La missione Athar
La traversata del deserto per la ricerca e l’inclusione
La missione è scientifica e sociale: l'ingegnere aerospaziale Matteo Parsani percorrerà oltre tremila chilometri nel deserto con la sua handbike. A sei anni dall'incidente che gli ha causato una lesione spinale parziale, intende accendere i riflettori sulle potenzialità dello sport, delle tecnologie e raccogliere fondi per i disabili con poche possibilità
«Non molla mai», dicono di lui. Non ha stupito, quindi, la sua intenzione di cimentarsi in un’impresa nata a scopo solidale che lo vedrà partire il 17 dicembre prossimo da Damman sul Golfo Arabo e percorrere con la sua handbike oltre 3000 chilometri, circa 150 al giorno, attraverso l’Arabia Saudita, fino al Mar Rosso e poi giù a Thuwal, città dove vive e 80 chilometri a nord di Jedda. Una traversata all’insegna dello sport, dell’inclusione e della ricerca scientifica.
Matteo Parsani, bergamasco, è professore di matematica applicata e scienze computazionali alla King Abdullah University of science and technology Kaust di Thuwal. Da sei anni vive con una lesione spinale incompleta, causata da un grave incidente avvenuto il 24 maggio 2017, quando un’auto lo investì nella città universitaria dove oggi vive e lavora con la moglie, bergamasca come lui, e i due figli Yara, 11 anni, e Thomas Matteo, 6 anni. Quel giorno, l’impatto fu tremendo e le sue condizioni erano talmente gravi, che al secondogenito, nato due settimane dopo l’incidente, venne dato anche il suo nome. «Thomas non mi ha mai visto correre» racconta lo scienziato «Questo mi fa soffrire moltissimo e faccio di tutto per inventarmi nuovi modi divertenti di stare insieme. Loro mi danno forza». E la tenacia di dedicare ogni giorno dalle tre alle quattro ore di riabilitazione, grazie alla quale sta progressivamente recuperando la funzionalità delle gambe. A questo, si è aggiunta la preparazione atletica per la traversata del deserto: sveglia ogni giorno alle tre e mezza, 80 chilometri in handbike e poi a casa, per fare colazione con la famiglia e iniziare la giornata lavorativa.
Ho tre obiettivi: promuovere l’inclusione delle persone diversamente abili nella società araba, sensibilizzare sull’importanza dello sport quale elemento chiave per la salute, promuovere la ricerca scientifica in chiave bio-tech
Matteo Parsani
La missione Athar
«A cinque anni ho scoperto che, sul mio album dei ricordi, alla data della mia nascita, il 14 aprile 1981, c’era un ritaglio di giornale raffigurante la missione Sts-1 Columbia che diede il via programma della Nasa Space Shuttle. La concomitanza dei due eventi ha acceso la mia curiosità verso i voli spaziali e, con essa, il sogno di lavorare alla Nasa» racconta. Così, dopo una laurea in ingegneria aerospaziale al Politecnico di Milano, un dottorato alla Vrije Universiteit di Bruxelles, alla Nasa ci è arrivato davvero come ricercatore: «Ho lavorato quattro anni al Langley Research center, il primo e il più vecchio centro della Nasa, a Hampton, in Virginia, dove Yara ha vissuto i suoi primi quattro anni di vita, prima che ci trasferissimo in Arabia saudita alla Kaust University». Lì, nella prima università mista del paese, fondata nel 2009, Parsani guida un team di 16 ricercatori provenienti da varie nazioni del mondo, tra cui anche quattro ricercatrici saudite. Certe attività insegnano a non mollare: «Lo sport, come la corsa in montagna e il trekking, mi hanno sempre appassionato e aiutato molto nella vita». Come è nata l’idea di compiere questo viaggio? «Ero nel campus, sulla mia handbike, quando tra alcuni bambini che mi sbeffeggiavano per la mia condizione, ne ho vista una che era scoppiata in lacrime. Aveva perso il papà e due sorelline in un incidente e una terza sorella era in carrozzina. Io ero sulla mia bicicletta da 20mila dollari, a casa avevo una carrozzina da 10mila dollari. Cosa potevo fare di utile?». Così è nata l’idea di “Athar – East to West”.
