la società, con un lavoro costante nel tempo”.

Il problema della fame globale è emerso in una riunione con i ministri dell'agricoltura latinoamericani, il 12 luglio scorso, dove il capo economista della FAO, Máximo Torero, ha sottolineato che dopo due decenni di calo, la fame è tornata ad aumentare. “Utilizzando le stime FIES, indicatore che calcola l’insicurezza alimentare, i dati mostrano infatti un forte aumento del 14% dell'insicurezza alimentare nel mondo tra il 2019 e il 2020. 303 milioni di persone sono state colpiti da insicurezza alimentare moderata e altri 140 milioni da grave insicurezza alimentare” spiega Graziano. “Inoltre 750 milioni – quasi il 10% della popolazione mondiale – stavano morendo di fame anche prima della pandemia. In America Latina e Caraibi le cose sono andate anche peggio, con un aumento della fame del 19%, 44 milioni di persone colpite da insicurezza alimentare moderata e altri 21 milioni da grave insicurezza alimentare”. Fare qualcosa subito dovrebbe essere in cima all’agenda della politica ma, purtroppo, in America latina di fame si parla sempre poco, quasi fosse ancora un tabù.

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