Mondo
La vera storia di Bin Laden
La verità negata è il titolo di un libro appena uscito in Italia (Il Saggiatore) e che ha già scandalizzato loccidente. Ve lo raccontiamo in anteprima
Uscito in Francia, per i tipi Denoël all?inizio di dicembre, Bin Laden, la verità vietata è un libro sconvolgente, un documento sulla storia dei legami pericolosi tra l?élite saudita e i petrolieri texani (famiglia Bush compresa) che gettano una luce inquietante sul tragico attacco agli Usa dell?11 settembre scorso. Su 330 pagine, tante ne conta il libro, ben 90 riportano copie fotostatiche di documenti top secret, schemi di incroci azionari e di imprese, accordi di partnership tra sauditi e texani, mandati di cattura internazionali dell?Interpol tenuti nei cassetti. Documentazione che è frutto del meticoloso e costante lavoro di indagine dei due autori, Jean-Charles Brisard, già consigliere al Senato americano e responsabile delle informazioni economiche in una grande multinazionale oggi dirigente di una società di investigazione finanziaria, e Guillaume Dasquié, giornalista specializzato in temi economici e geo-politici e redattore capo di Intelligence Online.
Un lavoro di ricerca coronato da un vero e proprio scoop: l?aver raccolto a fine luglio 2001 le confidenze (e forse qualche documento) di John O?Neill, già coordinatore della lotta antiterrorismo degli Usa e numero 2 dell?Fbi a New York, incaricato della sicurezza dello Stato. Jean Charles Brisard lo incontra alla vigilia delle sue dimissioni, avvenute nell?agosto 2001 a causa dell?intervento dell?ambasciatore americano in Yemen, Barbara Bodine, che impedisce il suo ingresso nel territorio yemenita per raccogliere elementi definitivi di prova contro Osama Bin Laden e Al-Qaeda come responsabili dell?attentato alla fregata Us Cole avvenuta il 12 ottobre 2000 in Yemen. È la goccia che fa traboccare il vaso: O? Neill capisce che gli interessi della lotta al terrorismo sono secondari rispetto alle ?ragioni di Stato?. E O? Neill dice a Brisard: “Tutte le risposte e tutte le chiavi che permettono di smantellare l?organizzazione di Osama Bin Laden si trovano in Arabia Saudita, ma c?è una vera impotenza della diplomazia americana nell?ottenere qualcosa dal re Fahd e dalla sua famiglia riguardo al terrorismo. E la ragione è una sola, la ?ragione di Stato? sono gli interessi dei petrolieri”.
Lasciata l?Fbi, nell?agosto 2001 O?Neill assumerà il nuovo incarico di direttore della sicurezza del World Trade Center. L?11 settembre alle 8,45, era in una riunione sulla sicurezza delle Torri gemelle quando il primo aereo si schianta. Raccontano che i suoi sforzi e la sua prontezza siano stati determinanti nell?evacuazione della prima torre, da cui, però, O?Neill non è mai uscito.
In un poco più di un mese, il libro ha venduto in Francia 80mila copie, in Italia è stato appena pubblicato da Il Saggiatore.
In queste pagine cerchiamo di riassumere e restituire ai nostri lettori i passaggi più interessanti e inquietanti del libro. Ecco la storia di una vastissima rete politica e finanziaria che ha visto l?incontro sorprendente tra i grandi petrolieri americani, i fanatici dell?Islam più estremo e rispettabili banchieri. Ognuno vi perseguiva il proprio profitto, sulla nostra pelle, indifferente ai destini del mondo.
