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La svolta di Netanyahu
«Sì a uno stato palestinese», dice il premier israeliano accogliendo le pressioni degli Stati uniti. Intanto oggi Berlusconi incontra Obama
di Redazione

Il medio oriente oggi al centro delle cronache. Sono tre, infatti, i grandi temi che s’incrociano sui quotidiani. L’apertura del premier israeliano Natanyahu sulla nascita di uno Stato palestinese, la nuova strategia Usa in Afghanistan (oggi Berlusconi incontra Obama) e il travagliato post elezioni in Iran.
- Oggi la rassegna stampa si occupa anche di:
- MAFIA
- TESTAMENTO BIOLOGICO
- ROM
- VOLONTARIATO
- SICUREZZA
- SCUDO FISCALE
- AFRICA
Per il CORRIERE DELLA SERA il discorso all’università Bar-Ilan a Tel Aviv del premier israeliano vale il secondo titolo della giornata (“In Israele svolta di Netanyahu: Stato palestinese ma senza armi”) dopo quello sull’incontro Berlusconi-Obama “Piano italiano per Kabul”. Per la prima volta in capo del governo d’Israele «si è detto favorevole alla nascita di uno Stato palestinese purchè smilitarizzato e purchè i palestinesi riconoscano Israele come lo stato del popolo ebraico. La Casa Bianca: un importante passo avanti». Queste le altre condizione poste da Netanyahu: no allo smantellamento delle colonie, no al rientro dei profughi e no alla divisione di Gerusalemme. Il CORRIERE a corredo propone due punti di vista, quello dei palestinesi e quello degli Usa. Per i palestinesi parla la deputata Fatah Asheawi: “«Non ci sta offrendo la patria, ma una nuova occupazione»”. Cristiana ed ex portavoce di Arafat dice: «L’unica cosa che mi è piaciuta è l’uso che ha fatto delle parole, dei silenzi, deve essersi esercitato molto. Per dire poco». Poi la stoccata: «Netanyahu vuole che diventiamo anche noi sionisti, che gli arabi che stanno in Israele accettino di essere quel che non sono». Più ottimisti gli americani almeno nelle parole del politologo democratico Benjamin Barber: “«È un barlume di speranza. E un successo per gli Usa»”: «le difficoltà da superare restano enormi e il percorso di pace sarà lungo e difficile, ma Netanyahu si è reso conto che la politica americana verso l’Islam è cambiata, che non può imporsi a Obama, che rischia l’isolamento, che ci sono opportunità di pace che mancavano sotto Bush».
Capitolo Afghanistan: Berlusconi oggi incontra Obama e gli annuncerà «rinforzi per Kabul (fino a 500 militari in più) e la disponibilità ad accogliere 5 o 6 detenuti di Guantanamo». Sul CORRIERE infine largo spazio anche alla vicenda iraniana, di cui si parla nella pagine 2 e 3. Mentre “Mousavi chiede di annullare il voto”, in un intervista il dissidente Akbar Ganji, esule negli Stati uniti dice: “«Il regime è un serpente che cambia pelle. Khamenei vuole liberarsi degli altri titani»”.
Iran e Israele sono in prima pagina anche su LA REPUBBLICA. Il primo piano è occupato da una foto delle forze anti-sommossa iraniane in azione a Teheran: moto nere, tute nere, caschi neri e manganelli alzati su una manciata di passanti sotto il titolo «Iran, il pugno di Ahmadinejad». Le proteste e gli scontri continuano, scrive Vanna Vannuccini, ma Ahmadinejad celebra la sua vittoria e parla di «un’elezione sana e pulita», liquidando le proteste con un «è come dopo una partita di calcio, quando chi perde non vuole ammettere la sconfitta». La cronaca riferisce di Moussavi che incassa per la prima volta un appoggio esplicito dei religiosi, con gli insegnanti di Qom che hanno espresso preoccupazione per «la straordinaria e massiccia manipolazione dei voti». Nella notte invece è partita la retata – ci sarebbero già un morto e 170 arrestati – che vede i giovani protagonisti. LA REPUBBLICA riporta la testimonianza di una ragazza che ha lavorato alla campagna elettorale di Moussavi, incarcerata per due giorni e liberata dopo che il padre ha ipotecato la casa per pagare la cauzione: da tre giorni non torna a casa per paura di essere nuovamente arrestata. Ai giornalisti stranieri non sono stati prorogati i visti, la Bbc è stata oscurata, Facebook disattivato, i blog bloccati al 12 giugno. Bill Keller, il direttore del New Yoork Times, in un commento cita una fonte interna al ministero degli Interni, che spiega come sono state truccate le schede: Moussavi era il candidato numero 4, Ahmadinejad il 44, per cui è bastato aggiungere un 4 alle schede per stravolgere il voto. Un commento di Bijan Zarmandili invece spiega che Ahmadinejad e la sua saldatura con i militari ha dimostrato in realtà un radicamento territoriale straordinario, che ha spaventato tutti, inclusa la teocrazia al potere.
