Non profit

La Valgrisenche e l’«Italia ladrona»

di Redazione

Sono stato in Valgrisenche, una valle povera e bellissima in Valle D’Aosta che si guadagna passando da Saint Pierre. Tre giorni a scrivere, con la voglia di farlo anche di notte quando il silenzio è disarmante e favorisce la concentrazione. Nel mio alberghetto di nove camere, l’Hotel Maison des Myrtilles (frazione Gerbelle, località Chez Carral 7) avevo a disposizione un antro della sala bar, che guardava il ristoro dove Franco e Mariangela servono la buona cucina valdostana. E da lì vedevo passare coppie di turisti francesi e svizzeri, stupiti di pagare solo 40 euro a notte con colazione o 25 euro per un pranzo. Mentre li vedevo con la faccia soddisfatta, leggevo sul giornale che i giapponesi si sono stancati dell’Italia turistica furbetta che applica una tariffa doppia. Lo scandalo è scoppiato a Roma, dove un ristorante ha emesso ricevute record a un gruppo di clienti con gli occhi a mandorla. E la notizia è rimbalzata nel paese d’origine col boomerang firmato «Italia ladrona». A ben vedere, verrebbe da dire che certe cose capitano solo in certe città dove il servizio è «tirato via», quasi che oltre al danno ci sia la beffa da pagare dentro al conto. Tutto questo fa male, come fa male leggere che la media dei redditi del settore è sui 14mila euro. C’è qualcosa che non va. È sbagliato fare di tutta l’erba un fascio, ancor più da questo albergo onesto della Valgrisenche che deve fare i conti con le intemperie, i lunghi inverni di isolamento e altro ancora. Fa gridar vendetta chi getta fango su un settore che è una delle carte da giocare, anche in tempo di crisi, nel nostro Paese. Leggo poi che una birra bevuta a Milano da un sedicenne può creargli problemi. E continuo a non essere convinto. Qual è la differenza tra la Valgrisenche e Roma o Milano? Credo sia la comunità, che ha la responsabilità del proprio bene collettivo, che sa anche correggere le devianze. Si chiama educazione, che poi diventa assunzione di responsabilità. In quanto ai furbi, invece, nelle comunità la recidività diventa isolamento. E magari espulsione. Un segnale da Roma, in questo senso, non sarebbe male.

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