Mondo

La valanga Obama

Decine di pagine dedicate dai quotidiani al nuovo presidente degli Stati Uniti

di Franco Bomprezzi

 

 

E’ l’ora del trionfo e dell’analisi, del commento e del colore, delle previsioni e degli scetticismi: la vittoria di Obama offre ai giornali italiani l’occasione per un numero speciale, ricco di pagine e di servizi. Ecco che cosa abbiamo selezionato per voi.

 

 

 

“Obama: cambierò l’America”, titola a tutta pagina il Corriere della Sera. I servizi arrivano a pag19. Sulla vittoria del leader democratico da segnalare il fondo di Angelo Panebianco e quattro pezzi, tutti con richiamo in prima, di quattro firme di punta di via Solferino. Gian Antonio Stella (“Quando era lecito linciare”), Aldo Cazzullo (“Alabama, tra i vinti al bar dei bianchi”), Paolo Valentino (“Il padre poligamo e la madre giramondo”), Maria Laura Rodotà (“Michelle, la dura, astronauta mancata” dedicato alla first lady). 

L’editoriale di Panebianco è un elogio senza se e senza ma alla democrazia americana: «tutti, persino i tanti nemici dell’America sparsi per il mondo, sono costretti a riconoscere che la democrazia americana continua ancora oggi a disporre di doti che nessun’altra comunità politica possiede». Però la vittoria del candidato nero è figlia della paura: «Il successo (…) e l’entusiasmo che ha suscitato (…) non sarebbero stati possibili senza il senso di smarrimento e la paura per il futuro che attanagliavano la società americana già prima che (…) la crisi rivelasse tutta la sua gravità». Intanto incominciano a trapelare i nomi della nuova squadra di Obama. In particolare le quattro nomine chiave: il capo di gabinetto della Casa Bianca e i tre del transition team, che selezionerà e valuterà i ministri della nuova amministrazione. Si tratta di Rahm Emanuel, congressman di Chicago, amico di Clinton e di Obama, bei capelli e fama da cattivo, molto vicino alla comunità ebraica. Sarà il chief of the staff di Barack. Dopo il nero e l’ebraico, ecco l’italiano. John Podesta, capo dei tre capi del transition team, ex di Clinton dal 98 al 2001. A loro si aggiunge l’uomo del West Pete Rouse. Infine una donna: Valerie Jarrett di Chicago, avvocato e attivista civica. 
Nelle 19 pagine non si trova nessuna voce fuori dal coro. L’unico sassolino che il Corriere mette nelle scarpe del neopresidente è “L’avvertimento del Cremlino. Missili nucleari in Europa” come recita il titolo di pag. 17. Lo spunto lo dà il messaggio del leader Medvedev al parlamento russo che più o meno suona così: caro Obama la nostra speranza è di sviluppare un «dialogo costruttivo», ma se gli Usa proseguiranno sulla strada tracciata da Bush, Mosca attuerà tutte le contromisure annunciate, incominciando dall’installazione dei missili a medio raggio nell’enclave di Kaliningrad. 