Su Israele, su LA REPUBBLICA, scrive Alberto Stabile: Netanyahu apre a uno stato palestinese smilitarizzato e auspica che i colloqui di pace ripartano subito. Per Stabile però Netanyahu è stato meno coraggioso di Sharon, accettando solo una delle richieste fatte da Obama, respingendo invece di fatto il blocco totale degli insediamenti. «A dispetto degli accenni di disponibilità – scrive Stabile – la strada verso la ripresa di un negoziato sembra, dopo questo discorso, estremamente incerta». Anche Robert Malley, già consigliere di Clinton per il Medio Oriente, minimizza il discorso di Netanyahu: «Siamo nella fase in cui ognuno si atteggia prima di sedersi al tavolo. Tutti sappiamo che Netanyahu è d’accordo sulla nascita di uno Stato palestinese, vuole farla apparire come una concessione». Malley anticipa che Obama preso metterà sul tavolo una proposta chiara, che sarà impossibile ignorare, e che per la prima volta l’opinione pubblica peserà più di quella dei leader politici.
LA REPUBBLICA presenta infine un Berlusconi in partenza per Washington più che altro preoccupato del ribaltone e di questioni interne. L’Afghanistan è citato en passant: Berlusconi proporrà a Obama un aumento del contingente a Kabul tramite un taglio (di 300/500 unità su 3mila) del contingente in Kosovo.
Oggi LA STAMPA riunisce in un’unica titolazione, quella di apertura della prima pagina, le vicende “calde” del Medioriente. “Rivolta contro Ahmadinejad” il titolo, mentre il sommario si riferisce alle dichiarazioni di ieri del premier israeliano Netanyahu: “Israele apre ai palestinesi: Sì al vostro Stato, ma senza l’esercito”. All’interno un reportage da Teheran racconta la rivolta nelle strade della capitale e mette in primo piano il ruolo degli studenti, che con il passaparola organizzano le manifestazioni servendosi molto delle nuove tecnologie: sms, mail, blog e social network. Un’analisi de LA STAMPA parla di “rivoluzione soft”, secondo un modello che in questi anni è stato sperimentato in diversi Paesi: un esempio per tutti la “rivoluzione arancione” in Ucraina. Anche il movimento iraniano ha un colore, il verde, si serve di raffinate tecniche di marketing, è uscito allo scoperto in concomitanza con le elezioni puntando sull’ampio coinvolgimento di studenti. Da New York una corrispondenza di Maurizio Molinari parla della posizione “in sospeso” dell’amministrazione Obama, che non ha ancora riconosciuto gli esiti elettorali iraniani ma che continua a tenere aperto il dialogo con Ahmadinejad. In un’intervista, l’ex capo stazione Cia in Medio Oriente Robert Baer dice che le proteste al momento «non hanno possibilità di successo. Il presidente resta Ahmadinejad e il leader supremo Ali Khamenei lo sostiene. Non vi sono sul terreno altri scenari possibili e dunque è con questa situazione che bisogna confrontarsi». Baer svela che il canale di dialogo con l’Iran più efficace al momento passa attraverso la Siria.
Sulle dichiarazioni del premier israeliano un articolo a tutta pagina mette in evidenza le discordanti valutazioni. Secondo gli Usa si tratta di «un grande passo avanti». A indurre l’Anp al pessimismo è invece il rifiuto del congelamento delle colonie (Netanyahu ha detto che non ne verranno costruite di nuove ma a quelle esistenti verrà garantita la loro «crescita naturale»), e della spartizione di Gerusalemme e la chiusura sui profughi (che dovranno cercare una soluzione fuori dal territorio israeliano). «Il negoziato “senza condizioni” proposto da Netanyahu significa per i palestinesi spazzar via con un colpo di spugna anni di dure trattative con Ehud Olmert e Tzipi Livni» scrive il corrispondente de LA STAMPA da Tel Aviv.
