Cultura

La vera primavera araba? Siamo noi

In mostra al Meeting il lavoro di riflessione e amicizia sulla rivoluzione egiziana di Swap, un gruppo di studenti universitari milanesi, cristiani e musulmani, di origine araba. “Vogliamo dire a tutti che aprirsi all'altro è una ricchezza. E noi l'abbiamo sperimentata”

di Gabriella Meroni

Veronica ha solo 19 anni ed ha appena terminato l'anno da matricola alla facoltà di Chimica e tecnologia farmaceutiche alla Statale di Milano. Sorriso aperto, pelle scura e occhi allungati da principessa orientale, da cinque giorni fa la guida alla mostra sulla rivoluzione egiziana allestita al Meeeting di Rimini dal gruppo Swap (Shared with all people), singolare esperienza multireligiosa e multiculturale sorta spontaneamente oltre un anno fa all'università Cattolica per iniziativa di un gruppetto di ragazze musulmane che frequentano i corsi del professor Wael Farouq, egiziano e visiting professor di lingua araba presso la facoltà di Lingue. “Queste ragazze erano colpite da quello che stava succendendo nella terra dei loro genitori”, racconta Veronica, nata a Milano da genitori egiziani cristiani, e anche lei con la croce al collo. “In particolare, quando hanno saputo della morte della piccola cristiana Mariam, uccisa a 8 anni fuori da una chiesa, hanno deciso di fare qualcosa”.
Non una manifestazione né un sito internet, però, ma incontri periodici in università “per parlare” ma rifiutando di ridurre quegli eventi drammatici a contrapposizioni politiche o religiose, come invece tendono a fare gli adulti (compresi a volte i loro genitori), che sembrano avere le idee molto chiare su dove stia il bene e su chi siano i nemici. “Loro volevano capire cosa stava succedendo davvero e cosa c'entrava con la loro vita quella realtà così lontana e diversa”, spiega Veronica, che ha conosciuto il gruppo grazie a tre cugine, due delle quali studentesse del professor Farouq, il quale a un tratto si accorge di quello che sta accadendo in facoltà e favorisce l'aggregazione del gruppo, che nel frattempo si era allargato anche a studenti arabi di religione cristiana.
“Vogliamo parlare di ciò di cui nessuno parla”, continua Veronica, “e cioè del fatto che basta  poco per superare il muro delle diffidenze. Quando decidi di aprirti all'altro senza pregiudizi, il risultato è una ricchezza inimmaginabile. Noi di Swap, con le nostre differenze, questa ricchezza l'abbiamo sperimentata. Per questo, abbiamo voluto fare qualcosa per comunicare questa piccola grande verità”. La mostra presentata al Meeting vuole raccontare voci e volti della rivoluzione egiziana dello scorso autunno, e in particolare quella di due giovanissimi, Gaber Salah e Mina Daniel, assassinati mentre manifestavano per la libertà. Il volto di quest'ultimo, morto a soli 16 anni, è anche l'immagine che accoglie i visitatori all'ingresso della mostra.
Dopo questa esperienza (che Veronica definisce “fantastica”) quelli di Swap continueranno anche in autunno le loro iniziative, tra cui il lancio di un sito internet e la partecipazione attiva, come mediatori culturali, ai laboratori dedicati ai bambini siriani profughi a Milano, organizzati dalla fondazione L'Albero della vita. “Anche questa iniziativa è stata preziosa per noi”, racconta Veronica, “perché all'inizio non è stato facile entrare in rapporto con questi bambini: vedendo che sono araba e porto la croce al collo, non capivano, non si fidavano. Poi bastava sorridere e parlargli, giocare e stare con loro, e il ghiaccio si scioglieva subito”.
Un ghiaccio che i ragazzi di Swap ora vogliono far squagliare anche tra i G1: “All'inizio i miei genitori non vedevano di buon occhio il fatto che frequentassi ragazze musulmane”, testimonia ancora Veronica. “Mi avevano perfino detto di stare attenta. Poi mio padre è venuto a vedere quello che gli Swap facevano in Cattolica e si è convinto. Ora stiamo cercando di organizzare una cena con tutti i nostri genitori, per farli incontrare, ma non è facile….”. 


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