Impegno record per Repubblica: 23 pagine dedicate alla nuova America e al suo presidente. Le elezioni sono affrontate da ogni possibile punto di vista (anche da quello della composizione dell’elettorato democratico: i neri hanno votato Obama al 95%; ma anche molti latini, il 45%; i bianchi lo hanno scelto al 43%, la medesima percentuale che votò Kerry). Al solito interessante Vittorio Zucconi: “La lunga notte che ha cambiato il volto dell’America”. Coglie gli umori, la speranza e anche – nota bene – sfumature nuove nell’atteggiamento verso i neri. Nelle 23 pagine, anche la notizia che in California il referendum ha bocciato i matrimoni gay: probabilmente gli stessi elettori di Obama , scrive Arturo Zampaglione, «si sono schierati contro le nozze gay».
Passando ai commenti, dalla prima segnalo quello del direttore Ezio Mauro, “Pensare l’impossibile”: «Un uomo che è l’icona stessa del cambiamento – perché  la sua biografia è il suo messaggio politico – entra alla Casa Bianca e nella storia… Pensando l’impossibile (un nero afroamericano presidente) e riuscendo a realizzarlo, Barack Obama non ha soltanto riconfermato il sogno americano della grande avventura ma ha realizzato fino in fondo il patto fondativo della nazione che coniuga i diritti, la libertà e le pari opportunità. Quel patto era incompiuto…». L’America ha avvertito la coscienza di questo limite e lo ha trasformato  in una opportunità:«Una scelta netta che è una chiara assunzione di responsabilità da parte del popolo americano». Adesso spetta a Obama, non deludere le aspettative che sono altissime… Lucio Caracciolo guarda invece al passato: “La fine dell’autismo”, ovvero: «Se Obama ha vinto, è anche perché gli americani hanno ascoltato le voci del mondo. Non per corrività o per vocazione internazionalista. Per sano spirito di conservazione. Per egoismo. Perché hanno capito che la sicurezza degli Stati Uniti è protetta dalla simpatia o almeno dal rispetto altrui meglio che da qualsiasi barriera. Quanto più Bush erigeva muri fisici e virtuali… Tanto più molti americani si sentivano paradossalmente meno protetti».
A pagina 37, Madeleine Albright (ex segretario di Stato di Clinton) scrive al neo eletto: “Caro Barack, ecco le sfide che ti aspettano”.  Fronte economico (scegli le persone giuste, agisci con disciplina: ti aspetta un duro lavoro) e internazionale (avvia il ritiro dall’Iraq, occupati seriamente dell’Afghanistan).  In ambito diplomatico: rafforzare la cooperazione fra Islamabad e Kabul; chiudi Guantanamo; evita di aiutare i terroristi nel fare nuovi adepti (il che avviene se ci si limita come si è fatto fin qui a operazioni militari senza vera strategia); lavora per una pace equa in Medio Oriente. Sii ambientalista e fa del rispetto dell’ambiente il nuovo stile di vita americano. «Metti fine alla politica della paura. Trattaci da adulti. Aiutaci a capire le genti e le culture dei paesi lontani. Esortaci a lavorare insieme»…  Segnaliamo anche Michele Serra e la sua Amaca: «Non è per contraddire Barack Obama, ma il «Paese dove tutto è possibile» non sono gli Usa. È l’Italia. Dove è possibile che il capogruppo del partito di maggioranza commenti l’elezione di Obama dicendo che fa contenta Al Qaeda.  È possibile che il leader di un altro partito di governo abbia definito “bingo bongo” gli africani. È possibile che un altro autorevole leader di quel partito abbia definito “culattoni” gli omosessuali… È possibile che Marcello Dell’Utri (interdetto dai pubblici uffici, e però senatore della Repubblica: è possibile anche questo) ammonisca le giornaliste del Tg3 perché abbassano il morale della nazione»….

Paginate entusiastiche (ben 17) anche su La Stampa che apre sinteticamente con un “Obama, l’America”. Cronaca della festa, editoriali a go-go, fra cui quello del direttore Giulio Anselmi, “Il mito e la realtà” (l’elezione «suona davvero all’opinione pubblica come l’ultima prova della leggendaria capacità di rinnovarsi attribuita alla più grande democrazia della Storia» e segna una «cesura con la stagione di G. W. Bush»). Interessante come sempre la rubrica di Massimo Gramellini in prima con il suo Buongiorno America intitolato “Nato negli anni Sessanta” e poi a pagina 5 con “Sushi & jeans Noi ragazzi del 60”: il punto principale, scrive l’ottimo Gramellini, non è il colore della pelle. È l’età: Obama è nato nel 1961 e propone una visione nuova della vita, meno cinica dei “grigi”, i suoi veri nemici, coloro – ha scritto Douglas Coupeland, romanziere assai amato dal neopresidente – che «hanno messo le mani sulle fette migliori della torta per poi stendere un reticolato di filo spinato tutto intorno»… Anche il suo modo di essere – sobrio, non ama gli hamburger, preferisce il sushi –  è in sintonia coi tempi moderni. È un «maschio femmina», ovvero «si muove con  la grazia di un fuscello», «ha la superficie morbida ma il ripieno è di consistenza insospettabile»…
Interessante pure l’analisi di Enzo Bianchi (a pagina 7): “Il rischio di quegli osanna”. Ovvero quanto può diventare pericoloso un carisma indubitabile cui però devono corrispondere cambiamenti veri. Certo, scrive Bianchi, occorre avere buona stoffa , «aver creato qualcosa… in quello spazio di interiorità dove ciascuno coltiva più o meno consapevolmente la propria dimensione spirituale» per avere tanta presa. Ma attenzione: «se quel flusso si interrompe… Se la percezione di essere ascoltati e capiti si spezza, se la realtà quotidiana della convivenza nella polis contraddice il sogno comune intravisto come possibile, saranno proprio i tratti messianici a rivoltarsi in cocente delusione»…
La provocazione è in una intervista all’arcivescovo metropolita di Atlanta, Wilton Daniel Gregory (primo presidente di colore della Conferenza episcopale statunitense): “Siamo pronti a un Papa nero”. Al di là dell’errore nel titolo, il succo è che anche in Vaticano potranno esserci dei cambiamenti. Del resto dice l’arcivescovo la mia stessa carriera molto rapida è illuminante e segnale dell’apertura della Chiesa «verso altre culture, verso aree del mondo diverse e lontane dall’Europa». Un percorso avviato da Giovanni XXIII, proseguito da Paolo VI e da Giovanni Paolo II, che Benedetto XVI sta proseguendo. 

