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La Turchia ha messo la Carta a posto

L'esito del referendum con i ritocchi alla costituzione è una vittoria di Erdogan e un passo deciso verso Bruxelles. Ora la palla passa all'Europa

di Redazione

Istanbul
La cosa più certa è che la vittoria c’è stata ed è stata una vittoria solo sua. Il premier Recep Tayyip Erdogan ha convinto la Turchia ancora una volta. Il 12 settembre scorso il popolo della Mezzaluna si è recato alle urne per decidere se emendare la Costituzione del 1982, figlia del colpo di Stato del 1980. Gli emendamenti sono stati voluti con forza dal solo Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), di orientamento islamico-moderato e che detiene la maggioranza in parlamento. Per portare avanti il suo progetto ha rifiutato ogni mediazione con l’opposizione laica in parlamento, che lo ha accusato di lavorare non per il bene del Paese, ma per portare a termine il loro progetto politico di islamizzare il Paese.
Gli emendamenti riguardavano tre cose: modifiche ai diritti fondamentali in chiave con i parametri europei, riforma della magistratura, riforma di due articoli che permettono di processare in sede civile i militari, a partire dagli autori del golpe del 12 settembre 1980.
I Sì hanno vinto con il 58%, un trionfo per il premier, oltre le più rosee prospettive e proprio nel giorno del trentesimo anniversario del colpo di Stato. La vittoria mette Erdogan in una situazione di tutta sicurezza dentro e fuori il Paese. A fare i conti sono non soltanto l’opposizione, ma la stessa Europa. Kemal Kilicdaroglu, leader del Chp, il Partito repubblicano del Popolo, ha fatto pubblica ammenda, scusandosi anche con il suo elettorato per l’imbarazzante figura di non essere riuscito a votare in un momento così storico per il Paese, a causa della mancata dichiarazione di cambio di residenza all’Ufficio elettorale. Il “Gandhi della politica turca” come lo chiamano i giornali locali, ha detto che l’opposizione non intende andare contro la volontà degli elettori e deve anche aver pensato che, se continua così, anche alle prossime elezioni sarà una Caporetto.
Bruxelles non ha lesinato espressioni di grande soddisfazione, ma non ha ancora capito forse che adesso la palla passa ancora a lei. Ankara, seppur in via incompleta, ha messo mano a una delle cose che l’Europa ha sempre chiesto con maggiore insistenza, la modifica della Costituzione appunto. Quello che adesso il Paese della Mezzaluna chiede in cambio è un segnale che faccia capire se all’ingresso turco il club dei 27 creda davvero. Ed è un segnale che la Commissione Europea non può dare, viste le posizioni di Francia e Germania e la situazione di stallo sul “nodo Cipro”, l’isola spaccata in due dall’intervento turco del 1974, con una parte, quella greca, in Europa, e l’altra a maggioranza turca riconosciuta solo da Ankara.
Il problema è grosso, il rischio di perdita di credibilità da parte di Bruxelles enorme. E la cosa più imbarazzante da constatare è che il problema potrebbe essere solo del Vecchio Continente. La Turchia del 2010, pur con tutti i dubbi di questa terra sulla buona fede del suo premier, ha detto addio a un passato doloroso e si proietta verso un futuro luminoso, anche grazie a tassi di crescita economica che sono tornati molto interessanti dopo la crisi dell’anno scorso.
Il premier Erdogan in queste condizioni rischia, almeno per il momento, di ipotecare seriamente le elezioni del 2010. Paradossalmente a mettergli i bastoni fra le ruote potrebbe essere quella parte del suo elettorato che durante la campagna referendaria urlava «Yetmez ama evet» – non basta, ma votiamo Sì – e che da lui vuole molto di più. A cominciare dalla pace con l’Armenia, la tutela dei curdi e quella delle minoranze religiose, dove sono stati fatti passi avanti ma la strada è ancora lunga.

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