IL GIORNALE dedica alle vicende del Medio Oriente le pagine 12 e 13 che titola “Le spine della Casa Bianca” un primo articolo “Israele non chiude la porta al piano Obama” riprende le dichiarazioni che il presidente Netanyahu ha fatto rispetto al discorso del Cairo del presidente Usa: «Sì ad uno Stato palestinese ma sia smilitarizzato». Segre poi commenta «Netanyahu non poteva dire un secco no a Obama. Sarebbe stato uno scontro fra un personaggio all’apice della popolarità internazionale e l’altro al suo nadir, un cozzo fra un recipiente di ferro e uno di ceramica che lo Stato di Israele non poteva permettersi». Questa apertura, che dalla Casa Bianca è stata considerata «un importante passo avanti», è stata accompagnata però da due punti fermi. Netanyahu ha infatti detto che «Gerusalemme deve rimanere la capitale indivisibile di Israele e il problema dei profughi palestinesi va risolto fuori dal territorio di Israele».
Sul caso Iran Gian Micalessin riporta la cronaca e annuncia che «Muossavi non si arrende e ha chiesto di annullare le elezioni. Oggi attesa una nuova manifestazione» Intervista a Marina Nemat esule iraniana e autrice del best seller “Prigioniera a Teheran” che dice «L’opposizione eviti lo scontro di piazza: finirebbe nel sangue» «Il broglio è stato brutale. L’unico dato vero è quello dell’affluenza arrivata all’85%. La gente è andata a votare e si sente defraudata. Questo potrebbe dar vita a un movimento nuovo capace nei prossimi 4 anni di trasformarsi in un’alternativa reale. Meglio dar tempo all’opposizione di organizzasi tanto il regime può solo continuare a perdere credibilità». Paolo Guzzanti vede le due vicende dalla parte americana e aggiunge il fronte della Corea del Nord e il suo fondo titola “Iran e Corea, sfide che non può ignorare. Barak costretto a preparare l’opzione militare”. Guzzanti commenta « Ciò che conta ora per Obama è non farsi trovare sorpreso né impreparato dagli eventi. Il problema è convincere gli americani a riprendere il fucile».
Afghanistan. IL GIORNALE ne dà un cenno per dire che sarà uno dei temi degli incontri fra Berlusconi arrivato negli States e il presidente Obama.
E inoltre sui giornali di oggi:
MAFIA
CORRIERE DELLA SERA – Per Longanesi esce “Mafia pulita”, scritto da Elio Veltri, deputato dell’Ulivo e Antonio Laudati, magistrato di Cassazione: «Mafia, ‘ndrangheta e camorra si sono evolute nei comportamenti e nelle strategie. Investono in attività apparentemente legali i proventi miliardari che guadagnano dai loro loschi traffici: Mafia spa con un fatturato di 140/150 miliardi di euro è la più grande multinazionale italiana».
TESTAMENTO BIOLOGICO
CORRIERE DELLA SERA – Si profila una spaccatura all’interno dell’Ordine dei medici sul testamento biologico. La Federazione nazionale che raccoglie gli ordini provinciali ha approvato a Terni un documento in cui la nutrizione artificiale viene considerata atto medico e dunque dovrebbe rientrare nelle scelte del paziente, a differenza di quanto prevede il testo Calabrò che dopo l’approvazione del Senato aspetta di essere discussa alla Camera. Contrario il blocco nordista che riunisce i medici di Bologna, Milano, Lodi e Pavia a cui si aggiungono quelli di Potenza. «la nutrizione dei pazienti in stato vegetativo è un atto medico indirizzato al sostentamento, non alla cura. Dunque non dovrebbe essere oggetto di dichiarazioni anticipate», attacca Valerio Brucoli, del consiglio direttivo dell’Ordine di Milano.
ROM
SOLE24ORE – Interessante bilancio a un anno dall’inizio dell’operazione sgomberi dei campi rom irregolari in Italia. A Milano, Roma e Napoli – dove l’operazione si è concentrata – sono stati individuati 167 campi di cui 124 abusivi e la presenza di oltre 12mila persone tra cui 5400 minori. Per attuare il piano del governo c’è tempo fino al 31 dicembre 2010, ovvero per chiudere i campi non autorizzati e realizzare «villaggi attrezzati» dotati di servizi, avviare al lavoro gli adulti e scolarizzare i minori. A oggi a Milano i campi regolari sono solo 18, sugli altri si va avanti con gli sgomberi ma il terzo settore accusa: le alternative al campo per ora sono «inesistenti o impraticabili». Nella capitale la strategia è aprire campi per etnia ma soprattutto – udite udite – sorvegliati da istituti di sicurezza privati, recintati e dotati di ingresso controllato mediante un badge elettronico con foto distribuito ai residenti (!). A settembre parte la ristrutturazione, in questo senso, di 6 insediamenti, mentre il Casilino 900 sarà definitivamente chiuso.
