Volontariato

La svolta di un manager. Addio lattina, vado e cambio il mondo

Due anni fa Craig Cohon era un super dirigente di Coca Cola. Oggi è a capo della “sua” ong anti povertà. Ma non dimentica la lezione del business

di Carlotta Jesi

È stato il primo caso di shock da World economic forum. Due anni fa, a Davos, Craig Cohon ascolta l?appello alla responsabilità sociale che il presidente Clinton lancia agli uomini più ricchi del mondo, sale in camera e scrive una lettera di dimissioni. Dalla Coca Cola, di cui dirige il marketing. E dalla sua mission degli anni 90: far impennare le vendite della bibita più famosa al mondo nei Paesi dell?ex Unione sovietica. «Ne avevo abbastanza», ha spiegato al Financial Times, «ho pensato che fosse arrivato il mio turno di fare qualcosa per migliorare il mondo». Qualcosa di sociale: combattere la povertà urbana. Ma secondo regole e strumenti del business: soldi, relazioni, piani. Un?impresa impossibile? Cohon giura di no. Ma Global Legacy, come ha chiamato il suo progetto di lotta alla povertà nelle grandi città del mondo, secondo il Financial Times rischia di tradursi in una «costosa disavventura nel mondo delle buone intenzioni». Già. Perché non tutti gli strumenti di business funzionano alla perfezione. Sui piani, Cohon non ha dubbi: creare 20 mini-fondi da 30 milioni di dollari l?uno con cui finanziare buone idee locali di lotta alla povertà in 20 città partendo, a fine 2002, da Londra e Johannesburg. E procede bene anche la costruzione di relazioni: in 18 mesi hanno detto sì al progetto ong, industrie, qualche governo e una rete di ?do-tanks?: gruppi di pensatori esperti di economia e sociale, fra cui professori della London Business School e della New Economic Foundations, che dovranno tradurre in azione le buone idee. A Cohon, che ha cominciato a lavorare in Coca Cola vendendo porta a porta, mancano i soldi. Un miliardo di dollari, per essere esatti. La cifra con cui, da qui al 2007, intende creare i mini-fondi. Nei primi 18 mesi di vita di Global Legacy, infatti, ha raccolto appena 1,5 milioni, di cui 300mila dal suo conto personale e una buona parte da Coca Cola e McDonald?s. Le banche che ha contattato aspettano che al progetto aderiscano i governi, e questi che le banche garantiscano. Che la Global Legacy sia partita troppo in grande? A chi gli fa notare che avrebbe fatto meglio a investire i primi soldi ad Hamlet e, verificata la fattibilità del progetto, replicarlo nel mondo, Cohon risponde di no. Parlando con la passione di un attivista e uno slang da master in economia, si difende così: «Chi l?ha detto che in questo settore dobbiamo pensare in piccolo? Noi diciamo che va bene essere visionari fin tanto che si è anche pragmatici». La sua visione è semplice: cambiare il modo in cui le aziende vedono il loro posto nella società. «Perché le multinazionali non legano i loro brand a emergenze come l?Aids o la povertà?». In attesa di una risposta, Craig Cohon salta da un aereo all?altro per incontrare ministri delle finanze, banchieri, ong. «Sono abituato a costruire fabbriche, non mi limiterò a fare progetti per dieci anni.; 18 mesi non son tanti, dopo tutto anche la Coca Cola vende una bottiglia alla volta». Carlotta Jesi Info: www.globalegacy.com


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