Sostenibilità

La vera concorrenzaè l’ingrediente che manca

pane sempre più caro

di Redazione

Non si vive di solo pane, specialmente ora che è sempre più caro. Da qui la recente richiesta dell’Autorità di abbassarne il prezzo, accettata dai fornai. Dal 14 marzo fino al 15 aprile i panificatori italiani hanno potuto applicare su base volontaria sconti sulle tipologie di pane più diffuse e praticare politiche promozionali su tutte le tipologie per le ultime ore della giornata. L’appello al quale hanno aderito le associazioni dei panificatori è stato lanciato dal Garante per la sorveglianza dei prezzi, Antonio Lirosi in cerca di soluzioni per far fronte alla situazione di emergenza che si è creata nel settore a partire dalla fine dell’anno 2007.
«Ho chiesto un’assunzione di responsabilità», ha detto Mister Prezzi durante l’incontro al ministero dello Sviluppo economico cui hanno partecipato anche rappresentanti del ministero delle Politiche agricole, Unioncamere, industria, artigianato e commercio del settore della panificazione.
Un’assunzione di responsabilità per rispondere ad una situazione di emergenza dovuta al caro vita che è frutto di condizioni internazionali generalizzate. Un impegno di cui si calcoleranno i frutti a fine aprile in un nuovo appuntamento con le associazioni di categoria.
Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio prezzi disposto dal Garante, il prezzo del pane varia notevolmente nelle diverse città italiane mantenendo però livelli ritenuti molto alti: si va da 1,90 euro al chilo a Napoli a 2,20 a Bari, 2,26 a Roma, 2,43 a Torino, 2,55 a Palermo, 3,45 euro a Bologna, fino a 3,56 euro a Milano. Questo andamento, secondo gli operatori, ha pesato sull’inflazione e ha comportato una contrazione dei consumi di pane del 6,3% nell’ultimo anno.
Di certo i fornai non ci stanno a salire sul banco degli imputati: così i protagonisti della filiera si rimpallano le responsabilità degli aumenti, chiamando in causa i rincari del costo dell’energia, del trasporto, della forza lavoro e delle spese di gestione dei negozi, i contadini si lamentano del fatto che un quintale di farina venga loro pagata appena 24 euro, che poi, a prodotto finito, arriva a costare al consumatore 400 euro.
Uno degli impegni che ha assunto Lirosi durante la riunione con i panificatori è stato proprio quello di rivolgere un analogo appello anche all’industria molitoria, cui ha chiesto di adottare politiche di contenimento dei prezzi, specialmente in vista della prossima campagna di commercializzazione del grano, che prenderà avvio a fine maggio, e che potrà favorire politiche di rientro dei costi.
Per il Movimento Consumatori, questa e le altre iniziative sono certo azioni buone e giuste, ma non risolveranno il problema dell’aumento dei prezzi in generale. «Dobbiamo infatti considerare», spiega Beppe Riccardi, responsabile Sicurezza alimentare MC, «che la liberalizzazione ha permesso ad ogni venditore di stabilire il prezzo che vuole e non è più possibile fissare un prezzo calmierato, come avveniva negli anni 90; pertanto può essere utile discutere sugli aumenti del pane, del latte o della frutta, ma non è detto che questi aumenti non vengano poi attuati».
Secondo Riccardi, una possibile soluzione sarebbe quella della vigilanza sui “cartelli” che le associazioni di categoria attuano, specie su alcuni prodotti. «Il pane è proprio uno di questi. Se andiamo a verificare il prezzo del pane in moltissimi negozi di una stessa città, possiamo riscontrare che il prezzo è identico, una realtà che cozza evidentemente con la libera concorrenza. Se concorrenza ci fosse realmente, basterebbe che un fornaio abbassasse il prezzo e subito gli altri lo ritoccherebbero al ribasso. La concorrenza, quella vera, è la sola arma per far abbassare i prezzi. Questo vale per il pane, ma anche per il latte, per la benzina, per le assicurazioni, ecc. Occorrerebbe, quindi, un intervento deciso dell’Antitrust su questi “cartelli” ed il problema prezzi sarebbe in parte risolto».
«Un’altra iniziativa», conclude Riccardi, «che potrebbe incidere è quella del consumo consapevole; se il consumatore riuscisse a individuare, fra i diversi negozianti, il prezzo più basso e acquistasse in quel determinato negozio, gli altri, vendendo di meno, abbasserebbero il prezzo; si instaurerebbe una catena che porterebbe a abbassare i prezzi almeno a livello locale. Questa è però una soluzione difficile da attuare in quanto il consumatore non ha il tempo di fare queste rilevazioni ed è proprio per questo che il negozio ne può approfittare».


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