Vi racconto una storia!
È la storia di una terra che era stata promessa ad un pastore errante e inizialmente senza figli. Una terra deserta e fiorita; bagnata da mari e fiumi; da acque salate e dolci; attraversata da montagne e pianure… esattamente come la vita con le sue alterne fasi!
Una terra ricca di diversità e insieme così piccola; apparentemente inospitale, ma nello stesso tempo assai popolata.
Fu promessa a quell’uomo che non la possedette mai se non per un piccolo appezzamento che servì da tomba per lui e sua moglie (23,17).
In quella terra, infatti, quell’uomo visse sempre come un “ger” – uno straniero residente e ospite (15,13; 23,4) -. È in quella condizione di straniero che, guardando le stelle, scoprì l’intimità profonda del suo esser uomo, a cominciare dai suoi “de-sideri”[1], ovvero dalla “con-siderazione” delle proprie mancanze e delle proprie paure. La paura più grande fu quella della propria povertà; non tanto di quella materiale – era un uomo molto ricco; quanto di quella legata al fatto di non esser fecondo nella vita, pur sapendo di poter esserlo in vari modi, non solo nell’aver o meno dei figli.
È nella “considerazione” di questa sua “precarietà” [2] che cominciò a parlare con Dio – che la vita l’aveva creata e ordinata (1,28)! E fu proprio Dio a promettergli una discendenza numerosa come quelle stesse stelle che amava contemplare nel deserto (15,5).
Ebbe due figli, separati fin dalla nascita, ma destinati a realizzare insieme la Promessa di Dio e a insieme a seppellire il comune padre (25,8).
Neanch’essi possedettero mai quella terra (37,1), e nemmeno il figlio del figlio prediletto cui Dio rinnovò la promessa fatta al nonno. Quel nipote si chiamava Israele e da esso discese il popolo ebreo. Da suo zio Ismaele discesero gli arabi e tra questi i mussulmani. Dal popolo ebreo, infine, discese Gesù e da questi i cristiani. Questa è la storia del I Libro della Genesi; la storia di popoli che discendono dallo stesso padre e dallo stesso Dio. Una storia fatta anche di lotte tra fratelli: Caino e Abele, Abramo e Lot, Isacco e Ismaele, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe e i suoi fratelli, israeliani e palestinesi!
Possano questi popoli riscoprire nel volto dell’altro un fratello da rispettare come sangue del proprio sangue, e nel proprio volto, quello di uno “straniero residente”, fedele non tanto alla terra promessa, ma alla promessa ricevuta in quella terra. Possa Gerusalemme esser quello che il suo stesso nome sembra invocare e gridare: Città della Pace!
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