Stati Uniti-Talebani: i legami segreti
Washington, 26 gennaio 2001, l?America respira, dopo settimane di polemiche e di conteggi e contro conteggi. L?elezione del nuovo presidente degli States conosce il suo epilogo, George W. Bush si insedia alla Casa Bianca. La stampa internazionale s?interroga su quale sarà la visione internazionale del governatore del Texas e si fanno ironie, soprattutto sulla stampa europea, sulla sua preparazione, c?è chi ricorda le sue clamorose gaffes in campagna elettorale e i suoi rarissimi viaggi all?estero. Ma qualche collega meno raffinato ricorda che G. W. Bush ha una precisa visione della politica estera, quella delle compagnie petrolifere texane, le più potenti del mondo e i principali finanziatori della sua campagna elettorale. C?è anche chi ricorda che George viveva ancora con i suoi quando il padre era direttore della Cia (1976/1977) e che ancor giovane, come molti coetanei texani, G. W. Bush ha sviluppato piccole società di servizi nel settore petrolifero. Attività che lo hanno portato a lavorare con uomini d?affari medio-orientali, in particolare sauditi, come quando dirigeva la Harken Energy. Non è un caso, quindi, che tutto il nuovo staff presidenziale arrivi dal petrolio. A cominciare da Condoleeza Rice, già consigliere per la sicurezza di Bush senior con l?incarico di seguire l?Unione Sovietica. Condoleeza dal 1991 al 2000 è direttrice del gruppo Chevron, una delle prime compagnie petrolifere al mondo, ed è lei a seguire le questioni relative agli impianti in Kazakhistan e Pakistan. Anche il vicepresidente Dick Cheney è stato per molti anni direttore di Halliburton, leader mondiale delle prestazioni di servizi all?industria petrolifera. Cheney lascerà l?incarico solo all?inizio della campagna presidenziale. Donald Evans, segretario al Commercio e amico personale di George, ha fatto tutta la sua carriera nel settore petrolifero fino a diventare presidente di Tom Brown Inc., così come Spencer Abraham, segretario all?Energia. Quanto a Kathleen Cooper, sottosegretaria al Commercio e incaricata degli Affari economici, era la responsabile affari economici del gigante mondiale Exxon. All?interno poi dei vari gabinetti ministeriali e a livelli subalterni troviamo pedigree simili e in gran quantità. Appena quattro giorni dopo l?insediamento di George W. Bush, il 29 gennaio, il vicepresidente Cheney organizza una struttura informale di governo denominata Energy Policy Task Force (i cui documenti sono oggi richiesti dagli investigatori sul crak Enron). Insomma, gli uomini e le donne che prendono possesso della Casa Bianca non sono affatto gli isolazionisti che gli europei credono, semplicemente guardano il mondo con gli occhi dei petrolieri.
A migliaia di chilometri di distanza, in Afghanistan, questa vocazione è subito chiara. Ad appena una settimana dall?insediamento, un messaggio inatteso e sorprendente arriva da Kabul, senza che nessuno lo sappia ancora mettere in relazione con l?elezione di Bush. Il 5 febbraio 2001, per la prima volta nella loro breve storia, i talebani si apprestano a negoziare il loro riconoscimento internazionale. A scendere in campo è direttamente il ministro degli Affari esteri, Abdel Wakil Muttawakil (guarda il caso, colui che s?è consegnato in questi giorni in mani americane), che accompagna un passo ufficiale al Consiglio di sicurezza Onu con un?intervista al quotidiano britannico The Times. Muttawakil chiede un prestito al Fmi per ritornare alla situazione del 1996, quando Arabia Saudita e Usa li sostenevano nella loro impresa militare come fonte di stabilizzazione della situazione afghana. In cambio, i talebani si dicono pronti a trattare l?estradizione di Osama Bin Laden.
Intrecci pericolosi
A partire da quel 5 febbraio e sino al 2 agosto 2001, americani e talebani si impegneranno in un susseguirsi di contatti ad alto rischio. Sullo sfondo gli interessi geo-strategici dei petrolieri. L?Afghanistan è il Paese chiave per esercitare la supremazia sull?Asia centrale, a Washington da tempo lo hanno scelto come la miglior zona di transito per recuperare il petrolio e il gas dell?Asia centrale. Lo schema prevede che gli studenti di Kabul tradiscano Osama Bin Laden, ma gli americani non misurano esattamente il potere di questo capo saudita sui dirigenti afghani.
D?altra parte, è dal lontano 1994 che la politica americana sull?Asia centrale è ispirata dai petrolieri che da allora individuano nei talebani i possibili protagonisti di un governo forte e stabile. Con l?avvento al potere di Bush junior e dei petrolieri si pensa, sciaguratamente, di poter riprendere il progetto, mai veramente accantonato malgrado gli attentati a Nairobi e a Dar es-Salaam del 1998 quando apparve chiaro che i talebani proteggevamo apertamente Osama Bin Laden. D?altra parte in Asia Centrale nell?ultimo anno l?oleodotto russo che trasporta il petrolio del Caspio è entrato in funzione, mentre quello americano che dovrebbe raggiungere la Turchia via Afghanistan resta ancora sulla carta malgrado i milioni di dollari già spesi anche sotto la forma di aiuti umanitari a Kabul. Continuando così, il petrolio estratto dai pozzi del Kazakistan, del Turkmenistan e dell?Uzbekistan di proprietà americana sarà costretto a viaggiare in oleodotti di proprietà russa o cinese. Una prospettiva inaccettabile: gli States non amano mettersi nei panni di chi deve chiedere. Così, malgrado tutto (attentati, morti, diritti umani negati), il negoziato deve andare comunque avanti.