VOLONTARIATO
SOLRE24ORE – AFFARI PRIVATI – La pagina del volontariato si apre con un pezzo dedicato alle ong e in particolare alla ricerca “Gli italiani e la cooperazione internazionale” di Fratelli dell’uomo, secondo la quale la gente comune (un campione di 2000 persone, la ricerca è di Cra International) appoggia la cooperazione (66%) la ritiene un baluardo contro l’immigrazione selvaggia (63%) e le accorda fiducia (58%). Solo per il 34% finanziare le ong è «uno spreco di soldi». Esame di bilancio per l’Agpd (ass. genitori persone Down), che registra entrate in crescita, e focus sul progetto “Condividi il pane” del Modavi che a Roma in 21 scuole ha promosso la raccolta del pane (e altro cibo) avanzato nelle mense per poi girarlo ad associazioni attive nel settore della povertà.
SICUREZZA
IL GIORNALE – Nell’articolo intitolato “Quelle strane ronde di Napoli arruolati gli esperti: i detenuti” Marcello d’Orta racconta del progetto dell’amministrazione comunale di Napoli che si chiama “Escodentro” che prevede che alcuni ex detenuti accompagnino i turisti che vogliono visitare quartieri malfamati. «Il progetto rischia di essere ribattezzato “Esco e rientro” perché la possibilità che qualcuno del gruppo non ceda alla tentazione di frodare questi turisti c’è e a mio parere è pur alta. Come si dice? L’occasione fa l’uomo ladro. Fa ma può anche rifarlo» D’Orta continua: «Gli angeli custodi saranno operativi solo dopo un corso di formazione di 60 ore. Ma possono pochi giorni essere sufficienti a far considerare affidabili queste persone? Sia ben inteso qui nessuno vuole emarginare nessuno, ma quando c’è in gioco l’incolumità delle persone bisogna andarci piano a far progetti e certi obiettivi si raggiungo solo dopo tempo. Ci sono mille altri coinvolgimenti lavorativi per ex detenuti». Ma ecco la bordata politica «Verrebbe da far dell’ironia su questa ultima scelta farneticante della sinistra. A Napoli se ne vedono di tutti i colori. Mi correggo se ne vedono e sentono di un solo colore. E questo è il guaio. Il guaio nero. Anzi rosso».
SCUDO FISCALE
ITALIA OGGI – “Alle porte del paradiso” è il titolo d’apertura che il quotidiano dedica allo scudo fiscale ter che Giulio Tremonti sta preparando. Come spiega Marino Longoni nell’editoriale «il decreto legge sulla regolarizzazione delle somme illegittimamente esportate è quasi pronto» e sono già note le scelte principali che prevedono «un’aliquota da versare, compresa tra il 5 e il 7 per cento a seconda se i capitali rientrati saranno investiti in titoli di stato o in altro modo». La cosa chiara ed evidente è che, essendo la fuga dei capitali all’estero ormai la minaccia numero uno di questa crisi e dunque la battaglia ai paradisi fiscali prioritaria, chi ha i capitali all’estero non più dormire sonni tranquilli». Basta guardare le cifre per capire quanto sia capitale e obbligata questa strada, la posta in gioco è di «200/300 miliardi di euro che potrebbero dare sollievo all’erario e contribuire a rilanciare il made in Italy».
AFRICA
LA STAMPA – “L’Africa fa boom. Crescita record nonostante la crisi” è il titolo di un primo piano firmato da Domenico Quirico. La crescita nel continente africano diminuirà con la crisi, ma «il differenziale di crescita con i paesi ricchi resta positivo, anzi si accresce» dice l’economista Ocse Javier Santino. L’articolo è un viaggio negli investimenti in atto nel continente. Dai voli diretti inaugurati dagli Emirati Arabi, all’impressionante impegno economico di Cina e India nelle infrastrutture e nell’industria, soprattutto quella estrattiva delle materie prime ma non solo, al dinamismo del mercato delle nuove tecnologie (secondo Quirico in Africa «internet sta svolgendo il ruolo che il vapore ha avuto nella rivoluzione industriale»). A chi va la nuova ricchezza prodotta in Africa? Il dubbio è si che si tratti di un «grande saccheggio». In Africa, a parte l’interessante emergere di borghesia e classe media, tutti gli altri restino esclusi: «Gli africani, avvolti negli stracci, raccattano le briciole» conclude Quirico.
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