Il numero de il Giornale post elezioni Usa è dedicato agli “Obama de noantri” (anche per questa testata ben 19 pagine) – a tutta pagina se ci eccettua una fotina di Del Piero (meritatatissima) e relativa notizia della qualificazione –  e titola “Hanno scoperto l’America” e occhiella “Era il Paese del male. Ora che ha eletto Obama è un Eden. Ma gli States non sono cambiati. Qualcun altro forse sì”. Il fondo del direttore Mario Giordano titola “Quelli che le bandiere Usa le bruciavano nei cortei” e commenta «Avete presente il Paese Brutto sporco e cattivo, quello che bombarda i bambini e rubava nelle banche (…), con la pistola facile e l’aborto difficile,(…), di guerrafondai beghini e  torturatori (…)? Ebbene ha fatto puff. Ha vinto Obama:  l’impero del male è già diventato  impero del miele. (…) Sfogliate  i giornali, accedente la tv e navigate in internet  e vi verrà addosso una melassa stellestrisce» che dice che «l’America  è il nuovo regno del sogno, il ritrovato santuario della democrazia, il vicino west dove ogni desiderio si può realizzare».  Gianni Pennacchi intinge la penna nel curaro e scrive: «Aridatece Palazzo Chigi, adesso: o non abbiamo vinto anche noi democratici italiani? Anzi, abbiamo vinto noi, senza anche, perchè se non era per il contributo decisivo di Veltroni e di Melandri chissà se Barack ce l’avrebbe fatta». Il fendente decisivo a Uolter lo dà Cossiga: «E’ stato decisivo per Barack? Il guaio è che Walter ci crede davvero». Intervista (perché è il ministro più giovane, 31 anni) a GiorgiaMeloni “Lui è la rottura, ma che noia  gli obamiani de noantri” è il titolo in copertina e poi a pag. 11 «Veltroni è in prima fila a impadronirsi della vittoria del senatore nero. Ma sulla politica estera l’America non prenderà altre strade». Ma c’è anche l’analisi politica: chi è Barack, quale sarà il suo team, quale la politica. Il ritratto del politico Barack è affidato aGiuseppe de Bellis secondo cui Barack è “Quel sognatore pragmatico che non ha perso una sfida” e scrive «Ha carisma, sa ascoltare, non urla, non insulta» inoltre «Lo hanno accusato di avere poche idee e troppa retorica, ma lui è il simbolo dell’America che arriva dove vuole». Sempre de Bellis rivela che il “Team della Casa Bianca è nelle mani di David, il genio. La lista dei ministri è stata affidata a Axelrod, lo stratega della campagna elettorale”. Sicuri: Raham Emanuel, governatore dell’Illinois a  capo dello staff, Bill Richardson, ispanico, che governa il new Mexico, sarà probabilmente segretario di Stato. Baget Bozzo scrive un pezzo che titola “Il mito dell’uguaglianza soppianta la libertà. Con Obama l’America diventa più simile all’Europa. E lui diventa il salvatore che libera il suo popolo”. Marcello Foa analizza il voto: “Ha pesato la crisi economica, ma non il fattore razza”. L’effetto Bradley (l’esser superfavorito) non ha penalizzato Obama.  Hanno votato per Obama, ispanici, mamme preoccupate per il futuro che hanno evitato scelte tradizionaliste.  Non mancano le testimonianze dei “perdenti”: McCain che dice «Ora lavoriamo con il nostro Presidente» e Bush che offre una «totale cooperazione». Possibile partecipazione del neo presidente al G20 che si tiene il 15 novembre, mentre Barack si insedierà alla Casa Bianca il 20 gennaio 2009. Alla Palin un taglio basso “Sarah-barracuda  piange. Ma i giornali sono sicuri che tornerà”. E per dire che la festa sta finendo e il lavoro è alle porte Il Giornale pubblica a pag. 17 le minacce della Russia. “Mosca tenta subito una prova di forza: «Installeremo nuovi missili anti scudo».

