“Domani siamo chiusi!”. Nessuna parola di conforto. Domani il mio “bar di salvataggio” sotto casa, l’unico che riesco a raggiungere da sola e mi permette di godere di un po’ di socialità, non aprirà per timore delle minacciate violenze dello “sciopero dei forconi” di Torino. La stessa paura bloccherà anche i negozi vicini. Insomma il piccolo e solidale esercito di disagiati, che ogni giorno trova sostegno e amicizia tra vetrine, marciapiedi e i tavoli dei bar tavola calda rimarrà senza dimora. Ci sono io col mio deambulatore, gli anziani che vagano senza posa, le vecchiette tristi coi loro cani, i disoccupati e i personaggi poetici e un po’ stralunati che affollano tutte le città. Qualche negoziante è anche d’accordo con la serrata. Vogliono fare la rivoluzione, dicono, chiedono solidarietà. Intanto nessuno pensa ai clienti che patiranno di più la loro assenza, offrendo sostegno, una visita a domicilio, un servizio di pasti caldi, delle semplici telefonate. I rivoluzionari chiedono solidarietà, ma non sanno offrirne. Dicono di far la guerra ai politici, ma rischiano solo di accanirsi con chi è disagiato. La vera rivoluzione invece è fare squadra, essere solidali, magari rimanendo aperti per dare accoglienza a quel piccolo esercito, che rappresenta la base della loro attività, la parte più affezionata della loro clientela.
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