Cronache africane

La terza via del Mali, dinamica e lontana dall’Occidente

Il Mali, con Burkina Faso e Niger, ha annunciato a fine gennaio il ritiro dalla Comunità Economica degli Stati dell'Africa occidentale e il prossimo anno vuole abbandonare il franco Cfa, storicamente un giogo per lo sviluppo locale. Per approfondire il contesto in questa regione importante del Sahel, VITA ha intervistato Fabio Checcacci, capo missione a Bamako di WeWorld

di Paolo Manzo

Le attività di WeWord in Mali (Credit WeWorld)

L’Occidente sta perdendo sempre più peso nel Sahel e la Russia sta consolidando le posizioni in questa zona desertica che attraversa da ovest a est l’Africa. A fine gennaio Mali, Burkina Faso e Niger, tre paesi governati da regimi militari dopo i colpi di stato rispettivamente di 2021, 2022 e 2023, hanno annunciato il ritiro dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa occidentale, l’ECOWAS.

La gravità della rottura – mai in mezzo secolo di esistenza dell’organizzazione c’era stato un divorzio di tale portata – è anche la conferma di un timore, ovvero che la frattura tra il Sahel e l’Occidente si stia allargando sempre più. 

Per capire cosa stia succedendo VITA ha intervistato Fabio Checcacci, dal giugno del 2023 capo della missione di WeWorld in Mali. Grande esperto delle regioni del mondo in crisi umanitaria, dall’Afghanistan ad Haiti, le sue ultime due missioni più recenti, sempre per WeWorld. 

Come vedi tu in quanto responsabile Paese WeWorld, la situazione in Mali oggi, alla luce di tutto quello che è successo negli ultimi negli ultimi mesi?

Il contesto attuale è molto interessante.

Le attività di WeWord in Mali (Credit WeWorld)

Perche?

Perché sta cambiando il paradigma che andava avanti da decenni. Il Mali ha dichiarato che vuole uscire dalla Ecowas con Burkina Faso e Niger anche se i tre paesi non hanno ancora fatto passi ufficiali, ma dall’anno prossimo dovrebbero essere fuori per liberarsi del franco Cfa. Insomma, è un processo molto interessante e la popolazione la vedo contenta, sia in Burkina Faso che in Mali. Anche se non so fino a che punto la gente arrivi a capirlo, c’è sostegno a questo processo e anche un merchandising con le magliette con il ritratto di Assimi Goïta (presidente ad interim dal 2021, ndr). C’è un sostegno popolare perché a loro, fondamentalmente, di una transizione democratica e di avere un presidente eletto interessa poco. Quello che dicono qua è «noi di una democrazia al servizio degli interessi esterni interessa relativamente». 

Le attività di WeWord in Mali (Credit WeWorld)

In Mali c’è l’aspetto sicurezza, che pesa molto sulla popolazione e anche su voi cooperanti.

Sì, l’uscita della Minusma (la Missione di stabilizzazione integrata multidimensionale delle Nazioni Unite in Mali) era prevista entro fine dicembre 2023 ma con tutte le strutture che avevano gli hanno dato una proroga affinché le forze armate maliane riprendano il controllo. E poi c’è il fattore della Wagner e l’appoggio che dà la popolazione a questo tipo di intervento. Io ho visto un’esposizione d’arte e c’era un disegno con la bandiera della Russia con la Wagner che riconquistava la città di Kidal. La Wagner in Mali è presente e capita spesso volando di trovare dei russi sull’aereo che arrivano qui ma la popolazione appoggia il fatto che la Russia e anche la Cina stiano prendendo il posto dell’Europa.

Quali sono gli attori che mettono a rischio la sicurezza in Mali?

C’è un problema di estremismo islamico da dopo la caduta di Gheddafi (nel 2011, ndr). Dopo, nel 2012, una parte grande del territorio del Mali al confine con l’Algeria è stata dichiarata indipendente da gruppi armati filo wahhabiti islamici creando lo stato indipendente dell’Azawad. Si erano presi tutta la zona di Kidal, la parte nord del Mali al confine con con l’Algeria e vicino al Niger oltre a parte di quella centrale.