Persino all?indomani del 7 agosto 1998, giorno degli attentati alle ambasciate americane a Nairobi e Dar es-Salaam, il negoziato non si spezza del tutto. Il 20 agosto gli Usa rispondono con 75 missili sui campi terroristici di Al-Qaeda nella regione di Khost e di Jalalabad, ma il mullah Omar replica dicendo che Bin Laden è ospite gradito e protetto. Qualsiasi altro Paese sarebbe stato sottoposto a un embargo durissimo e inflessibile, ma non fu così per l?Afghanistan. Troppi gli interessi in gioco, solo sei mesi di silenzio e di standby, nessuna misura dall?Onu, e già l?1 febbraio 1999 il Dipartimento di Stato, nella persona di Strobe Talbott (numero due della diplomazia americana) si reca a Islamabad per incontrare rappresentanti talebani. Si discute con loro sulle prove della colpevolezza di Osama Bin Laden e della sua organizzazione Al-Qaeda negli attentati, consegnando una formale richiesta di estradizione e promettendo l?instaurarsi di normali relazioni una volta regolato il conto con Osama. Insomma, il calcolo cinico e autodistruttivo di tener accesi i legami con i talebani ?moderati? è rimesso in gioco e si negozia a qualsiasi prezzo. Di più, nel quadro dell?Onu si inaugura, su iniziativa di russi e americani, un gruppo di lavoro denominato ?6+2? che raduna i sei Paesi che condividono frontiere comuni nella regione, Afghanistan, Pakistan, Iran, Cina, Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan, più Usa e Russia.
In questo contesto di trattativa a ogni prezzo, si arriverà, solo a distanza di oltre un anno dagli attentati in Africa contro le ambasciate americane e di ben due dallo scandalo internazionale suscitato dalle denunce di Emma Bonino, allora commissario Ue per gli Affari umanitari (il suo viaggio shock e le sue denunce sono del 28 settembre 1997), a un atto del Consiglio di sicurezza Onu che il 15 ottobre 1999 vota la risoluzione n. 1267 che chiede a Kabul l?estradizione di Osama Bin Laden promettendo in caso di non risposta delle ?piccole? sanzioni economiche.
Solo il 19 dicembre 2000, constatando che i negoziati non portano a nulla, il Consiglio di sicurezza Onu darà seguito alla risoluzione n. 1267 votando per il congelamento di parte dei beni finanziari dei talebani. Si tratta di uno degli ultimi atti dell?amministrazione Clinton. Tempo poche settimane e tutto cambierà di nuovo con l?avvento al potere di George W. Bush. I petrolieri annunciano i loro piani: trivellare l?Alaska, il ripudio degli accordi di Kyoto e?
E la riapertura dei negoziati con gli studenti fondamentalisti perché l?Asia centrale non può essere relegata tra i Paesi del Terzo mondo: la chiave del futuro energetico del mondo e degli States è lì.
Sotto l?amministrazione Bush riprendono in grande stile le riunioni del gruppo ?6+2?, giustificando l?attivismo del gruppo di lavoro in ambito Onu, con ragioni umanitarie, ragioni cui ci si appella per giustificare i quattro viaggi di Vendrell, coordinatore del gruppo, a Kabul e Kandahar tra il 19 aprile e il 17 agosto 2001. Intanto, in una riunione del 17 luglio 2001 a Berlino dei ?6+2?, di fronte alla negligenza dei responsabili di Kabul, vengono evocate due opzioni: la scelta militare contro i talebani se non consegneranno Osama Bin Laden e la pubblica rivelazione che ormai da un anno sono in corso colloqui con l?ex re Sahir Shah per un ribaltone di potere a Kabul che preveda anche la presenza dei talebani moderati. Così, mentre si continuano le trattative (Christina Rocca, responsabile dell?ufficio Affari asiatici del Dipartimento di Stato, è a Kabul ancora il 2 agosto 2001) e persino i finanziamenti ?umanitari? (attraverso fondi alle ong) ai talebani vengono dati, in una sede ufficiosa Onu, segnali inquietanti. Una pazzia!