Per Italia Oggi, la festa per Obama è già finita. Il giorno dopo la sua elezione, le borse americane perdono il 5%. Chiaramente non è colpa di Obama, “ma la doccia gelata di ieri introduce un po’ di realismo che aiuta che aiuti a fare tenere i piedi a era al giovane neopresidente. Obama ha vinto, la svolta è innegabile, ma la realtà non è cambiata. Il primo banco di prova sarà la composizione del suo staff economico con cui dovrà affrontare una forte crisi economica. Coccolato dai media e dai centri di potere, ben  accolto all’estero come raramente è accaduto a un presidente americano, Obama è ora atteso alla prova del realismo che una volta chiuse le urne conta assai più di un sogno. Se ne rendono conto i mercati finanziari, un po’ meno i politici italiani  (Veltroni e Gasparri) che hanno trasformato queste elezioni in una sorta di piccola sagra di paese” . La città dell’Illinois è il serbatoio della squadra del presidente
Il trionfo avrà bisogno di nuovi interpreti e compagni di viaggio. Per cui, specula Italia Oggi, il gruppo che lo ha accompagnato nella sua ascesa, gli farà compagnia anche alla Casa Bianca. E la maggior parte di loro sono tutti di Chicago. David Axelrod, lo stratega della campagna elettorale, in passato è stato giornalista del Chicago Tribune. Rahm Emanuel, deputato di Chicago, è appena stato scelto come Chief of Staff. Agli esteri invece andrebbe John Kerry, mentre nel possibile coinvolgimento nella squadra ci sarebbe anche Hillary Clinton, senatrice di New York, ma nata e crescita nell’Illinois. 

Oggi, anche Avvenire dedica ampio spazio a Obama, 8 pagine, dal resoconto della sua parabola professionale alla sua capacità di coinvolgimento dei giovani, dal primo discorso fatto alla vittoria democratica schiacciante anche alla  Camera e al Senato. Grande entusiasmo per il sogno ritrovato di «un’America in cui tutto è possibile». In tutto questo, un piccolo cenno alla classe di McCain nel rendere le armi: «Obama sarà il mio presidente». 
Parallelamente non si dimentica l’esito dei 153 referendum tenutisi in 36 stati collegati alle elezioni presidenziali (pag. 6): Arizona, Florida e California bocciano le nozze gay (anche Obama si era espresso in questo senso) e l’Arkansas vieta l’adozione a coppie omosessuali. No anche a restrizioni sull’aborto – seppur di misura – in Colorado, Sud Dakota e California (il Colorado ha respinto la definizione dell’embrione come «persona umana»). Suicidio assistito a Washington e in Michigan sì ai test sulle staminali embrionali (anche in questi casi il gap fra i sì e i no è stato minimo). I vescovi americani «avevano posto “la chiamata alla famiglia” come uno dei punti qualificanti per la scelta del voto da parte di un cattolico». E i presuli statunitensi offrono al nuovo presidente la loro collaborazione: «Siamo pronti a collaborare con lei per la difesa e l’appoggio alla vita e alla dignità di tutte le persone», ha detto il cardinale Francis George, presidente della Conferenza episcopale. 
Prevedibile l’entusiasmo in Kenya. “Il Kenya celebra Barack. «Tutto è iniziato da qui»” (pag. 7). Il presidente Mwai Kibaki ha voluto far diventare la giornata della vittoria di Obama festa nazionale. C’è però anche chi mantiene un po’ di scetticismo riguardo alle aspettative e ai cambiamenti futuri del Paese: «Credo che il Kenya trarrà molti benefici da questa vittoria – confessa Casila Penena, consigliera comunale – ma bisognerà poi capire come il nostro governo intenderà sfruttarli. C’è ancora molta corruzione in giro e la maggioranza della popolazione non vede mai i risultati promessi. Noi d’altro canto, dobbiamo impegnarci a cambiare le nostre società senza aspettarci che Obama lo faccia al posto nostro».
A pag. 8 le interviste a Stephen Hess («Grande svolta. La rivoluzione è un’altra cosa») senior fellow alla Brookings Institution, il think tank liberal di Washington dal quale provengono diversi cervelli del team di Obama, e a Pierre Hassner (Più vicino all’Ue. Ma potremmo rimanere delusi»), fra i massimi esperti mondiali di relazioni atlantiche, docente in Francia e al centro europeo di Bologna della John Hopkins University. Il primo sostiene che l’attuale clima di incertezza ha accentuato l’attesa di un mutamento. L’America, però, resta un paese conservatore. Il politologo francese invece dice: “Vi è una forte intesa sul multilateralismo anche se temo possano emergere forti contrasti operativi». 

