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La tribù che odia: non dobbiamo abbandonare le comunità accoglienti

I discorsi d'odio sono generali, astratti.. Ma le loro ricadute sono terribilmente concrete e a farne le spese sono le comunità locali. Il caso di Collebeato, in provincia di Brescia, è l'ultima spia di una serie di eventi, diffusi in tutto il Paese, che dovrebbero destare allarme: se alimentiamo l'odio, prima o poi qualcuno passerà all'atto. Ecco i fatti e le reazioni della società civile

di Marco Dotti

Collebeato, Brescia. Quattromilacinquecento abitanti in una valle operosa, in un territorio dai tratti duri, ma sempre accoglienti, la Valtrompia.

I fatti

Un sistema Sprar efficace ed efficiente che ha dato i suoi frutti. Mai un problema. Fino al 26 ottobre, quando un ospite richiedente asilo, probabilmente ubriaco, ha spaventato alcuni abitanti del luogo. Nessuno ha minimizzato, anzi.

«In cinque anni di progetto di accoglienza, non era mai successo nessun problema », spiega il sindaco di Collebeato Antonio Trebeschi. Nessun reato commesso – tanto meno dal richiedente asilo -, ma un allontanamento immediato, disposto dalle autorità in un'altra struttura.

Fino a qui i fatti. Normale amministrazione della vita in comune. Ma poi accade altro. Altri fatti, sconnessi dai primi, anche se qualcuno – resta per ora aperta la questione del "chi" -, estraneo al territorio, vorrebbe collegarli con un nesso causa-effetto privo di ogni logica parlando di "normale reazione".


«Ci rammarichiamo per questa cosa, e ci dispiace molto che sia successo un evento del genere. A seguito di questa vicenda è partito un tam tam su internet, un tam tam autolimentato che si è concluso con l'arrivo a Collebeato di alcune persone, io penso provenienti da fuori, che si è concluso con fatti molto gravi», racconta il sindaco Trebeschi.

Il tam tam dell'odio in rete

E qui è bene fermarsi. Che cosa accade dopo 24 ore di "tam tam" suo social? Accade che la "tribù che odia", lontana dai fatti e dalle vite concrete della comunità valtrumplina, nell'anonimato (e non) comincia a esacerbare gli animi. Fino a che qualcuno passa all'atto.

Divide et impera, là dove altri lavorano a una lenta ricucitura del tessuto sociale.

Ricapitoliamo: c'è un fatto grave, un richiedente asilo ubriaco che molesta dei residenti; c'è un fatto ancora più grave, sconnesso dal primo, ed è l'innesco e la conseguente rapidissima diffusione virale online di un odio a priori verso chi accoglie, non solo verso chi è accolto; c'è un fatto gravissimo, conseguenza del secondo fatto ma non del primo: una squadraccia, venuta da fuori paese, forse da fuori provincia, compie atti intimidatori gravissimi. Quali atti?

In sequenza:

  • domenica sera, 27 ottobre, verso le 22:30, alcune persone si sono recate presso la casa dove alloggiano alcuni ospiti SPRAR e, dopo aver insultato una signora che non voleva indicare loro l’appartamento dei rifugiati, hanno urlato frasi ingiuriose all’indirizzo dell’abitazione e lanciato un oggetto che ha provocato una forte esplosione;
  • raggiunta l’abitazione del sindaco, hanno depositato nella cassetta della posta materiale esplosivo l’ha distrutta, facendola ritrovare a vari metri di distanza e danneggiato il portone;
  • quello che ha le sembianze di un vero e proprio raid pianificato (forse già con l'innesco del rancore online, non solo come sua conseguenza?) si è concluso con scritte razziste sul municipio, con una svastica sotto la lapide in memoria dei partigiani, e su altri spazi dell’immobile.

Odio globale, conseguenze locali

Una piccola storia di provincia? Non proprio. Piuttosto è un sintomo di un "sistema-Paese" malato nel suo centro, non ai suoi margini. Da un lato, va dato atto all'amministrazione non solo di aver lavorato bene in questi anni sul tema dell'accoglienza, ma di aver messo a nudo la logica perversa di chi cerca di alimentare un odio indistinto e generale servendosi arbitrariamente di casi particolari. Dall'altro, va compreso che i discorsi d'odio trovano poi una ricaduta concreta. Una ricaduta che colpisce (paradosso? Non proprio) in primis cittadini e comunità che non accettano di rinserrarsi nel rancore.

C'è una lezione che possiamo trarre dai fatti di Collebeato: gli amministratori locali, oggi, là dove permettono alle comunità di discernere e si scegliere sono gli ultimi baluardi fra noi e il diluvio. La grande solidarietà generata dai fatti di Collebeato è un segno positivo. Basterà? Qui la palla passa su un altro livello, quello nazionale. E il positivo diviene negativo.

«A furia di seminare odio, xenofobia, violenza nei gruppi e gogne social», commenta Federico Gervasoni, che al postfascismo bresciano ha dedicato un bel libro, Il cuore nero della città (Liberedizioni, 2019), «alla fine qualcuno passa ai fatti. Il fascismo è la parola, ma la cosa è andata decisamente oltre».

Fatti del genere, che troppi vorrebbero derubricare nelle cronache locali, si stanno rapidamente diffondendo nel Paese, creando un radicale scollamento tra la vita concreta delle comunità e una pur giusta indignazione verso l'hate speech che non sa – o non vuole – fare i conti con le sue ricadute concrete, finendo per minimizzarle.

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