L’impatto su più fronti
«Athar in arabo significa impatto, quello che vorrei avere io su tre fronti: promuovere l’inclusione delle persone diversamente abili nella società araba, sensibilizzare sull’importanza dello sport quale elemento chiave per la salute, ma soprattutto promuovere la ricerca scientifica in chiave bio-tech». Infatti, a poco a poco, l’idea originaria si è ampliata e Parsani si è trasformato da soggetto a oggetto di studio: «Quando mi ha chiesto il permesso di assentarsi per l’impresa, ho subito ragionato su come far sì che non fosse solo la dimostrazione della sua fattibilità. È diventata un’immensa occasione di ricerca» racconta il direttore del dipartimento di di Informatica, scienze elettriche e matematiche e ingegneria della Kaust, l’italiano Gianluca Setti del Politecnico di Torino. Oggi, sono molti gli enti di ricerca coinvolti, oltre alla Kaust, il Politecnico di Milano e il Villa Beretta rehabilitation research innovation institute, che monitorerà da remoto l’atleta e userà i dati raccolti per avanzamenti auspicabilmente rapidi nella riabilitazione. «La tecnologia ci rende più umani, se sappiamo come utilizzarla» ha commentare il direttore clinico di Villa Beretta Franco Molteni.
Un laboratorio vivente
Nel suo viaggio, Matteo Parsani toccherà varie città, come Riyadh e Al-‘Ula, prima di arrivare a Thuwal. Sarà seguito da due pick up e un suv, con le strumentazioni, le biciclette e tutto il necessario per lui e il suo team medico e tecnico di una dozzina di persone. «Nel deserto c’è una grande escursione termica, le prime tappe saranno in pieno deserto dove pernotteremo perché non ci sono centri urbani. Sarò monitorato costantemente da tutta una sensoristica sviluppata ad hoc che raccoglierà i dati che verranno poi elaborati sia dalla Kaust che da Villa Beretta».
Cinque set di esperimenti
Parsani indosserà dei cerotti per la rilevazione a lungo termine dell’elettrocardiogramma ispirati alle ventose dei polpi, quindi flessibili, permeabili e molto aderenti e resistenti. Il valore degli elettroliti sodio e potassio, utili per valutare la sudorazione e lo stato di idratazione dell’organismo, sarà raccolto da specifici sensori, dotati anche di accelerometro per la registrazione del movimento e dotati di algoritmi capaci di rilevare quello legato alla respirazione. L’atleta indosserà un elmetto per l’elettroencefalogramma, per la misurazione della frequenza cardiaca e della temperatura, dotato di pannelli solari e di antenne per la trasmissione della posizione che, in caso di assenza di segnale satellitare, sarà inviata con segnali a bassa energia a un drone. A questo si aggiunge lo studio del microbiota, dove risiedono anche alcune delle ragioni dei benefici effetti dell’attività fisica e la cui composizione, contemporaneamente, può influenzare le prestazioni sportive degli atleti. «Anche i livelli di dopamina saranno monitorati» scherza Parsani «Quindi consocerete il mio umore esatto in ogni momento, oltre a vedere cosa vedo in diretta grazie a due videocamere installate sul mio casco e sulle mie tre bici». Una handbike in cui starà seduto, una in cui starà sdraiato e una terza sulla quale sarà installato uno stimolatore elettrico.
Non solo lesioni midollari
«La stimolazione elettrica funzionale associata alla pedalata aiuta il paziente con una lesione spinale, completa e incompleta, sia dal punto di vista del recupero muscolare sia da quello del comando motorio proveniente dal cervello, che deve reimparare a mandare i giusti segnali alla periferia, quando il danno lo consente» ha spiegato Alessandra Pedrocchi, responsabile del laboratorio NeuroEngineering and medical robotics (NearLab) del politecnico di Milano e co-responsabile del laboratorio interdipartimentale We-Cobot – Wearable and collaborative robotics del Polo di Lecco. Pedrocchi è al lavoro su numerosi progetti legati all’uso della tecnologia nella riabilitazione e nello sport per i soggetti più fragili come gli anziani, «per consentire loro – dice – di mantenere uno stile di vita sano e attivo anche con l’avanzare dell’età».
La raccolta fondi per i bisognosi
Ora inizia il conto alla rovescia per la messa a punto degli ultimi dettagli. L’impresa del matematico Parsani sarà monitorabile da tutti, h24, grazie a una piattaforma messa a disposizione dalla McLaren, azienda con cui collabora in quanto esperto di dinamica dei fluidi computazionale, e sarà anche attiva una raccolta fondi destinati all’acquisto di carrozzine sportive o handbike per bambini disabili. Il link sarà presto disponibile.
Il percorso
Crediti: Kaust Global Branding and Communication
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