Foto della festa Usa e un titolo “New dream” campeggiano sul manifesto che dedica alla vittoria di Obama ben otto pagine (il 50% del giornale). Il commento “Il nuovo mondo” in prima pagina è di Mariuccia Ciotta che scrive «La maggioranza della popolazione planetaria ha votato virtualmente Obama presidente, e il dispositivo di identificazione ha trasceso l’uomo, che qualcuno guarda ancora con disincanto. Ma se la gente ha votato un’”immagine” – come ai tempi di Franklin D. Roosevelt – lo ha fatto per esprimere un atto di possesso e protagonismo politico”. Trionfale anche l’analisi di Marco d’Eramo “Il nuovo avanza davvero” che scrive: «(…) a lungo a sinistra non ci abbiamo creduto e per questo dobbiamo fare autocritica. Certo Obama ha avuto fortuna (…) Certo, è entrato in politica al momento giusto per sfruttare il disastro di George Bush. (…) Obama ha portato allo scoperto la fame di futuro che hanno tutti, non solo i giovani, la sete di avvenire, la brama di un domani migliore. Gli antichi aristocratici sbeffeggiavano la plebe, il volgo che era “cupidus rerum novarum”. Ebbene, noi rivendichiamo questa cupidità. Volevamo il nuovo, un uomo nuovo, una nuova politica. Il primo l’abbiamo avuto l’altra notte, la seconda la aspettiamo nei prosismmi mesi, se non fra pochi giorni». Il manifesto in un box segnala anche le reazioni dei siti jihadisti alla notizia dell’elezione di Obama: «Schiavo negro, un segno di resa» è il titolo che riprende alcuni dei commenti che definiscono Obama uno «schiavo negro», «un negro blasfemo a capo di una nazione blasfema», inoltre si segnala che i commentatori jihadisti si sono definiti «inorriditi anche dal fatto che “per la prima volta nella storia la First Lady americana sarà una schiava negra”. Reazioni e commenti, ma soprattutto tanti improperi». Una foto notizia presenta il poster ideato da un’agenzia pubblicitaria di New York con lo slogan “Let the issue be the issue”, lascia che le cose importanti siano le questioni in gioco dove Obama e McCain sono presentati a colori invertiti. Nelle due pagine dedicate alle reazioni italiane e internazionali si sottolineano le posizioni delle sinistre radicali, con il “Sì ma” di Bertinotti e Ferrero, mentre Diliberto tace e Ferrando è anti-Obama. Le speranze dei no Dal Molin che chiedono a Obama di togliere loro la base.