Osama, capo saudita
La foto di Osama Bin Laden che abbiamo imparato a conoscere dall?11 settembre 2001 risale al 1996 e non è tratta da un album di famiglia, ma dal primo mandato di arresto indirizzato all?Interpol riguardante Bin Laden. Un documento confidenziale dal numero 1998/20232 destinato ai servizi di polizia giudiziaria del mondo intero. Sì, perché il primo mandato di arresto di Osama Bin Laden risale solo al 15 aprile 1998 ed è emesso su domanda del ministero dell?Interno libico! Domanda inviata il 16 marzo agli uffici Interpol di Lione. Un documento sorprendente che attesta che gli Usa, due anni dopo l?attentato di Dharan, dove il principale sospettato fu proprio Osama Bin Laden, e cinque anni dopo gli attentati del febbraio 1993 al World Trade Center, quello che il Dipartimento di Stato americano aveva definito nel 1996 come “il principale sponsor finanziario delle attività islamiche estremiste”, non era ricercato dalle autorità giudiziarie statunitensi! Eppure Osama Bin Laden il 28 febbraio 1998 aveva addirittura lanciato una fatwa contro l?Occidente e gli Usa in particolare. Curioso anche notare che il mandato di cattura libico è emesso per un doppio assassinio avvenuto il 10 marzo 1994 di due cittadini tedeschi, agenti segreti. Una brutta vicenda che vede il Foreign Office britannico collaborare con una delle strutture finanziate proprio da Osama Bin Laden, il Libyan Islamic Fighting Group che a metà degli anni 90 combatte il Colonnello perché troppo moderato! Sarà proprio fuggendo dai servizi di Gheddafi che Bin Laden approderà in Afghanistan nel 1997.
Ma chi è Osama? Come risponderà lui stesso a un giornalista di France Soir nel 1995: “Il rappresentante degli interessi sauditi in Afghanistan”. Vero, perché Osama Bin Laden è il prodotto e l?emanazione stessa della politica dell?Arabia Saudita e del suo regno, che da sempre usa l?intermediazione dei petroldollari in un quadro e in un progetto di islamizzazione di alcune regioni. Ovviamente nel bilancio saudita non c?è budget destinato al finanziamento di attività terroristiche, esso passa grazie a finanziamenti e donazioni, per milioni e milioni di dollari, concessi dai 4mila principi sauditi. Osama Bin Laden è a loro carico. Nel 1978, su richiesta del capo dei servizi segreti sauditi, il principe Turki Al Faisal fonda la Legione islamica, un?organizzazione capace d?esportare sul suolo afghano l?Islam combattente, fonda così . Negli anni 80 viene incaricato d?accompagnare i volontari arabi per combattere i sovietici e fonda per questo ?l?ufficio afghano? o centro d?accoglienza dei volontari di cui Bin Laden diventa presto il responsabile finanziario. I sauditi danno in quegli anni tutti gli appoggi logistici e finanziari possibili alle attività del giovane e attivissimo miliardario combattente. Per sostenere lo sforzo della guerra in Afghanistan, viene costituita una vasta rete di organizzazioni caritative , la più importante delle quali è l?International Islamic Relief Organisation, l?organizzazione del soccorso islamico internazionale attiva su tutti i fronti dell?islamizzazione sunnita, dalla Bosnia all?Afghanistan, alla Cecenia sino alle Filippine. Una rete caritativa sostenuta da una ragnatela finanziaria di famiglia tra cui citiamo solo Al Shamal Islamic Bank, cui Osama Bin Laden partecipa direttamente con un investimento di 50 milioni di dollari, e la Dubai Islamic Bank, nel mirino della Cia. Una rete e delle relazioni che non si sono mai interrotte nonostante il coup de théâtre del 6 aprile 1994 quando Osama si vede ritirare la nazionalità saudita. Il legame con il regno saudita continuerà attraverso il cognato Khalid Bin Mahfouz, il ?banchiere del terrore? com?è definito in numerosi rapporti riservati. La reticenza dell?Arabia Saudita alla collaborazione dopo l?11 settembre e il rifiuto ad autorizzare sul suo territorio la presenza di forze Usa nel quadro delle operazioni in Afghanistan la dice lunga sui rapporti tra Osama e il regno saudita.
Il banchiere del terrore
Khalid Bin Mahfouz non è uno di quei banchieri dal british style irreprensibile come lo si considera nella City. A 73 anni, è un uomo discreto, timido, che non si mostra quasi mai in pubblico. Figlio del fondatore della prima banca dell?Arabia Saudita, la Nbc-National Commercial Bank fondata nel 1950, la sua discrezione è grande almeno quanto la sua potenza nel regno saudita, di cui finanzia tutte le stravaganze. Khalid Bin Mahfouz è il cognato di Bin Laden ed è accusato di aver finanziato per milioni e milioni di dollari le attività terroristiche di Osama. I membri delle due famiglie, Bin Mahfouz e Bin Laden sono della stessa generazione saudita, siedono negli stessi consigli d?amministrazione e partecipano agli stessi investimenti.
