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La tav non cambia.resta un grande buco

val di susa Dopo l'accordo con i sindaci che ne sarà delle ragioni del "no"

di Redazione

La storia del corridoio numero 5 sarà ancora lunga. D’altronde si parla di un’opera i cui vagiti risalgono al 1991 e, se mai sarà finita, saranno passati quarant’anni da quei giorni. Della Tav in Val Susa è stato detto tutto e il contrario di tutto, ma negli ultimi tempi un po’ di nebbia è venuta meno. Questo grazie al lavoro dell’Osservatorio tecnico presieduto da Mario Virano, un architetto proveniente dalle file del Pci vecchio stampo, passato poi ai Ds e ora al Partito democratico.
L’osservatorio ha prodotto tre quaderni. Nei primi due i tecnici sostengono che l’attuale linea storica che attraversa la valle è sottoutilizzata del 70%, può raggiungere una capacità di trasporto annua di 40 milioni di tonnellate e reggerà a qualsiasi, improbabile, boom economico trasportistico per almeno quarant’anni. Sono le posizioni che i docenti del Politecnico di Torino Angelo Tartaglia (presente nell’Osservatorio) e Mario Cancelli sostengono da sempre e che sono state fatte proprie dal movimento No Tav.
Il terzo quaderno parla di ipotesi tecniche ma non dice nulla di speciale. Poi ci sono le conclusioni di questi giorni – il famoso accordo – che di fatto spianano la strada alla realizzazione dell’opera. Il lavoro prodotto dall’Osservatorio quindi dice che una mega opera come la Tav in Val Susa non serve ma si farà.

i costi iperbolici
La tratta ad alta velocità che corre da Novara a Milano costa circa 72 milioni di euro al chilometro. Per la Tav alcuni studi sostengono che nel tratto del tunnel di base non si scenderà sotto i 120. Le compensazioni per tenere buoni i territori di solito sono esorbitanti, incidono per circa il 20%, e nel caso della Val Susa dovranno essere davvero dorate. Nel 2005, quando il petrolio costava la metà di oggi, la previsione di spesa per la Torino-Lione era di circa 20 miliardi di euro.
Al momento attuale nessuno può fare un preventivo di spesa, anzi nessuno può dire se mai esisteranno i soldi sufficienti per finanziare un’opera simile. Qualsiasi cifra sarebbe sparata a casaccio.

Gli utlimi indiani
Paradosso nel paradosso, chi sono gli unici indiani che si oppongono a questa mega operazione keynesista? Gli extraparlamentari comunisti, proprio coloro che a rigor di logica di bilanci-costi-benefici dovrebbero non curarsi. Le forze liberiste di destra e sinistra tifano tutte per per il buco nella montagna e nelle finanze pubbliche. La tesi secondo cui i soldi verranno messi dall’Unione Europea fa ridere e ancor più comico è il project financing. Privati disposti a mettere un centesimo nel corridoio n. 5 in tutti questi anni non sono mai comparsi, anzi non ne parla più nessuno. Si coprirà tutto in deficit, in perfetto stile italiano.
Le istituzioni della Val Susa da sempre hanno sostenuto più o meno queste ragioni, rifiutando sdegnate l’accusa di essere affette dalla sindrome Nimby. Con l’accordo di Pracatinat di tutto questo è stata fatta piazza pulita.

Le due questioni aperte
D’altronde non esistono vincoli di bilancio imposti dalla Ue, perché le infrastrutture esulano dagli accordi di Maastricht. Superata l’opposizione istituzionale, ora si pongono due problemi: l’opposizione dei semplici cittadini, che non vogliono il mega cantiere sotto casa per 20 anni, e gli appalti per il cosiddetto nodo di Torino. Sono due problemi di non semplice soluzione. Antonio Ferrentino, presidente della Comunità montana Bassa Val Susa, di fatto sta tentando di promettere che la gente lo seguirà sulla sua linea, ma otterrà risultati minimi. In valle è detestato e lo zoccolo duro pronto ad alzare nuove barricate in caso di cantieri non è inferiore a diecimila persone. Da Torino potrebbero aggiungersi altri cinquemila arrabbiati. Si parla di gente pronta a stare in strada, ad occupare stazioni e strade e anche allo scontro fisico. Nel 2005 erano almeno il triplo, come dimostrano gli scontri del dicembre di quell’anno.

L’enigma del grande hub
Il nodo di Torino è un problema invece per i proponenti. Le merci che corrono sulla Tav dovranno essere lavorate vicino a Torino o proseguiranno la loro corsa verso la ben più competitiva Milano? La partita si gioca intorno a due scali, Orbassano, ad ovest di Torino, oppure San Mauro, o anche Novara, a est.
Dove verrà costruito il più grande hub logistico d’Italia? Ad Orbassano ne esiste già uno che langue da decenni e Milano scalpita per averne uno il più vicino possibile.
Torino contro Milano quindi, ancora una volta. Per tenere buoni i torinesi, le istituzioni piemontesi giurano che Orbassano (e quindi Torino) non si faranno scippare l’affare. Ma l’assegnazione dell’Expo 2015 sta facendo spostare il baricentro sempre più verso la Lombardia.
In questa mega partita di appalti la Val Susa avrà il ruolo che da sempre rifiuta: quello del corridoio dove merci e persone transitano per andare in altri luoghi. Ultimamente i proponenti giurano che una mega stazione internazionale verrà costruita a Susa. Peccato che in questa valle piccola e incassata tra i monti non vi sia nemmeno più spazio per una pensilina del tram. A meno che non si voglia tirare giù una montagna e far esplodere ancora più i costi.
Chissà. Di sicuro la storia Tav racconta molte cose sull’Italia e sulla sua inestirpabile tendenza alla furbizia.


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