«Aiuti all’industria, priorità di Obama» strilla il Sole 24 Ore, che ha abbandonato ogni emotività del post elezioni. Fosse una speranza anche dei nostri industriali? A pagina 3 un ritratto del nuovo capo dello staff presidenziale, il 49enne Rahm Emanuel, ebreo, considerato molto “di sinistra” anche se nel 2002 fu favorevole alla guerra in Iraq. Inoltre si sottolinea il grande ruolo che ha avuto internet in questa campagna elettorale, e soprattutto – è una vera mania – il ruolo chiave di Facebook e MySpace, che il candidato democratico ha capito e sfruttato al massimo; un altro dato impressionante sono i video che inneggiano a Obama caricati su youtube: 682mila! Segnale del fatto che la campagna è stata veramente “di popolo”  e ha saputo coinvolgere come mai prima. Altre due segnalazioni interessanti: Vaticano, i timori dietro la fiducia. Al di là dell’apprezzamento ufficiale, e del comunicato «irritualmente caloroso», Oltretevere si guarda con preoccupazione a due temi: aborto (Obama è «pro choice») e ruolo pubblico della religione, ovvero la laicità e il relativismo morale che finora secondo la Chiesa hanno imperato in Europa ma non negli Stati Uniti. Obama si allineerà alla Ue? Interessante anche il fondo in prima pagina di Gianni Riotta: cita un passaggio del libro-manifesto di Obama, L’audacia della speranza, dove il neopresidente fa un elogio sperticato di Ronald Reagan. Tesi: attenti, Obama ha capito che un vero presidente americano, democratico o repubblicano che sia, non deve mai abbandonare il ceto medio e i suoi valori: ordine, patria, lavoro, fede. Riotta lo chiama «ritorno al buon senso» del common man, l’uomo della strada americano, che ha permesso a Obama di non spaventare i bianchi e così di vincere. Insomma, è un democratico ma lontano anni luce dalle elite liberal con la puzza sotto il naso.

E inoltre sui quotidiani di oggi:

Testamento biologico
Corriere della Sera – A Modena un uomo di 50 anni che chiede di rimanere anonimo ha ottenuto da un giudice tramite decreto , la certezza che in caso di malattia terminale  o di lesioni cerebrali irreversibili nessun medico potrà sottoporlo a terapie invasive. Spetterà alla moglie, nel ruolo di amministrazione di sostegno, essere garante delle sue volontà di fine vita. Di fatto, deduce il Corriere, è l’applicazione del testamento biologico, senza che in Italia ci sia ancora la legge. Sempre a Modena qualche tempo fa una signora malata di Sla aveva anche lei ottenuto dal giudice la possibilità di rifiutare una tracheotomia. Non è una coincidenza che entrambi gli episodi si siano verificati nel capoluogo emiliano. Tutto nasce da un gioco di squadra fra un giudice tutelare (Guido Stanzani) e un’avvocatessa (Maria Grazia Sacchetti) che fra le pieghe della legge Cendon sull’amministratore di sostegnoha scovato la possibilità di tutelare non solo i malati di mente, ma anche di chi è temporaneamente incapace di intendere. Anche per chi allo stato goda di perfetta salute. Commenta la Roccella: su questo tema «Non mi convince l’uso dell’amministratore di sostegno». Il meccanismo è semplice, spiega Stanzani: «basta registrare le proprie volontà da un notaio e poi ricorrere al giudice». Costo totale: 200 euro. 

Disabilità

La Repubblica – A pagina 31: “Disabili, Brunetta e la mamma ribelle”. Luisa Grion riferisce della visita che il ministro ha fatto alla mamma di un bambino con handicap grave che aveva scritto a Repubblica difendendo la 104 dalle revisioni e dai tagli di Brunetta. Lui la va a trovare, ci parla, cerca di capire (e in questo un plauso). Lei tenace gli fa vedere le difficoltà della vita reale…

Asili nido

La Repubblica – A pagina 29: firmato da Caterina Pasolini un pezzo su “Più part time e asili nido per le donne”. La Carfagna annuncia provvedimenti: «fare figli i Italia è diventato un atto di eroismo perché sono insufficienti i servizi che aiutano le donne a crescrere i propri figli», così la ministra davanti alla Commissione Affari costituzionali, dove appunto ha annunciato il pacchetto di provvedimenti (fra cui l’incremento degli asili). Scettico il ministro ombra, Vittoria Franco…

Lavoro

Il manifesto – La commissione lavoro del parlamento europeo ha bocciato il tetto di 65 ore lavorative settimanali che era stato voluto a giunto dai 27. Per gli eurodeputati la settimana non può andare oltre le 48 ore «senza se e senza ma, ossia senza deroghe. Queste, molto in voga in Gran Bretagna, andranno eliminate nei primi tre anni di validità della nuova direttiva”. Ampio spazio anche la decisione della Cgil di andare verso lo sciopero generale: il direttivo della prossima settimana deciderà le modalità di unificazione delle lotte. Nell’articolo che racconta il discorso di Epifani si legge: «Poi l’attacco duro, a Cisl e Uil: “Le divisioni non le abbiamo volute noi, le abbiamo subite. Perché Cisl e Uil hanno accettato oggi da Brunetta, quello che non avevano accettato a giugno? Non ci offre neanche la metà dell’inflazione”».

 


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