A mezzo secolo dall?apertura della Nbc, la famiglia Bin Mahfouz conta una delle maggiori fortune del mondo con un patrimonio, nel 1999, di 2,4 milioni di dollari. Prima Salim, poi Khalid si sono saputi rendere indispensabili agli occhi del regime saudita, moltiplicando gli investimenti ovunque e in tutti i Paesi dove l?influenza religiosa saudita doveva essere affermata. La Nbc è la banca della famiglia reale con i suoi 450 miliardi di dollari di utili nel 2000. La presenza economica dei Bin Mahfouz si estende grazie a tre holding: la Nbc, la Nimir Petroleum Limited e la Sedeco-Saudi Economic and Development Company, presieduta dal fratellastro di Osama Bin Laden, Yeslam. Attraverso loro, la famiglia controlla le maggioranze di ben 70 società nel mondo. In Gran Bretagna, negli Usa, nel Bahrein, in Libano, in Pakistan, in Lussemburgo, in Giordania, in Sudan e in Egitto. Nel campo industriale (petrolio, chimica e telecomunicazioni), le sue ramificazioni sono altrettanto estese.
Kalid Bin Mahfouz è stato un personaggio centrale dell?affare Bcci-Bank of Credit and Commerce International. Tra il 1986 e il 1990 ne è stato uno dei principali dirigenti in qualità di direttore operativo. La famiglia deteneva il 20% della banca. Nel 1992 fu incolpato negli Usa di frode fiscale per la bancarotta fraudolenta della Bcci (accettò di versare un indennizzo). La Bcci faceva a tutti gli effetti parte del cuore finanziario dell?Occidente, si pensi che era partecipata per il 25% da Bank of America (la finanza Usa e lo sceicco Zayed Bin Sultan, ex capo dei servizi segreti sauditi, all?inizio degli anni 80 sedevano negli stessi consigli d?amministrazione). Nel 1988 la Bcci conterà 400 succursali in 73 Paesi.
Ma a partire dalla metà degli anni 80, la Bcci sarà implicata in numerose attività fraudolente. Si scopriranno i legami della sua filiale colombiana con i narcotrafficanti (Pablo Escobar ha il conto lì, come Manuel Oriega, il dittatore panamense); legami anche con i trafficanti d?armi e Bcci intermedierà la vendita di armi Usa all?Iran e a Israele (nel 1992 ci fu un rapporto del Senato americano che la mise sotto accusa) e nel 1997 finanzierà l?acquisto di acciaio ad alta resistenza da parte del generale Inam Ul-Haq, responsabile del programma pakistano nucleare. Di scandalo in scandalo, si arriva al 1999 con il progredire delle inchieste americane sugli attentati alle ambasciate degli Usa in Africa, avvenuti un anno prima. Dall?aprile 1999 si notano tracce di transazioni sospette dalla Ncb verso organizzazioni caritative vicine a Osama Bin Laden, di cui alcune controllate proprio da Khalid Bin Mahfouz. L?ammontare di queste transazioni è astronomico, più di due miliardi di dollari. Incalzati dagli Usa, anche i sauditi ordinano una audit sulla gestione della Ncb che accerterà il flusso verso Osama Bin Laden e le sue ong. Qualche mese dopo, le autorità saudite decidono di mettere Khalid in residenza sorvegliata in una clinica a Ta?if, dove si trova tuttora. Dal luglio 1999, la famiglia Bin Mhafouz scende sotto il 50% del capitale della banca Ncb, ma continua a controllarne il 46% del capitale, e il nuovo presidente è il vecchio direttore generale, un uomo del clan.
È interessante sottolineare che Khalid Bin Mahfouz, attraverso il saudita Sami Mubarak Baaema che dirige la Ncb, la finanziaria Sncb-Securities Limited di Londra e la Mecq, ?partecipa? anche al consiglio di amministrazione del Carlyle Group, fondo d?investimento americano, vicinissimo ai Bush. Alla testa della Carlyle numerosi collaboratori del vecchio Bush o di suo figlio George. Nel consiglio d?amministrazione e tra i consulenti: Frank Carlucci (presidente), ex ministro della Difesa di Reagan; James Baker, ex segretario di Stato di Bush senior; John Major, ex primo ministro inglese.
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