Non sono un gruppo ma un sacco di fazioni diverse che si fanno guerra tra loro. Però le battaglie che c’erano prima per le poche risorse tra allevatori e agricoltori, che si prendevano a bastonate e venivano risolte dai capi villaggi, ora si risolvono con i kalashnikov. Questo genera tutta una serie di problemi, anche umanitari, con persone che si spostano per cercare sicurezza e non possono più vivere dove normalmente stavano. C’è tutta una battaglia sul terreno dalla zona centrale alla zona nord dove gli espatriati non hanno libero accesso, è zona rossa e anche lo staff locale si può spostare solo con gli elicotteri delle Nazioni Unite, perché via terra sei soggetto a ogni tipo di rischio. 

Voi lavorate in un contesto di sicurezza di questo tipo. Dove siete presenti e cosa fate?

Siamo presenti in Mali ma anche in Benin e in Burkina Faso. Lavoriamo in primis sulla sicurezza alimentare e sulla nutrizione. Solo in Mali si parla di oltre un milione e trecentomila persone in insicurezza alimentare e noi li appoggiamo economicamente. 

Come?

Normalmente si fanno dei transfer monetari e poi le famiglie selezionate usano questi soldi per acquistare cibo. Non sono condizionati, ovvero non sono un coupon che vanno a scambiare con un commerciante. Questi soldi li possono utilizzare anche per pagarsi i debiti che tutte le famiglie in insicurezza alimentare hanno. O le spese per la salute e per l’educazione. Normalmente diamo i soldi tra maggio e agosto, il periodo più complicato per le famiglie che vivono di sussistenza agricola. Hanno finito lo stock alimentare della stagione precedente, hanno seminato e ancora non hanno raccolto. Inoltre, facciamo qualchosa anche a livello di nutrizione con distribuzione di farine alimentari per i bambini sotto i due anni.

Avete anche tutta una parte di educazione e protezione?

Sì, lavoriamo negli Espaces Amis des Enfants facendo appoggio psicosociale, ci operiamo per il riconoscimento anagrafico dei minori ed il supporto all’iscrizione scolastica oltre a rifornire le cantine scolari nel quadro del fondo Education Cannot Wait tramite l’Unicef.

Come va l’economia in Mali? 

L’economia maliana è essenzialmente agro-pastorale e dipende dai capricci del clima (siccità, inondazioni, ecc.) e dai prezzi delle materie prime sul mercato internazionale. Nel 2024 è previsto quasi un 5 per cento di crescita del Pil e un tasso di inflazione attorno al 3% (non che questo voglia dire che la grossa fetta della popolazione ne tragga un beneficio diretto). Quindi sicuramente non c’è stato un peggioramento dell’economia negli ultimi due anni e passa susseguenti al «cambio democratico», (come in Mali chiamano la giunta militare). Ma qui la povertà te la porti dietro da secoli. L’indice di povertà nazionale era del 45,5% nel 2022. Per quanto riguarda la risposta umanitaria nel 2023, il numero di persone in difficoltà è passato da 7,5 milioni nel gennaio 2022 a 8,8 milioni nel gennaio 2023.

Come come  pensi che possa evolvere e che cosa dovrebbe fare la comunità internazionale? 

Cosa succederà nei prossimi mesi e anni non te lo so dire. Non ho gli elementi ma posso invece dirti che quello in corso è un processo molto dinamico. E che le persone di qua ci credono, cioè per lo meno hanno una speranza, cosa che prima non avevano. 

Forse perché hanno da guadagnare rispetto a prima?

Tenendo conto del contesto mondiale, aiuti e supporto stanno diminuendo. L’Unione europea ha meno soldi al pari delle Nazioni Unite e degli americani. Quindi da parte occidentale stanno investendo meno sul Mali mentre probabilmente gli altri attori (Cina e Russia) aumenteranno. Inoltre, in tutto questo contesto c’è anche tutta la parte araba che investe. Dunque qui non ci sono soltanto Occidente, Russia e Cina, ma anche i paesi arabi da tenere in conto.

*Punto di vista di Fabio Checcacci e non di WeWorld

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.